Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
L’AVVOCATO: “LO HANNO FATTO PER DARSI UNA POSSIBILITA’ DI VITA”
“Sono scappati dall’Armenia in coppia, un figlio per uno. Aram, 12 anni,
con la mamma, Tadevos di 15 con il papà. Lo hanno fatto per darsi una possibilità di vita in più”. A parlare è l’avvocato Stefano Afrune che racconta a Fanpage.it la storia di Aram al quale, dopo più di dieci anni trascorsi in Italia, a giugno 2023, la Questura di Bergamo ha contestato il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo politico, la cui mancanza, però, lo esporrebbe ai rischi dai quali era scappato. Per questo Aram, insieme all’avvocato Afrune, ha impugnato la decisione della Questura che, alla fine, gli ha dato ragione confermando il suo diritto a restare.
“La famiglia ha deciso di fuggire dal proprio Paese dopo essere riuscita a scampare a un attentato della criminalità organizzata per via dell’attività lavorativa del padre che era nei servizi anticrimine della polizia armena”, ha continuato a raccontare Afrune a Fanpage.it. Così sono partiti e per nove mesi c’è stato silenzio, senza notizie l’uno dell’altro proprio perché giunti in Italia in momenti e destinazioni diverse. È per opera della Questura di Matera che, alla fine, nel 2011, il papà senza parlare l’italiano, ma con una foto della moglie e un biglietto che chiede di aiutarlo a ritrovare la sua famiglia, è riuscito a ritrovarli.
“Lì, con il Modulo C3 per richiedenti protezione internazionale, la famiglia è stata riunita. I genitori hanno ottenuto lo status di rifugiati e la Commissione lo ha riconosciuto nell’interezza a tutto il nucleo familiare, estendendolo anche ai figli, in ragione della gravità dei motivi che li avevano condotti alla fuga e per il fatto che i minori fossero essi stessi esposti al rischio vitale”, ha spiegato l’avvocato.
Qualche tempo dopo, la famiglia ha deciso di trasferirsi a Bergamo per motivi di lavoro e, con il passare degli anni, Aram e Tadevos sono diventati maggiorenni. “I due figli hanno sempre rinnovato lo status di rifugiati politici. In particolare, Aram ha ottenuto il rinnovo come rifugiato anche da maggiorenne”, ha detto ancora Afrune a Fanpage.it. “Il problema è sorto al suo secondo rinnovo quando la Questura di Bergamo gli ha contestato che la domanda di asilo politico l’avessero fatta i genitori e non lui in prima persona”.
Per questo motivo la Questura gli preavvisa il rigetto della domanda di
rinnovo del permesso di soggiorno per asilo politico e lo invita, invece, a chiedere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi lavorativi. “Qual è il problema della questione? Qualsiasi altra tipologia di richiesta obbligherebbe Aram a confrontarsi con la propria ambasciata, ad avere rapporti con il proprio Paese d’origine, e questo potrebbe però esporlo ai rischi dai quali era scappato. Per questo motivo abbiamo impugnato la decisione della Questura di Bergamo dinanzi al tribunale di Brescia”, ha ribadito l’avvocato. “Abbiamo contestato la totale arbitrarietà dell’azione posta in essere dalla Questura di Bergamo che in maniera illegittima si è arrogata il diritto di fare delle valutazioni che per legge le sono vietate. Avrebbe potuto farle la Commissione con un provvedimento che, però, non c’è stato. E, infatti, la Corte d’appello di Brescia ha poi riconosciuto che il ragazzo già da maggiorenne avesse avuto un primo permesso di asilo politico e che in fase di rinnovo la Questura non avesse potere di valutazione nel rinnovare o meno il suo status di rifugiato”.
“Infine, non bisogna dimenticare che oltre agli elementi fattuali c’è anche l’aspetto dei diritti”, ha concluso Afrune a Fanpage.it. “Dalle carte della protezione internazionale del nucleo familiare è emerso con chiarezza che lo status di rifugiato fosse stato riconosciuto all’intero nucleo familiare e che i minori fossero vittime e potenziali vittime di una vendetta legata alle vicende paterne. Per questo, una qualsiasi decisione diversa da quella del rinnovo del permesso di soggiorno per asilo politico avrebbe avuto conseguenze dirette sull’incolumità fisica di Aram, perché anch’egli era stato vittima di attentato e potrebbe esserlo nuovamente”.
(da Fanpage)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
L’UE REAGIREBBE CON CONTRO-DAZI IL 14 LUGLIO – SE NON CI FOSSE UN ACCORDO TRA USA E CINA, L’UE AVREBBE UN ALTRO PROBLEMA: GESTIRE I 439 MILIARDI DI DOLLARI DI EXPORT CINESE RESPINTI DAGLI STATI UNITI – NEL CASO IN CUI LE MERCI A BASSO COSTO CINESI INVADESSERO I MERCATI EUROPEI, L’UE SAREBBE COSTRETTA AD ALZARE A SUA VOLTA LE BARRIERE ALLA DOGANA
No deal: nessun accordo con gli Stati Uniti. Dopo la fumata nerissima della visita del
commissario Sefcovic negli Stati Uniti, dove la proposta europea di “dazi zero” è stata liquidata e in due ore di dialogo non si è neppure capito cosa Trump voglia, a Bruxelles ci si sta preparando per lo scenario peggiore. […] No deal, appunto, nessun accordo nei prossimi tre mesi. A quel punto le tariffe “reciproche” americane entrerebbero in vigore, salendo dal 10 al 20% su tutti i beni ed affiancandosi a quelle settoriali metalli, auto e probabilmente anche su chip e farmaci.
I tecnici di Bruxelles si stanno attrezzando per reagire subito e in modo proporzionale a questa eventualità. Verrebbe riattivato il pacchetto di ritorsioni contro i dazi su acciaio e alluminio già predisposto e votato dai 27, ora sospeso. E se ne prepara un secondo, molto più corposo, per rispondere ai dazi reciproci. Scatterebbero tutti insieme il 14 luglio, è la linea della Commissione, senza più concedere pause a Trump.
Si negozia insomma con l’arma delle ritorsioni – carica – sul tavolo, anche per proiettare forza verso chi sembra riconoscere solo quella. Sullo sfondo anche il bazooka evocato da Ursula von der Leyen, cioè la possibilità di tassare i servizi digitali colpendo i colossi di Big Tech. Nel frattempo però c’è un secondo no deal, altrettanto pericoloso, a cui l’Europa si sta preparando.
È quello tra Stati Uniti e Cina, che farebbe divorziare le due economie con barriere invalicabili e come detto ieri dal Wto – potrebbe spingere l’impressionante flusso di esportazioni della Repubblica Popolare a prezzi ancora più scontati verso altri mercati. Il rischio è da tempo nel mirino della Commissione, che ha attivato un sistema di allerta precoce per identificare eventuali flussi anomali. E spiega anche in parte il riavvicinamento con Pechino.
Ursula von der Leyen ha sollevato il tema in una telefonata con il premier cinese Li Qiang, ottenendo da quest’ultimo una rassicurazione: la Cina assorbirà eventuali impatti di un blocco del mercato americano, sua prima destinazione di export, attraverso uno stimolo della domanda interna.
Da parte di Bruxelles c’è stata un’apertura di credito nei confronti dell’offensiva diplomatica che Pechino ha lanciato nelle ultime settimane. La si legge nella disponibilità a riaprire il tavolo sui dazi imposti alle auto cinesi, che potrebbero essere trasformati in un meno pesante prezzo minimo. […] L’Europa vedrebbe con favore maggiori investimenti dei campioni cinesi sul suo territorio, se questi accettassero di allearsi con aziende europee e trasferire le loro tecnologie, come del resto raccomandato anche dal rapporto Draghi
Ma come tutti gli impegni di Pechino, spesso disattesi, anche quello di contenere il suo strabordante eccesso di capacità produttiva va preso con sano scetticismo, e verificato nei fatti. Se è vero che le autorità comuniste hanno già lanciato un programma di stimolo della domanda interna, è difficile che questo basti a bilanciare i 439 miliardi di dollari di export potenzialmente respinti dagli Stati Uniti. Senza contare che nel frattempo le aziende cinesi, favorite da sussidi diretti e indiretti, continuano ad investire in nuovi impianti. […] Nel caso in cui l’ondata di merci cinesi arrivasse, ennesimo scenario da no deal, l’Europa e gli altri Paesi avrebbero poche alternative se non alzare a loro volta delle barriere protettive alla dogana.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
“REAGAN AVEVA PROMESSO CHE LA LIBERALIZZAZIONE GLOBALE AVREBBE ARRICCHITO TUTTI. QUARANT’ANNI DOPO, LA CLASSE MEDIA AMERICANA NON HA VISTO ALCUN BENEFICIO”
“Gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del mondo». L’economista francese Thomas Piketty analizza le derive del trumpismo, la fragilità dell’egemonia americana e le esitazioni dell’ Unione europea di fronte a una nuova fase di instabilità globale
Emerge una contraddizione tra la potenza americana e il suo livello di indebitamento
«Sì, ed è un punto centrale. Il debito verso l’estero degli Stati Uniti è enorme e finora è costato poco, grazie a tassi d’interesse storicamente bassi. Ma ora le cose stanno cambiando. Con tassi al 4 o 5%, gli Stati Uniti dovranno cominciare a pagare pesantemente il resto del mondo. È una situazione inedita per una potenza dominante».
Vede una logica neocolonialista?
«Trump sogna di tornare a quella logica, appropriandosi in modo brutale di risorse strategiche. Non è fondamentalmente peggiore delle potenze coloniali europee prima del 1914. Semplicemente, sbaglia epoca. Vorrebbe che quella che lui considera la pax americana […] fosse finalmente retribuita. Pensa che questo debba permettere agli Stati Uniti di finanziare i propri deficit eternamente. Si è già cominciato a vedere con le sue posizioni su Groenlandia, Panama o sulle terre rare in Ucraina».
È solo una reazione alla perdita di potenza al livello economico e finanziario?
Il trumpismo è prima di tutto una reazione al fallimento del reaganismo. Reagan aveva promesso che la liberalizzazione globale avrebbe arricchito tutti. Quarant’anni dopo, la classe media americana non ha visto alcun beneficio. Da qui, la fuga in avanti verso il nazionalismo, una postura classica a destra. Ma il discorso protezionista è anche contraddittorio: oggi gli Stati Uniti sono in piena occupazione. Dicono di aver perso posti di lavoro, ma se davvero volessero crearne dieci milioni in più, dovrebbero far arrivare lavoratori messicani e molti più immigrati. Ciò che motiva davvero Trump, J.D.Vance e i miliardari che li sostengono non è tanto la difesa dell’occupazione quanto la perpetuazione di un modello inegualitario e autoritario»
L’Europa negozia sui dazi. Quale potrebbe essere l’esito?
«L’Europa può diventare un polo di stabilità nella globalizzazione. […] Bisogna riequilibrare le istituzioni internazionali — Fmi, Banca mondiale, Wto — dando più peso a paesi come Brasile, India, Sudafrica[…] Se l’Europa non prende l’iniziativa, i Brics continueranno a costruire una propria architettura, come stanno già facendo con la New Develop
Cosa dovrebbe fare l’Ue?
«L’Europa deve quindi uscire dalla sua postura attendista e malthusiana, ovvero restrittiva. Deve investire di più sul continente, invece di accumulare surplus commerciali che sono il segno di un sottoinvestimento cronico. Ci sono poi decisioni assurde, come comprare armi per compiacere Trump, come se fosse nel nostro interesse».
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
DUE CONSIGLIERI REGIONALI DELLA LEGA PASSANO AL PARTITO DI MELONI E ALTRI POTREBBERO SEGUIRLI … IL “DOGE” S’INCAZZA: “SENZA DI NOI NON SAREBBERO MAI STATI ELETTI. ALLE PROSSIME ELEZIONI MANCANO ANCORA DEI MESI, E MIO NONNO DICEVA SEMPRE CHE È SBAGLIATO FARE I CONTI SENZA L’OSTE”… MA SE L’OSTE E’ UN PAVIDO, SI ACCONTENTI DI TENERE LO STRASCICO AL CAPITONE
Due consiglieri regionali del Veneto – di più: due dei cinque presidenti delle
commissioni assegnate a membri del centrodestra – passati, con uno
scarto di 24 ore l’uno dall’altro, a Fratelli d’Italia. E il fortino veneto della Lega che inizia a perdere i pezzi: Marco Andreoli e Silvia Rizzotto.
«Un cambio di casacca proprio all’indomani della sentenza che sbarra la strada a un nuovo mandato per Luca Zaia. Difficile pensare al caso», congettura il capogruppo Alberto Villanova, fedelissimo del presidente. Mentre Zaia stesso tuona: «Se Andreoli e Rizzotto si fossero candidati con FdI nel 2020, non sarebbero nemmeno entrati in Consiglio regionale. Alle prossime elezioni mancano ancora dei mesi, e mio nonno diceva sempre che è sbagliato fare i conti senza l’oste…»
Ma intanto lo “Zaiastan” inizia a sgretolarsi. Sotto le picconate di un partito, Fratelli d’Italia, che proprio nel Veneto terra di secessione ha registrato il risultato più importante, alle urne. «Non riesco più a stare in un partito il cui segretario federale vede un idolo in Trump o in Putin. Salvini è un estremista, che troppe volte ha trasformato le sue opinioni personali in linee programmatiche del partito. Non sopporto il suo dileggiare chi usa l’auto elettrica, come il sottoscritto, né il suo negare il cambiamento climatico», diceva Andreoli, ancora un mese fa, in un’intervista al Mattino di Padova.
E sabato è arrivata la formalizzazione delle dimissioni, accompagnata dal passaggio in Fratelli d’Italia. «Ho atteso, per rispetto, che terminasse il Congresso federale. Ma oggi, dopo molti anni, annuncio che lascio la Lega. Un partito che è cambiato molto e nel quale non mi riconoscevo più. Mentre mi riconosco in Fratelli d’Italia, in Giorgia Meloni e nel suo governo, l’unico ad avere portato avanti seriamente la riforma per l’Autonomia».
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
”MIGRANTI DEPORTATI SENZA PROVE E SENZA OPPORTUNITA’ DI DIFENDERSI”
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump rischia di essere accusato di oltraggio alla corte per non aver rispettato una sentenza del tribunale di Washington Dc, risalente al 15 marzo, che gli ordinava di sospendere immediatamente le espulsioni illegali di persone migranti. A dichiararlo è stato il giudice federale James Boasberg, con un’ordinanza.
Nel testo si legge che ci sono le basi per una denuncia, e che quindi la Casa Bianca può rispondere in due modi: spiegare cosa ha fatto e cosa intende fare concretamente l’amministrazione per rispettare la sentenza; oppure dichiarare ufficialmente chi sono le persone che, pur essendo a conoscenza della sentenza, hanno deciso di non bloccare le deportazioni. Le persone (tra cui ci potrebbe essere anche il presidente stesso) che saranno poi accusate di oltraggio alla corte
Perché Trump e i suoi ufficiali rischiano l’accusa di oltraggio alla corte
Il giudice ha dato tempo a Trump e alla sua amministrazione fino al 23 aprile per rispondere, ma il direttore delle comunicazioni della Casa Bianca Steven Cheung ha già replicato sui social, dicendo: “Intendiamo fare immediatamente ricorso. Il presidente è impegnato al 100% ad assicurarsi che migranti illegali terroristi e criminali non siano più una minaccia per gli americani e le loro comunità in tutto il Paese”. Ancora una volta, quindi, sembra che non ci sia nessuna intenzione di ascoltare la sentenza.
Il giudice sostiene che, se la Casa Bianca non spiegherà cosa ha fatto per rispettare la sentenza, potrà svolgere lui stesso delle audizioni e poi segnalare il caso alla procura, per procedere con l’accusa di oltraggio alla corte. Se il procuratore generale del dipartimento di Giustizia, legato all’amministrazione Trump, si rifiutasse di raccogliere il caso, Boasberg ha detto che si rivolgerebbe a un altro legale. Il giudice ha scritto: “La Costituzione non tollera la volontaria disobbedienza a ordini giudiziari – specialmente da parte di ufficiali che hanno giurato di difenderla”.
La ‘minaccia’ nell’ordinanza di Boasberg è la più dura risposta legale arrivata finora alle azioni della presidenza di Donald Trump. In passato la minaccia di essere accusati di oltraggio alla corte è stata sufficiente a spingere gli esponenti del governo a obbedire alle sentenze, ma in questo caso sembra che la Casa Bianca voglia continuare lo scontro. Peraltro, la legge prevede che il presidente possa concedere la grazia a persone condannate di oltraggio.
La sentenza sui migranti e l’attacco del presidente Us
La sentenza di Boasberg a marzo si riferiva a un gruppo specifico di persone migranti che erano in trasferimento verso El Salvador, nella prigione di massima sicurezza dove vengono incarcerate le persone deportate. Erano state accusate, senza prove, di avere dei legami con una gang venezuelana; poi catturate e deportate senza aver avuto l’opportunità di difendersi legalmente. L’ordine era di fermare quei voli e farli tornare negli Usa, cosa che l’amministrazione non ha fatto
Dopo la sentenza del giudice, il presidente Trump aveva attaccato
Boasberg e detto che avrebbe dovuto essere rimosso dal suo incarico. Il segretario di Stato Marco Rubio aveva condiviso un post in cui il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, condivideva la notizia della sentenza e scriveva: “Ops… Troppo tardi”.
Il caso Abrego Garcia
Il caso è scollegato da quello di Kilmar Abrego Garcia, cittadino salvadoregno che viveva da anni negli Stati Uniti ed è stato deportato senza motivo. Anche l’amministrazione ha ammesso che il suo arresto è avvenuto “per errore”. Sulla vicenda di Abrego Garcia è intervenuta la Corte Suprema, che ha deciso all’unanimità – nonostante nella Corte siedano in maggioranza dei giudici conservatori, di cui diversi nominati da Trump stesso – che gli Stati Uniti devono riportarlo nel Paese. Ma finora l’amministrazione Usa ha opposto resistenza alla decisione, scaricando la responsabilità su El Salvador (che viceversa ha detto che non spetta a loro farlo rientrare).
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP HA MINACCIATO DI VIETARE ALL’ATENEO DI AMMETTERE STUDENTI STRANIERI SE NON ACCETTERÀ DI SOTTOPORSI A CONTROLLI SULLE AMMISSIONI, SULLE ASSUNZIONI E SULL’ORIENTAMENTO POLITICO
L’amministrazione Trump ha chiesto al fisco (Irs) di revocare le esenzioni fiscali di cui
gode Harvard in una nuova, significativa escalation nel braccio di ferro tra il presidente americano Donald Trump e la più ricca università del mondo che si é opposta ai suoi diktat di adeguarsi nei programmi, le assunzioni e le ammissioni degli studenti alle sue politiche anti-Dei (diversità, equità e inclusione).
Le esenzioni fiscali sono accordate a organizzazioni caritatevoli, religiose o attive nel campo dell’istruzione. In cambio le organizzazioni devono astenersi dal fare attività politica. Non ci sono prove che Harvard abbia violato questi paletti, secondo esperti citati dal Washington Post.
Sta all’Irs la decisione ultima se cambiare lo stato esentasse di Harvard. Il capo facente funzione dell’agenzia per le imposte, Andrew De Mello, ha ricevuto oggi la richiesta della Casa Bianca e deve ancora decidere se porla in atto. Ieri Trump aveva minacciato la revoca delle esenzioni fiscali attaccando poi Harvard come “una barzelletta” che “insegna l’odio e la stupidità” e che “non merita” l’accesso a fondi federali.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
TRUMP INCARNA PERFETTAMENTE IL RANCORE SOCIALE DELL’IGNORANTE CHE DETESTA LA CULTURA
L’attacco di Trump a Harvard, così come lui stesso lo ha twittato, meriterebbe di finire nei libri di storia – ammesso che i libri di storia siano previsti anche per gli anni a venire.
La violenza verbale, la cieca faziosità politica, l’astio personale (i “nemici” indicati con nome e cognome, manca solo l’indirizzo di casa), il rancore sociale dell’ignorante che detesta la cultura, non consentono ombra di dubbio su teoria e prassi del trumpismo, che è pura volontà di annientamento di tutto ciò che gli si oppone o lo contraddice.
È un esercizio retorico chiedersi se e quanto Trump sia distante dal fascismo. Ogni suo atto politico (a cominciare dall’oltraggioso indulto
oncesso a chi aveva assaltato il Parlamento) è uno sputo alla democrazia, al diritto di opposizione, alle regole scritte e non scritte che consentono la convivenza tra opinioni e interessi differenti.
L’odio speciale che stilla dall’anatema contro Harvard aggiunge, poi, qualcosa che già si sapeva, ma non con questa imbarazzante evidenza: la cultura è qualcosa che i soldi non bastano a comperare, neppure i miliardi di Trump e dei suoi amici, e questo la rende particolarmente insopportabile alle persone che ritengono in vendita qualunque cosa, qualunque condizione, qualunque essere umano. Studiare in posti come Harvard costa, è precluso ai poveri. Ma educare il proprio cervello allo studio, alla lettura e alla comprensione del mondo è precluso anche al più ricco dei ricchi, se non è disposto all’umiltà e alla curiosità. Imparare è più difficile che comandare. Distruggi tutto quello che non puoi avere, tutto quello che non puoi essere: ecco Trump.
(da La Repubblica)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
MENTRE IL MINISTRO PENSA ALLA LOTTA CONTRO I MAGISTRATI, OGNI QUATTRO GIORNI UN DETENUTO SI SUICIDA NELLE CARCERI ITALIANE, IL SORAFFOLLAMENTO A SUPERATO IL 132%
Ogni quattro giorni una persona si suicida in un carcere italiano. I numeri sono
inchiostro freddo, ma raccontano l’urlo strozzato di un sistema che implode: 62.165 detenuti stipati in spazi pensati per meno di 47mila.
Il sovraffollamento ha superato il 132%. In alcune celle si dorme in tre per terra, con un solo bagno e senza assistenza. E il ministro Carlo Nordio, che pure aveva promesso una riforma epocale, ha deciso che la colpa non è sua. È dei giudici. Dei magistrati. Delle leggi che non riesce a cambiare, o che scrive con l’intento di peggiorare.
Mentre i tribunali internazionali condannano l’Italia, Nordio si assenta. L’ultima bacchettata è arrivata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il caso di Simone Niort: 27 anni, 9 dei quali passati in carcere nonostante una grave patologia psichiatrica. Venti tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, nessuna struttura adeguata. La Cedu ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione: trattamenti inumani e degradanti. Eppure, nulla. Nessuna risposta strutturale, nessuna assunzione di responsabilità.
Il decreto che punisce la povert
I numeri parlano anche di 89 suicidi nel 2024. Di celle pensate per quattro
persone che ne ospitano otto. Di rivolte, come quella nel carcere di Cassino, o fughe, come quella dal Malaspina di Palermo, che non sono solo cronaca nera, ma sintomi di una malattia istituzionale. Di una giustizia penale che si è trasformata in discarica sociale.
Il decreto Sicurezza, tanto sbandierato dal governo Meloni, non solo non affronta il problema, ma lo aggrava.
Introduce reati che criminalizzano la marginalità: resistenza passiva nei Cpr e nelle carceri, occupazioni abusive punite come omicidi colposi. La Giunta esecutiva centrale dell’Anm ha segnalato evidenti profili di incostituzionalità, sottolineando che “si introducono nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita”. “Basti pensare – ha aggiunto l’Anm – che la pena per l’occupazione abusiva di immobili coincide con quella prevista per l’omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Inoltre, incriminare la resistenza passiva nelle carceri e nei Cpr, e dunque la resistenza non violenta e la semplice manifestazione del dissenso, produce effetti criminogeni”. È un diritto penale costruito per punire l’esclusione, non per prevenire il crimine.
Di fronte a questa emergenza, il ministro propone moduli prefabbricati antisismici. Celle in lamiera come soluzione al disagio. Affidarsi alle baracche per nascondere l’assenza di una visione. La riduzione della carcerazione preventiva è rimasta un annuncio. Il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d’origine è un miraggio. L’edilizia penitenziaria è ferma a promesse e slide.
Mattarella parla. Nordio scompare.
Il 25 marzo 2025, nel messaggio per il 208° anniversario della fondazione del Corpo di polizia penitenziaria, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito “assai critiche” le condizioni del sistema carcerario e ha denunciato il “grave fenomeno di sovraffollamento in atto”. Un richiamo netto all’articolo 27 della Costituzione, che impone alla pena una funzione rieducativa. Ma Nordio, ancora una volta, ha fatto finta di nulla. Non ha nemmeno partecipato alla seduta straordinaria della Camera
dedicata al tema. Il ministro della Giustizia assente quando si parla di giustizia.
Eppure, qualcosa si muove. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha finalmente emanato linee guida per garantire il diritto alla sessualità e agli affetti in carcere. Un segnale. Ma isolato. Non basta garantire un colloquio privato se nel frattempo si nega una terapia, se si muore nel silenzio, se si aggrava una malattia dietro le sbarre.
Il carcere, oggi, è luogo di abbandono, di espiazione cieca, di violenza burocratica. Non serve un piano emergenziale, serve una riforma etica. Nel frattempo, chi può, scappa. Chi non può, si toglie la vita. E lo Stato, invece di rispondere, volta lo sguardo.
(da agenzie)
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Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
IL “BENVENUTO” DEI MEDIA AMERICANI ALLA STATISTA DELLA GARBATELLA CHE ALLE 18 ORA ITALIANA SARA’ RICEVUTA ALLA CASA BIANCA … LE PROVE DELLA MELONI CON LO STAFF PER EVITARE LE INSIDIE
Ha simulato e simulato ancora la scena nello Studio Ovale. Non davanti allo specchio, ma con il suo staff. Ne ha parlato anche durante il vertice con i ministri, l’altro ieri: come reagire, quanto tacere, in che modo dribblare gli ostacoli. Cosa può andare male? Ha perfino raccolto informazioni su come muoversi con Donald Trump, domandando a chi in passato ha trattato con il tycoon. A guidarla, una necessità politica: evitare incidenti. E un imperativo tattico: non mostrarsi deboli. Rispondendo a eventuali sgarbi. Ma soltanto se necessario e dosando l’intensità della reazione.
Per Giorgia Meloni è una vigilia tesa. Lo scrivono anche il New York Times e il Washington Post, mentre lei consuma la vigilia ospite della Blair House presidenziale: la posta in gioco della missione «è molto alta», sostengono, e l’italiana «rischia il suo capitale politico in Europa e in patria per un incontro dai possibili esiti negativi». Certo, la possibile partecipazione di Elon Musk nella delegazione del bilaterale potrebbe comunque favorire il buon esito del confronto. Ma la chiacchierata nello Studio Ovale può comunque prendere direzioni imprevedibili.
A preoccupare è la porzione pubblica del faccia a faccia. Non tanto l’eventuale conferenza stampa, che anzi Palazzo Chigi non disdegnerebbe (Macron e Starmer hanno avuto l’onore, perché non replicare?), quanto le dichiarazioni che i due leader renderanno alle 18.15 italiane, seduti davanti ai giornalisti. È il cosiddetto “spray”, che di norma dura pochissimi minuti. Trump l’ha ormai trasformato in un comizio senza rete.
È servito a umiliare Volodymyr Zelensky e a stuzzicare Emmanuel Macron (che ha ribattuto colpo su colpo). Meloni è pronta a reagire. Ancora spera
che non sia interesse del presidente Usa metterla in imbarazzo, ma ha studiato ogni scenario. Ad esempio, risponderà nel caso in cui il repubblicano la attaccasse pubblicamente sulla web tax adottata dall’Italia, o sulla tassazione verso Big pharma.
Poi, a porte chiuse, intende trascinarlo sul terreno della politica. Per riportare alla ragione il tycoon, come ha spiegato due sere fa a Palazzo Chigi: conservatrice io, conservatore lui (entrambi nel Cpac), perché agire con politiche che mettono in difficoltà proprio i leader della destra? Un messaggio che potrebbe tradursi così: «Siamo con te, ma tu devi tenere unito l’Occidente, non dividerlo». Vale per i dazi, come per la Russia: se necessario, ribadirà il sostegno a Kiev e condannerà la strategia dilatoria di Putin.
(da agenzie)
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