CARLO NORDIO RIESCE A SCONFESSARE SE STESSO E PURE GLI AMERICANI, IL 20 DICEMBRE AVEVA CHIESTO LA CONFERMA DELL’ORDINE DI CARCERAZIONE PER MOHAMMAD ABEDINI, POI REVOCATA IERI
NORDIO HA SPECIFICATO ANCHE CHE NON CI SONO ELEMENTI A SUPPORTO DELLE ACCUSE: PERCHÉ LO DICE SOLO ORA? E COME MAI LUI E TAJANI HANNO CONTINUATO A DIRE CHE IL CASO SALA ERA SCOLLEGATO, QUANDO ERA EVIDENTE A TUTTI CHE È STATO UNO SCAMBIO?
Ci avevano detto tempi lunghi e invece no, Mohammad Abedini Najafabadi prima dell’ora di pranzo di ieri è uscito dal carcere di Opera, quattro giorni dopo la liberazione di Cecilia Sala a Teheran. Nel tardo pomeriggio l’ingegnere iraniano 38enne, considerato dagli Stati Uniti un uomo chiave nella costruzione dei droni dei pasdaran e arrestato dalla polizia a Malpensa il 16 dicembre scorso, era già nella capitale del suo Paese.
Se l’Italia non voleva dare al mondo l’immagine di uno scambio di prigionieri con un regime indicato come nemico dell’Occidente, l’obiettivo è fallito. Se non contestuale, lo scambio è stato rapidissimo.
Il collegio della V sezione della Corte d’appello di Milano si è riunito ieri mattina per un provvedimento vincolato. A chiedere la revoca della carcerazione di Abedini è stato infatti il Guardasigilli Carlo Nordio.
“La revoca è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta”, dice l’articolo 718 del Codice di procedura penale. Tanto Nordio quanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani avevano detto che il governo non sarebbe intervenuto prima dell’udienza fissata per il 15 gennaio sulla richiesta di arresti domiciliari avanzata per l’iraniano dall’avvocato Alfredo De Francesco. Non si terrà mai.
La procedura di estradizione si chiude ancora prima che gli Stati Uniti abbiano depositato l’intero dossier, per il quale avevano tempo fino a fine mese.
Forse il governo ha accelerato per evitare di intervenire all’indomani di un eventuale “no” dei giudici. Oppure è intervenuto un fatto nuovo che ha spinto a fare subito quanto promesso agli iraniani per ottenere la liberazione di Sala, la giornalista 29enne di Chora Media e del Foglio che è stata detenuta dal 19 dicembre all’8 gennaio.
Così la spiega il ministero della Giustizia: “In forza dell’art. 2 del trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana – si legge in una nota – possono dar luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti, condizione che, allo stato degli atti, non può ritenersi sussistente.
La prima condotta ascritta al cittadino iraniano di ‘associazione a delinquere per violare l’Ieepa’ (International Emergency Economic Powers Act ovvero le leggi Usa sull’embargo a vari Paesi tra cui l’Iran, ndr) non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano; quanto alla seconda e terza condotta, rispettivamente di ‘associazione a delinquere per fornire supporto materiale ad una organizzazione terroristica con conseguente morte’ e di ‘fornitura e tentativo di fornitura di sostegno materiale ad una organizzazione terroristica straniera con conseguente morte’ – osserva ancora il ministero della Giustizia –, nessun elemento risulta ad oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici avente potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari”.
Nordio ci dice insomma che gli Usa ci hanno chiesto di arrestare un innocente, che la polizia italiana evidentemente ha sbagliato a farlo, che i giudici di Milano non avrebbero dovuto tenerlo in galera e che Nordio medesimo ha preso una cantonata, il 20 dicembre, quando ha chiesto la conferma dell’ordine di carcerazione che egli stesso, ieri, ha fatto revocare.
Così, secondo diversi giuristi, sconfina nel campo della Corte d’appello alla quale spetterebbe valutare la sussistenza della doppia incriminazione (reati punibili in astratto in entrambi i Paesi) e perfino nel merito degli elementi di prova, il cui esame toccherebbe ai giudici Usa e non all’Italia. Insomma, […] il ministro avrebbe potuto invocare esigenze umanitarie o l’interesse nazionale, come pure è previsto dal codice in materia di estradizione. Ma forse gli accordi con l’Iran erano altri.
(da Il Fatto Quotidiano)
Leave a Reply