CACCIARI: SILVIO GIOCA AL GATTO COL TOPO, PUNTA A DIVIDERE IL PD
IL CAVALIERE HA CAPITO CHE SE MOLLASSE L’ALLEANZA CON IL PD, LO RICOMPATTEREBBE… COSI’ RIESCE INVECE A LACERARLO
Non avrà “the great Entertainer” sbagliato mossa questa volta?
Come è possibile non afferri la straordinaria occasione che il caso avverso gli offre?
Presentarsi sul palcoscenico dichiarando: ingiusti gli ordinamenti della città , ingiusti i suoi tribunali, e tuttavia le sentenze che questi pronunciano vanno rispettate.
Che i politicanti pro tempore facciano quel che vogliono – la credibilità di cui godono è ben nota – “decadere” dai loro senati può forse arrecare più prestigio che disonore.
Ma Legge è Legge, e anche se colpisce l’innocente volerla evadere equivale a minare i fondamenti dell’Ordine su cui si regge la polis.
Com’è che il grande Comunicatore vuol privarci del sublime spettacolo di un gesto di sovrana indifferenza nei confronti delle prossime decisioni senatorie e di qualche mese di puntuale presenza, magari presso Mario Capanna, ai servizi sociali, monopolizzando giornali, reti, blog, twitter, gossip di ogni risma?
La sua leadership nel centrodestra diventerebbe inossidabile.
Nulla e nessuno potrebbe, poi, vietargli di condurre campagne elettorali, magari via-video dai luoghi di pena, firmare cartelloni e liste.
Cosa può mai contare l’essere o meno candidato?
Beppe Grillo era forse candidato da qualche parte?
La candidatura conta solo per i peones. E la responsabilità per eventuali crisi del governo Letta si scaricherebbe così integralmente sul Pd e sull’esito del suo congresso.
Perchè Berlusconi non sceglie questa strada, che appare senza dubbio quella più favorevole ai suoi interessi non solo politici? Perchè non è Socrate? Ma via!
Socrate beve la cicuta per restare integralmente fedele a se stesso, qui si parla di miseri calcoli di convenienza, di quale maschera convenga indossare per l’ultima recita a Silvio Berlusconi.
La teoria del bluff non convince. Troppo scoperto.
Il suddetto non può ignorare che la partecipazione al governo del Pdl è per lui oggi l’unica autentica “garanzia”, che abbandonare Enrico Letta significherebbe ricompattare il partito democratico, magari attorno a Matteo Renzi, che una maggioranza potrebbe sempre formarsi in Parlamento in toto alternativa all’attuale,e che, comunque, andare a elezioni col cerino in mano di quelli che hanno fatto scoppiare la crisi – e per evidenti motivi riguardanti esclusivamente le sorti del Capo – renderebbe impossibile a priori il successo.
A quale gioco, allora,sta giocando? Forse soltanto a stressare il Partito democratico e condurlo al congresso nello stato di massima confusione.
La sola presenza di Berlusconi ancora vociante sembra sufficiente a impedire ai dirigenti di questo cosidetto partito ogni intesa programmatica e ogni iniziativa autentica di governo
Letta può valere come “primum vivere” – ma poi? Con ciò che passa il convento, con i pezzi dell’attuale ceto politico, quale governo-governo è possibile ipotizzare?
Un en plein di Renzi come segretario del Partito democratico e candidato premier, senza sconquasso dell’intero condominio, appare del tutto irrealistico.
La sua candidatura a premier può passare oggi soltanto attraverso l’accordo con i D’Alema – e cari saluti alla grinta rottamatrice.
Ragionevole sarebbe un’intesa tra Letta e Renzi, non solo per motivi generazionali, ma anche per una certa complementarietà tra le due “immagini”.
Un periodo consolare o di direttorio condiviso l’hanno passato anche i futuri Cesari.
Ma qui riemerge l’eterno istinto fratricida della politica italiana.
Ancora più eterno della transizione che dagli anni Settanta è la nostra dimora.
Massimo Cacciari
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