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LE CONSEGUENZE DI ESSERE ALLEATI DEI DITTATORI: TI USANO PER GIUSTIFICARE I LORO PROCESSI FARSA: TRA LE ACCUSE A OLTRE QUARANTA OPPOSITORI POLITICI IN TUNISIA C’È ANCHE QUELLA DI AVER INCONTRATO DIPLOMATICI EUROPEI, TRA CUI L’ITALIANO FABRIZIO SAGGIO (EX AMBASCIATORE A TUNISI, ORA CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI GIORGIA MELO

Aprile 20th, 2025 Riccardo Fucile

UNA STRONZATA, VISTO CHE SI TRATTA DI PAESI ALLEATI DEL REGIME DI KAIS SAIED – PROPRIO LA VICINANZA AL GOVERNO MELONI HA PERMESSO A SAIED DI CHIUDERE L’ACCORDO CON L’UE: LUI SI PRENDE I SOLDI E IN CAMBIO CI TIENE I MIGRANTI

Sono bastate le accuse (vaghe) di due personaggi anonimi e imputazioni come il fatto di aver pranzato con ambasciatori stranieri, compreso quello dell’Italia, per condannare in Tunisia una quarantina di oppositori politici a pene durissime, che vanno fino a 66 anni di carcere: è l’esito del “processo del complotto”, come viene chiamato da queste parti.
Ci si chiede: ma cosa potevano tramare con il rappresentante del paese di Giorgia Meloni, amica numero uno del presidente Kais Saied? Difficile capirlo. Una cosa è certa: è improbabile che queste pene rese in primo grado siano modificate in quelli successivi, in un paese dove il sistema giudiziario è ormai assoggettato a un sistema di potere dalla deriva autocratica.
Il “processo del complotto” era arrivato alla sua terza e ultima udienza venerdì: all’alba di oggi sono state rese note le sentenze contro gli imputati, giudicati colpevoli di “complotto contro la sicurezza dello Stato” e “adesione a un gruppo terrorista”, come precisato dalla Procura antiterrorismo.
Si tratta di personalità conosciute dell’opposizione, avvocati, uomini d’affari e militanti della società civile, che avrebbero tramato insieme contro Saied (ma che in realtà, in molti casi, non avevano alcun legame tra di loro). Alcuni sono in carcere dal momento del loro arresto, poco più di due anni fa. Altri erano stati rimessi temporaneamente in libertà e altri ancora sono fuggiti all’estero.
Da sottolineare: essere incarcerati in Tunisia, per qualsiasi ragione, vuol dire essere rinchiusi in edifici malsani, patire il freddo dell’inverno e l’afa d’estate, dipendenti dal cibo portato da amici e familiari e con la possibilità di mangiare solo pasti freddi.
Tra gli altri, Jawhar Ben Mbarek, noto esponente della sinistra e cofondatore della coalizione di forze all’opposizione, il Fronte di salvezza nazionale, e la militante dei diritti umani Chaima Issa sono stati condannati a 18 anni di prigione. Nourredine Bhiri, esponente di Ennahda, il partito islamista moderato, a 43.
L’ex dirigente del partito Ettakatol (socialdemocratico) Khayam Turki a 48 anni mentre 66 sono stati decisi per Kamel Eltaief, uomo d’affari influente. Tra gli imputati risulta addirittura il filosofo francese Bernard Henri-Lévy, che, secondo il sito Businessnews, sarebbe stato condannato a 33 anni.
Uno dei principali capi di accusa è il fatto che alcuni degli imputati abbiano incontrato diplomatici dell’Unione europea e di paesi come gli Usa, la Francia e l’Italia, tutti in realtà alleati della Tunisia di Saied.
Citato, fra gli altri, Fabrizio Saggio, già ambasciatore italiano a Tunisi e oggi consigliere diplomatico di Giorgia Meloni e responsabile del Piano Mattei. Gli avvocati della difesa avevano chiesto ufficialmente che questi personaggi si esprimessero al momento delle udienze, ma nessuno di loro, Saggio compreso, si è materializzato in aula. Proprio la vicinanza di Saied a Meloni ha permesso al presidente tunisino di concludere un accordo con l’Unione europea, con fondi in cambio dell’impegno a rafforzare i controlli sui flussi migratori verso Lampedusa, che in effetti si sono ridotti tantissimo rispetto alla crisi dell’estate 2022.
(da agenzie)

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UNA VOLTA ERANO GLI EUROPEI A EMIGRARE IN AMERICA, ORA IL FLUSSO SI STA INVERTENDO (GRAZIE TRUMP): STATO SOCIALE, QUALITÀ DELLA VITA PIÙ ALTA, CIBO MIGLIORE, CULTURA E DIVERTIMENTI: SEMPRE PIÙ STATUNITENSI SOGNANO DI PARTIRE PER IL VECCHIO CONTINENTE

Aprile 20th, 2025 Riccardo Fucile

IL “FINANCIAL TIMES”: “TRANNE I SUPER RICCHI, PER IL 99 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE AMERICANA EMIGRARE IN EUROPA SAREBBE UN MIGLIORAMENTO DELLA VITA. SUPERA GLI STATI UNITI NEI TRE INDICATORI CHIAVE DI UNA BUONA VITA NEL XXI SECOLO: QUATTRO ANNI IN PIÙ DI ASPETTATIVA DI VITA, MAGGIORE FELICITÀ”

Gli europei sono sempre emigrati in America. Ma cosa succederebbe se il flusso si invertisse? Il numero di americani che affermano di voler lasciare gli Stati Uniti è passato dal 10 per cento nel 2011 a un record del 21 per cento lo scorso anno, secondo quanto riportano i sondaggisti di Gallup — e ciò è avvenuto prima che Donald Trump scatenasse il suo duplice attacco alla ricchezza e alla libertà americana.
Io vivo emotivamente tra i due continenti. Da studente britannico negli Stati Uniti nei primi anni ’90, pensavo che fosse il più grande paese sulla Terra. Ho sposato un’americana, ho avuto figli americani, ma alla fine ci siamo trasferiti a Parigi. Ora ho la sensazione che, anche mettendo da parte in qualche modo le enormi questioni legate a Trump e alla libertà, la maggior parte degli europei viva meglio della maggior parte degli americani.
C’è una grande eccezione: i super-ricchi. Se siete tra quegli americani facoltosi in attesa dell’ennesimo taglio fiscale da parte del Congresso, allora congratulazioni: l’amministrazione Trump sta almeno cercando di gestire il paese a vostro vantaggio.
È improbabile che i governi europei vi offrano lo stesso. Allo stesso modo, la maggior parte degli americani che lavorano nella tecnologia o nella finanza troveranno l’Europa poco dinamica e frustrante.
Questo lascia circa il 99 per cento della popolazione per la quale emigrare in Europa sarebbe un miglioramento della vita. I potenziali beneficiari più grandi sono gli adulti sotto i 35 anni: incapaci di permettersi una casa o persino l’asilo nido nelle principali città americane, ma abbastanza giovani da poter imparare una nuova lingua e costruirsi un nuovo giro di amici.
La logistica dell’emigrazione non è mai stata così facile. Il lavoro da remoto rende inoltre possibile la massima arbitraggio di vita: guadagnare uno stipendio americano vivendo nel Mediterraneo. La tecnologia ha attenuato la nostalgia di casa: puoi attraversare l’oceano ma rimanere in tutti i tuoi gruppi WhatsApp.
Per chi non riesce a imparare le lingue, l’inglese è ormai diffuso in gran parte dell’Europa. E la “Fortezza Europa”, così poco accogliente con le persone provenienti dai paesi poveri, mantiene un cancello permanentemente aperto per gli americani.
Una volta qui, il tuo stipendio potrebbe ridursi, ma le tue spese sicuramente diminuiranno. Il reddito pro capite dell’Eurozona è circa i tre quarti di quello degli Stati Uniti, corretto per il potere d’acquisto, secondo la Banca Mondiale. Gli americani in Europa potrebbero dover rinunciare a qualche bene di consumo.
In compenso, potranno permettersi casa, istruzione e assistenza sanitaria. Il premio medio per un’assicurazione sanitaria familiare negli Stati Uniti è di 25.572 dollari, riferisce la Kaiser Family Foundation. È più dello stipendio medio netto in gran parte dell’Europa. Anche il divertimento qui costa meno.
A pesare di più, tuttavia, sono i benefici psicologici. Vivere in America è un po’ come gestire una propria mini-compagnia assicurativa, pianificando costantemente per future malattie, rette universitarie, eccetera. In Europa, è lo stato a prendersi cura di tutto questo, ed è rilassante. Avrai più tempo libero, dato che gli europei lavorano circa un’ora al giorno in meno rispetto agli americani. Invece di confrontarti continuamente con persone più ricche di te, in Europa potresti essere tu il più ricco nel tuo nuovo giro di conoscenze.
E nonostante tutta la polarizzazione politica europea, il conflitto psichico
quotidiano qui non è paragonabile a quello dell’America di Trump.
Infine, trasferirsi in Europa è una scorciatoia per la salute. La vita americana — fatta di automobili, eccesso di lavoro e cibo processato — è un assalto quotidiano al corpo. Il tasso di obesità degli Stati Uniti, pari al 42,9 per cento, è quasi quattro volte quello della Francia.
In definitiva, come ho già sostenuto in passato, l’Europa supera gli Stati Uniti nei tre indicatori chiave di una buona vita nel XXI secolo: quattro anni in più di aspettativa di vita, maggiore felicità auto-dichiarata e meno della metà delle emissioni di carbonio pro capite, il tutto ottenuto con un rapporto debito/PIL molto più basso.
«Purtroppo, il sogno americano è morto», annunciò Trump nel 2015 scendendo dalla scala mobile dorata della Trump Tower per lanciare la sua campagna presidenziale. Provate piuttosto il sogno europeo.
Simon Kuper
per il “Financial Times”

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LEZIONI PER TRUMP: SULLA TECNOLOGIA, NESSUN PAESE È AUTOSUFFICIENTE (DALLA CINA): LE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO DI SMARTPHONE, PC E ELETTRONICA DI CONSUMO SONO MOLTO COMPLESSE E OGNI PAESE GIOCA IL SUO RUOLO: GLI USA PROGETTANO E DISPONGONO DEI SOFTWARE, TAIWAN PRODUCE I CHIP, BASATI SU PRODOTTI GIAPPONESI E MATERIE PRIME RAFFINATE IN CINA

Aprile 20th, 2025 Riccardo Fucile

IL TYCOON HA DICHIARATO GUERRA A PECHINO, SENZA PRENDERE PRIMA LE CONTROMISURE NECESSARIE (COME ACCUMULARE SCORTE DI MINERALI). RISULTATO? IL CAOS, COME SA BENE NVIDIA

Sei mesi fa, il produttore di chip Nvidia incarnava ciò che gli investitori apprezzavano dell’economia americana: profitti altissimi, innovazione impressionante e un fondatore carismatico — con giacca di pelle — Jensen Huang. Ora, l’azienda è diventata involontariamente un simbolo degli incubi aziendali scatenati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Mercoledì, Nvidia ha avvertito di una perdita imminente di 5,5 miliardi di dollari nei guadagni a causa delle nuove restrizioni statunitensi all’esportazione delle sue vendite di chip verso la Cina.
Huang si è precipitato in Cina, nel tentativo di salvare i suoi accordi. Ma il Congresso ha avviato un’indagine. Quindi il prezzo delle azioni di Nvidia è crollato, insieme ad altre aziende tecnologiche, mentre gli investitori digeriscono una verità spiacevole: i guai di Nvidia sono solo un piccolo (altamente visibile) segnale di un’ampia ondata di imminente disgregazione tecnologica derivante dalle guerre commerciali di Trump.
Ci sono almeno tre grandi lezioni qui. La prima è che la nostra economia politica moderna è perseguitata da una dissonanza culturale. Nella nostra vita quotidiana tendiamo ad agire e pensare come se le piattaforme digitali da cui dipendiamo esistessero in una sfera disincarnata e senza confini.
In realtà, il cyberspazio si basa su infrastrutture fisiche che tendiamo a ignorare — e sulle “catene di approvvigionamento più complesse [mai viste] nella storia umana”, come ha detto Chris Miller, professore della Tufts University, durante una conferenza militare e sulla sicurezza alla Vanderbilt University la scorsa settimana.
Queste catene di approvvigionamento attraversano così tanti confini che “nessun [paese] è autosufficiente — nemmeno lontanamente”, ha aggiunto Miller, osservando che mentre il Giappone domina il settore dei “wafer” (non si
parla di biscotti, ma delle “fette” di semiconduttori su cui vengono realizzati i chip, ndDago), con una quota di mercato del 56%, gli Stati Uniti detengono una quota del 96% nel software di automazione della progettazione elettronica e Taiwan controlla oltre il 95% della produzione avanzata di chip.
Nel frattempo, la Cina elabora oltre il 90% di molti minerali e magneti critici necessari per produrre beni digitali.
La seconda lezione è che la Casa Bianca sembra impreparata alle conseguenze delle interruzioni di questa complessa catena di approvvigionamento.
Consideriamo, ad esempio, la questione dei minerali critici. Questa settimana Pechino ha imposto controlli all’esportazione su sette di questi minerali, dopo che Trump ha imposto tariffe del 145% alla Cina. Non è stata una sorpresa, poiché 15 anni fa la Cina impose restrizioni simili al Giappone
La mossa del 2010 ha provocato tale shock in Giappone che le sue aziende e agenzie governative hanno successivamente creato enormi scorte di questi minerali e sviluppato alcune fonti alternative, riducendo la loro dipendenza dalla Cina dal 90% al 58%.
Ma le entità americane apparentemente non hanno fatto lo stesso: alla Vanderbilt mi è stato detto che le aziende americane hanno (al massimo) alcune settimane di scorte. Anche il Pentagono sembra impreparato.
E mentre la Casa Bianca sta ora cercando fonti alternative — dai fondali marini o da luoghi come l’Ucraina — probabilmente ci vorranno alcuni anni […], come ha avvertito questa settimana il Center for Strategic and International Studies. Ciò significa che l’America sarà “in svantaggio per il prossimo futuro”, aggiunge il CSIS.
Naturalmente, i consiglieri di Trump insistono sul fatto che questa sfida sia temporanea, poiché l’America alla fine creerà una catena di approvvigionamento tecnologica nazionale. Questo è l’argomento avanzato da accoliti di Trump come Peter Navarro, Bob Lighthizer e Stephen Miran, e da scrittori come Ian Fletcher e il trio di tre generazioni Jesse, Howard e Raymond Richman.
Infatti, se si vuole comprendere l’impulso dietro le tariffe specifiche per paese recentemente annunciate da Trump, vale la pena guardare al libro dei Richman “Balanced Trade” e a un successivo saggio del 2011. “La formula di Trump per calcolare le tariffe specifiche per paese è sorprendentemente simile alle nostre
proposte”, afferma Jesse Richman, che cita figure come Warren Buffett e John Maynard Keynes come padri intellettuali di questa filosofia tariffaria.
Forse è così. Ma anche se si abbracciano le teorie è profondamente sciocco imporle senza preparazioni accurate. Iniziare una guerra commerciale con la Cina senza accumulare scorte di minerali critici è un errore particolarmente ovvio e stupido.
Quindi, potrebbe questo costringere Trump a ritirarsi? Forse. Alcuni dei consiglieri di Trump sono ideologi, ma il presidente stesso è tristemente famoso per il suo comportamento transazionale.
Ciò evidenzia semplicemente la terza lezione chiave: la Casa Bianca sembra aver sottovalutato gravemente la leva della Cina in una guerra commerciale. Dopotutto, come osserva il CSIS, “la Cina [si è preparata] con una mentalità da tempo di guerra” per un conflitto da molto tempo. Tuttavia, “gli Stati Uniti continuano a operare in condizioni di pace”, almeno nel mondo aziendale.
Questo sta cambiando rapidamente. E ciò significa che gli investitori dovrebbero prepararsi a ulteriori shock nella catena di approvvigionamento tecnologica. Nvidia è solo l’avanguardia in una tempesta potenziale.
(da agenzie)

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CONTRO LA BANALITA’ DEL DIO LAVORO

Aprile 20th, 2025 Riccardo Fucile

L’ANSIA PRODUTTIVISTA RIDUCE A OGGETTO LE PERSONE… C’E’ CHI VUOLE RIBELLARSI: BASTA STRAORDINARI E SCIOPERO DAGLI SMARTPHONE PER RIPRENDERSI L’ESISTENZA

Nei prossimi giorni, il 1° maggio, si celebrerà la Festa del Lavoro e dei lavoratori. Cioè noi, senza accorgercene, festeggeremo la nostra schiavitù. In epoche pre-moderne il lavoro non è mai stato un valore, tanto che San Paolo, che pur essendo un Santo e quindi disponibile al sacrificio, lo definisce “uno spiacevole sudore della fronte”.
Il lavoro diventa importante, anzi decisivo, con la Rivoluzione industriale il cui feticcio è la produttività. Scrive Dino Buzzati: “La produttività, ecco la sola cosa che veramente conti e davvero non si riesce a concepire come per millenni l’umanità abbia ignorato questa verità fondamentale… Produrre, costruire, spingere sempre più in su le curve dei diagrammi, potenziare industrie, commerci, sviluppare le indagini scientifiche rivolte all’incremento della efficienza nazionale, convogliare sempre maggiori energie nella progressiva espansione dei traffici… Tecnica, calcolo, concretezza merceologica, tonnellate, mercuriali, valori del mercato…” da Era proibito, racconto del 1958 dove lo scrittore si schiera contro la produttività in favore della poesia, cioè
della vita (se non fosse nato prima di me direi che Buzzati mi ha copiato).
La Festa del Lavoro fu istituita negli anni Sessanta dell’Ottocento per difendere i lavoratori dagli eccessi degli industriali che facevano lavorare anche i bambini di sei anni. E furono gli stessi industriali a darsi una qualche calmata quando si accorsero che a furia di massacrare i lavoratori con orari disumani finivano per ammazzarli perdendo così il proprio “capitale umano”, espressione che di per sé già dice tutto. Anche i sindacati sulla linea del pensiero marxista e socialista cercarono di metterci una pezza. Ma, nella sostanza, inutilmente. Per Marx il lavoro resta “l’essenza del valore”, del resto Stachanov è un eroe dell’Unione Sovietica (La classe operaia va in paradiso, 1971, con la straordinaria interpretazione di Gian Maria Volonté) per i liberisti, che non vanno confusi con i liberali, cioè Adam Smith, Ricardo e compagnia cantante, il lavoro è esattamente quel fattore che, combinandosi con il capitale, dà il famoso “plusvalore”.
Intendiamoci, la sete di lucro e la voglia di ricchezza non è solo degli imprenditori, ma come nota sarcasticamente Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904, riguarda “camerieri, medici, cocchieri, artisti, cocottes, impiegati corruttibili, soldati, banditi, i frequentatori di bische, i mendicanti, si può dire presso all sorts and conditions of men…”. Ma che la ricchezza dovesse essere raggiunta non alla Ruota della fortuna o, per dirla adeguandoci ai nostri tempi, con una vincita al Totocalcio o al Lotto o all’Enalotto, questa era la novità inaudita.
Nel maggio del 1987 feci un reportage dal Sudafrica dell’Apartheid. Ciò che dirò appresso riguarda in particolare il Ciskei dove mi fermai una settimana, uno degli Stati interni del Sudafrica mai riconosciuti dalla cosiddetta Comunità internazionale. Mi accompagnava mio cugino, Valerio Baldini, geologo, che da quelle parti aveva vissuto a lungo. Ne riporto qui alcuni stralci (se è consentito a Feltri, lo sarà anche a me spero). “Le case delle campagne, le classiche huts a forma di cono, sono decorose, sia per la costruzione (i tetti sono di paglia, perché è il migliore riparo dal caldo, ma il corpo è di cemento) che per la disposizione. I campi sono coltivati, in genere a granoturco, quel tanto che serve. Sulla strada si colgono scene di un’antica Arcadia: donne alla fonte; donne che portano in equilibrio sul capo fascine di legna, cesti di frutta, secchi di acqua; pastori, immobili, avvolti in lunghi mantelli; fieri cavalieri;
adolescenti, graziose come gazzelle, che giocano a pallamano”. Fui circondato, per curiosità, da alcuni adolescenti che facevano scuola all’aperto, ragazzi e ragazze. Mi guardavano con occhi curiosi, limpidi, privi di malizia. Per essere felici gli mancava solo, e fortunatamente, la consapevolezza di esserlo. Valerio mi disse: “Vedi, il nero ha una cultura completamente diversa dalla nostra. Non ha voglia di guadagnare, di andare avanti, di fare profitti, si accontenta di quello che ha. Un bianco vuole sempre di più, se ha un campo lo coltiva tutto, il nero lo coltiva solo per quella parte che gli serve. Questa mentalità resiste fino a quando il nero non viene in contatto con il modello dei bianchi. Se vive vicino ai bianchi, vedendo come vivono i bianchi, alla fine assume i loro costumi. Quello che ha non gli basta più”. Ecco spiegato in due parole, senza bisogno di Weber, di Sombart, di Simmel e anche di Marx, lo spirito del capitalismo.
Naturalmente noi questo modo di vivere sereno lo abbiamo smantellato soprattutto in Africa nera e cerchiamo di sconvolgerlo, ad uso naturalmente di predazione, ulteriormente con i vari “Piani Mattei”.
Ultimamente c’è una certa rivolta giovanile nei confronti di questa Konkurrenzkampf che ci fa vivere male tutti, in particolare i giovani ma non solo loro. Negli Stati Uniti è nato un movimento, il Luddite club, ispirato al Luddismo, che però non distrugge ingenuamente le macchine, ma si rifiuta di usarle, a cominciare dai micidiali smartphone. Più limitatamente i giovani si rifiutano di fare un solo minuto di straordinario, non vogliono essere disturbati a casa dalle telefonate dei dirigenti. Al lavoro preferiscono la vita.
Massimo Fini
(da ilfattoquotidiano.it)

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“SE ANNULLIAMO IL VOTO PER VANCE POSSIAMO ENTRARE?” AL COLOSSEO, LA RABBIA DEI TURISTI AMERICANI E NON, COSTRETTI A RINUNCIARE ALLA VISITA PER COLPA DEL TOUR PRIVATO DEL VICEPRESIDENTE AMERICANO

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

COLOSSEO BLINDATO MA VANCE NON SI PRESENTA, LA RIVOLTA DEI TURISTI CHIUSI FUORI: “FATECI ENTRARE”… E DAI PARASSITI CHE AVEVANO PAGATO IL BIGLIETTO PARTONO RAFFICHE DI INSULTI A VANCE

Alle 17 in punto il cancellone di ferro del Colosseo si chiude, i dipendenti in felpa gialla e arancione escono di fretta uno dopo l’altro senza dare troppe spiegazioni. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.
Un’ora dopo è atteso il vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, in visita al Parco archeologico nelle sue vacanze romane pasquali. Per questo il questore di Roma ha disposto la chiusura anticipata del Colosseo.
Tutti quelli che hanno prenotato il tour tra le 17 e le 18.15 devono girare i tacchi e tornare a casa, ma saranno rimborsati. Solo che nessuno lo sa (anche se sul sito ufficiale del Colosseo è annunciato da tre giorni). E quindi alle 17.40,
dopo un’ora di attesa succede l’imprevedibile: frotte di turisti, giapponesi, americani, spagnoli, inglesi, italiani, cinesi, francesi, tedeschi, rompono gli indugi, aprono i cancelletti, col bigliettino in mano tentano una improbabile incursione autonoma, scavalcano uno dopo l’altro le recinzioni del serpentone e si piazzano davanti al cancellone, muso a muso con le guardie giurate. “Vergogna”, “è uno scandalo”, “Vance vattene” e decine e decine di insulti e improperi lanciati attraverso le grate e qui irripetibili. “Vogliamo entrare” gridano pure i bambini.
Venti minuti di caos. Escono un paio di ragazzi che lavorano per il Parco a spiegare ai turisti rimasti, stavolta molto gentilmente, la ragione della blindatura, che avranno il rimborso dell’intera tariffa e la possibilità di tornare domani sfidando la calca del giorno di Pasqua. Due turisti americani li guardano rassegnati: “Se annulliamo il voto per Vance possiamo entrare?”.
(da La Repubblica)

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PAPA FRANCESCO NON RICEVE VANCE: IL RAZZISTA AMERICANO CON 40 AUTO DI SCORTA SFRECCIA TRA I PARASSITI ITALIANI E VIENE RICEVUTO SOLO DAL SEGRETARIO DI STATO PAROLIN

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

IL SEGRETARIO VATICANO PRECISA: “SCAMBIO DI OPINIONI SUI MIGRANTI” E IL SEDICENTE CATTOLICO E’ SISTEMATO

Migranti, prigionieri, rifugiati, guerre: quattro parole che durante la nuova amministrazione Trump sono sempre state all’ordine del giorno. Così è stato anche per il bilaterale tra il vicepresidente americano JD Vance e il segretario di
Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Un incontro che, si legge in una nota della Santa Sede, si è incentrato su uno «scambio di opinioni sulla situazione internazionale, specialmente sui Paesi segnati dalla guerra, da tensioni politiche e da difficili situazioni umanitarie».
Con una attenzione particolare dedicata «ai migranti, ai rifugiati, ai prigionieri». Saltato invece il possibile incontro tra JD Vance e Papa Francesco.
Il tema era caldo visti i passati dissapori tra lo stesso Vance e Papa Francesco. Gli ultimi avvenimenti, in particolare le aspre critiche che nelle scorse settimane il Vaticano aveva riservato alle politiche americane di rimpatrio dei migranti clandestini, lo avevano reso ancor più scottante.
All’interno del Palazzo apostolico, dove il braccio destro di Donald Trump è arrivato con la famiglia al completo, JD Vance ha parlato a tu per tu con il cardinale Pietro Parolin e con monsignor Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali.
Il dialogo, scrive la Santa Sede in una nota, è stato occasione per «esprimere compiacimento per le buone relazioni bilaterali esistenti» tra i due Paesi. E al contempo rinnovare «il comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa e di coscienza».
La suggestione di un breve incontro con Papa Francesco è durata solo qualche ora. Vance, che è diventato cattolico da adulto, si trovava già ieri in Vaticano, dove ha partecipato alla celebrazione del Venerdì Santo nella basilica di San Pietro, accompagnato dalla moglie e dai tre figli. Domenica, invece, la famiglia Vance parteciperà alla messa pasquale a San Paolo Fuori le Mura.
I dissapori tra JD Vance e Papa Francesco
Vance in passato non ha nascosto le sue riserve nei confronti del Santo Padre. Nel 2021, quando era ancora senatore, partecipò a una conferenza online organizzata dal Napa Institute, durante la quale criticò apertamente la decisione del pontefice di limitare l’uso della messa in latino. Vance definì la scelta «una restrizione sbagliata». Ma è sul tema dell’immigrazione che le divergenze si sono fatte più marcate: il vicepresidente ha invocato il principio teologico dell’ordo amoris per sostenere la necessità di rimpatriare i migranti irregolari dagli Stati Uniti, affermando che amore e compassione dovrebbero anzitutto essere riservati alla propria famiglia e alla comunità nazionale, prima di essere rivolti agli stranieri. Papa Francesco aveva respinto questa visione, richiamandosi alla parabola del buon Samaritano e ribadendo che l’amore cristiano, per sua natura, deve essere universale e accogliente.
Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, è arrivato questa mattina in Vaticano scortato dalle forze dell’ordine italiane e dai servizi segreti americani. In totale una scorta di 4 macchine, 36 auto e 2 ambulanze. La visita ha visto l’ingresso della delegazione Usa attraverso l’Arco delle Campane, una prassi riservata alle visite ufficiali di stato. Il corteo, composto da una quarantina di vetture tra auto di scorta e quelle del seguito, ha attraversato via della Conciliazione, che è stata momentaneamente chiusa al traffico pedonale e veicolare.
(da agenzie)

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LA SORA “GEORGIA” HA PROMESSO CHE L’ITALIA ARRIVERÀ AL 2 PER CENTO DEL PIL DI SPESE MILITARI, MA OMETTENDO CHE L’OBIETTIVO VERRÀ RAGGIUNTO, FORSE, NEL 2028. NEL FRATTEMPO IL SUO GOVERNO NON UTILIZZERÀ LA DEROGA UE AL PATTO DI STABILITÀ PER IL RIARMO

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

LE IMPRESE ITALIANE INVESTIRANNO 10 MILIARDI NEGLI STATI UNITI, MA NON SI SA QUALI IMPRESE, NÉ IN QUALE ARCO TEMPORALE. IN COMPENSO, È RIMASTA IN SILENZIO DI FRONTE ALLE MENZOGNE TRUMPIANE SULL’UCRAINA, E LO HA DIFESO NEGANDO CHE ABBIA CHIAMATO GLI EUROPEI “PARASSITI” (IN REALTÀ L’HA FATTO DICENDOSI D’ACCORDO CON JD VANCE..)

C’è un solo modo per riassumere la visita di Giorgia Meloni a Washington: la presidente del Consiglio si è resa complice della distruzione della democrazia e dello Stato di diritto negli Stati Uniti e si è messa a disposizione per esportare l’attacco alla democrazia liberale in Europa. Sulla base di un comune assetto di valori e di una analoga disponibilità a deportare migranti illegalmente.
Vediamo i fatti che i giornali non menzionano. La conferenza stampa di Meloni e Trump nello Studio Ovale dura 33 minuti. Meloni parla sì e no per due minuti complessivi. Nessun impegno formale è stato preso, Meloni non poteva negoziare a nome dell’Unione europea sui dazi perché può farlo soltanto la Commissione. L’incontro non ha alcun contenuto.
Eppure anche questo nulla diplomatico è pieno di contenuto politico. Meloni dice due cose inutili sulle quali si esercitano i retroscenisti: le imprese italiane investiranno 10 miliardi negli Stati Uniti, non è chiaro di chi parli e in quale arco temporale, ma è un dato che serve a rafforzare la narrazione trumpiana sul fatto che il resto del mondo che si piega ai dazi americani.
Poi Meloni ha promesso che l’Italia arriverà al 2 per cento del Pil di spese militari come previsto dagli impegni Nato, ma sottolinea che si tratta di impegni presi da governi passati. La premier omette di specificare che l’obiettivo del 2 per cento verrà raggiunto, forse, nel 2028.
Nell’immediato, la linea del governo italiano – ribadita di recente da Meloni in Parlamento – è di non aumentare le spese militari oltre quanto già previsto, e di non sfruttare la possibilità di fare debito pubblico in deroga al patto di stabilità e crescita concessa dalla Commissione europea.
Quindi, Meloni fa il contrario di quanto auspicato da Trump, ma è abile nel fargli credere di assecondare le sue richieste di condivisione degli oneri sulla sicurezza. L’unico obiettivo del vertice è compiacere Trump, confermargli l’allineamento ideologico.
Meloni condensa il suo ruolo di “ponte” tra Europa e Stati Uniti nello slogan “Make the West Great Again”, praticare un “nazionalismo occidentale” che renda grande di nuovo l’Occidente “come civiltà, non come espressione geografica”.
Giorgia Meloni si produce nella piena legittimazione del modello trumpiano e addirittura indica la volontà di costruire insieme un nuovo Occidente intorno a quella comunanza di valori.
Ora, giusto per ribadire l’ovvio, che però sfugge ai giornali italiani: l’amministrazione Trump sta usando la lotta all’ideologia woke per sottomettere le università americane, costringerle a rispondere all’esecutivo, mettere sotto tutela la ricerca, cambiare le pratiche di ammissione, smantellare ogni presidio intellettuale che le rende troppo progressiste per la Casa Bianca, in modo da renderle allineate con il nuovo corso.
Giorgia Meloni ci tiene a sottolineare la sintonia con questo tassello fondamentale della svolta autoritaria.
Quanto alla lotta all’immigrazione illegale: un paio di giorni prima di Meloni, sulla stessa poltrona nello Studio Ovale, stava seduto il dittatore di El Salvador
Nayib Bukele, che è l’equivalente del premier dell’Albania Edi Rama per Meloni, cioè il complice che permette, a fronte di un compenso, di organizzare un sistema di deportazione e detenzione illegale di migranti, sfidando i tribunali domestici.
La differenza è che Trump è arrivato più avanti di Meloni in questo: deporta immigrati irregolari senza alcuna accusa e senza processo in El Salvador, in un carcere di massima sicurezza finanziato dagli Stati Uniti e dal quale nessuno esce.
L’amministrazione Trump ha deportato – per errore, come ha dovuto ammettere – un cittadino salvadoregno in America da 13 anni, Kilmer Abrego Garcia, senza processo, senza ragione, salvo il tentativo di giustificare la cosa a posteriori sostenendo – senza prove – che fosse membro di una gang. La Corte suprema, oltre che un giudice federale del Maryland, ha ordinato a Trump di riportarlo indietro.
I giornalisti americani gliene chiedono conto durante la conferenza stampa con Meloni, il presidente si limita a rispondere che bisogna parlarne con gli avvocati ma che la sua amministrazione sta facendo “un lavoro fantastico nello spedire fuori dal Paese i criminali che Biden aveva lasciato entrare a centinaia di migliaia”.
Meloni non dice una parola, non potrebbe, non è previsto dal protocollo e non ha certo intenzione di dissentire. Ma questo è un silenzio complice. L’approvazione, tacita ed esplicita, della più clamorosa violazione dei diritti umani e della Costituzione americana della quale Trump si è reso responsabile fin qui.
L’unico altro momento degno di nota è quello in cui Giorgia Meloni si premura di non rinnegare l’appoggio dell’Italia all’Ucraina, senza però indisporre Trump.
Le parole di Meloni sono prive di senso: “Penso che ci sia stata chiaramente una invasione e che l’invasore da quel punto di vista fosse Putin e la Russia ma non è questo… oggi quello che rivela è il fatto che oggi lavoriamo, stiamo lavorando, per arrivare a una pace che sia giusta e duratura”.
E’ chiaro che se “non rivela”, che poi sarebbe “non rileva” il fatto che la Russia abbia invaso l’Ucraina e se la pace va negoziata a prescindere da questo insignificante dettaglio, le premesse non sono le migliori per Kiev e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Poi Trump nega di aver dato le colpe a Zelensky della guerra, cosa che ha fatto più volte, e nega anche di aver chiamato gli europei parassiti, cosa che ha fatto, e Giorgia Meloni lo appoggia in questa ennesima bugia.
Quindi, il comune Occidente da rendere “di nuovo grande” che Meloni vuole costruire assieme a Trump è un occidente fatto di attacchi alle università, deportazioni illegali, e negazione della realtà. Un bel programma
A conferma di questi nuovi rapporti tra Stati Uniti e Italia, il giorno dopo il vertice alla Casa Bianca, Giorgia Meloni ha accolto a palazzo Chigi anche il vice presidente JD Vance con la moglie Usha Chilukuri.
Vance e signora sono venuti in Italia per la Pasqua per sancire qual è il senso e l’utilità dell’Italia nella geopolitica dell’amministrazione Trump: un Paese con un governo ideologicamente allineato dove passare le vacanze.
(da Appunti)

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DATI EUROSTAT: CAMPANIA, CALABRIA E SICILIA LE TRE REGIONI PEGGIORI IN UE PER L’OCCUPAZIONE, SIAMO IL TERZO MONDO DELL’OCCIDENTE, ALTRO CHE SPARARE CAZZATE PER I GONZI

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

LA CAMPANIA E’ LA REGIONE EUROPEA CON IL PIU’ BASSO TASSO DI OCCUPAZIONE FEMMINILE

Arranca ancora l’occupazone al Sud Italia, con tre regioni che restano tra le peggiori quattro in Ue. Secondo le ultime tabelle Eurostat riferite al 2024, dopo
la Guyana, regione d’Oltremare francese, le aree con il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni più basso sono la Calabria con il 44,8%, in aumento di 0,2 punti sul 2023, la Campania con il 45,4%, in aumento di un punto percentuale e la Sicilia con un tasso di occupazione del 46,8% con la crescita di 1,9 punti percentuali. In Ue in media il tasso di occupazione è al 70,8% mentre in Italia nel complesso è al 62,2%.
Se si escludono regioni d’Oltremare ultime 4 posizioni tutte italiane
Se si escludono le regioni d’Oltremare, Guyane e Reunion per la Francia (per la Mayotte non ci sono i dati) e Melilla e Ceuta per la Spagna, e si guarda solo a quelle sul territorio europeo le regioni del Sud Italia sono le peggiori in assoluto per tasso di occupazione e prendono gli ultimi quattro gradini della classifica con l’aggiunta della Puglia, che segna un tasso del 51,2% anche se in aumento di 1,5 punti. Rispetto alle regioni con il tasso di occupazione più alto come Zeeland (84,5%) la distanza supera i 30 punti e sfiora i 40 per la Campania.
Campania regione europea con il tasso di occupazione femminile più basso
La crescita del lavoro nel Sud è superiore a quella media in Ue (+0,4 punti) ma il divario è ancora troppo ampio soprattutto a causa della bassa occupazione femminile. La Campania con il 32,3%, e quindi meno di una donna tra i 15 e i 64 anni al lavoro, è la regione europea con il tasso di occupazione femminile più basso, seguita dalla Calabria con il 33,1% e la Sicilia con il 34,9%. il tasso è aumentato in Campania e in Sicilia più velocemente della media Ue che ha segnato una crescita di 0,5 punti dal 65,7% al 66,2% ma la distanza con l’Ue appare ancora siderale con oltre trenta punti in meno.
Nel complesso in Italia occupazione femminile al 53,3%
Nel complesso in Italia per le donne il tasso di occupazione è al 53,3% a fronte del 66,2% medio in Ue ma mentre nelle regioni del Nord il tasso si avvicina alla media Ue e nel caso della provincia autonoma di Bolzano con il 68,6% la si supera, nel Meridione l’obiettivo è lontano.
Se nel complesso in Italia per uomini e donne la distanza con l’Ue si è ridotta a 8,6 punti (70,8 il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni in Ue, 62,2 in Italia) dagli 8,9 del 2023 per gli uomini il divario è di appena 4,3 punti a fronte dei 12,9 che hanno le donne. Ma anche per gli uomini le differenze territoriali sono evidenti con alcune regioni della Germania sopra l’84% degli uomini in età da lavoro occupato e la Calabria che con il 56,6% fa meglio solo di alcune regioni
d’Oltremare come Reunion e Guadalupe.
(da agenzie)

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LO ASPETTANO IN 15 (ITALIANI) ALL’USCITA DA SCUOLA E LO MASSACRANO CON I TIRAPUGNI: LA SPEDIZIONE PUNITIVA PER AVER DIFESO UN AMICO DAI BULLI A MONTEBELLUNA

Aprile 19th, 2025 Riccardo Fucile

IL DIRIGENTE SCOLASTICO VALUTA L’ESPULSIONE PER CHI HA PARTECIPATO ALL’AGGRESSIONE… MA CACCIATELI IN GALERA E BUTTATE LA CHIAVE: LE FOGNE VANNO DEPURATE

Lo hanno aspettato davanti a scuola in quindici e lo hanno picchiato a sangue con calci e tirapugni perché aveva preso le difese di un compagno vittima di bullismo, riprendendo un pestaggio contro di lui. Un quindicenne di Montebelluna, in provincia di Treviso, è finito in ospedale dopo essere stato vittima di un’aggressione da parte di una baby gang di giovanissimi italiani d
seconda generazione, tutti tra i 15 e i 16 anni di età. Ora il dirigente scolastico dell’istituto Einaudi Scarpa, Massimo Ballon, starebbe valutando l’espulsione di tutti i ragazzi coinvolti, che sono stati prontamente individuati dalle forze dell’ordine.
La spedizione punitiva ripresa e messa sui social
Il «regolamento di conti» è avvenuto poco prima della campanella delle 8 di mattina. Il giovane, sceso dall’autobus ignaro di tutto, si è trovato di fronte un capannello di quindici ragazzi. Hanno iniziato a insultarlo e picchiarlo: calci, pugni – anche con un tirapugni – per poi lasciarlo sanguinante a terra. Tutti attorno gli altri studenti, con lo smartphone in mano per registrare i video finiti sui social media. Immediato l’intervento dei carabinieri di Montebelluna e di una ambulanza del Suem 118, che ha trasferito il ragazzo all’ospedale San Valentino.
Il sindaco di Montebelluna: «Purtroppo non è un caso isolato»
Una situazione non isolata, e che anzi negli ultimi mesi si è più volte ripresentata in tutta Italia e nello stesso Veneto. A Valdobbiadene, dallo scorso gennaio il sindaco ha disposto presidi fissi delle forze dell’ordine nelle vicinanze degli istituti scolastici, nelle aree esterne e in corrispondenza delle fermate degli autobus. Una soluzione a cui, secondo il Corriere del Veneto, starebbe pensando anche il primo cittadino di Montebelluna, Adalberto Bordin; «Da mesi abbiamo introdotto una pattuglia fissa della polizia locale in centro durante il weekend. Quello che è successo purtroppo non è un caso isolato».
(da agenzie)

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