IL CORTOCIRCUITO, SE L’UE NON TROVASSE UN ACCORDO CON TRUMP SUI DAZI, ENTRO TRE MESI, PARTIREBBE UNA GUERRA COMMERCIALE SENZA TREGUA: LE TARIFFE “RECIPROCHE” AMERICANE SALIRANNO DAL 10 AL 20% SU TUTTI I BENI
L’UE REAGIREBBE CON CONTRO-DAZI IL 14 LUGLIO – SE NON CI FOSSE UN ACCORDO TRA USA E CINA, L’UE AVREBBE UN ALTRO PROBLEMA: GESTIRE I 439 MILIARDI DI DOLLARI DI EXPORT CINESE RESPINTI DAGLI STATI UNITI – NEL CASO IN CUI LE MERCI A BASSO COSTO CINESI INVADESSERO I MERCATI EUROPEI, L’UE SAREBBE COSTRETTA AD ALZARE A SUA VOLTA LE BARRIERE ALLA DOGANA
No deal: nessun accordo con gli Stati Uniti. Dopo la fumata nerissima della visita del commissario Sefcovic negli Stati Uniti, dove la proposta europea di “dazi zero” è stata liquidata e in due ore di dialogo non si è neppure capito cosa Trump voglia, a Bruxelles ci si sta preparando per lo scenario peggiore. […] No deal, appunto, nessun accordo nei prossimi tre mesi. A quel punto le tariffe “reciproche” americane entrerebbero in vigore, salendo dal 10 al 20% su tutti i beni ed affiancandosi a quelle settoriali metalli, auto e probabilmente anche su chip e farmaci.
I tecnici di Bruxelles si stanno attrezzando per reagire subito e in modo proporzionale a questa eventualità. Verrebbe riattivato il pacchetto di ritorsioni contro i dazi su acciaio e alluminio già predisposto e votato dai 27, ora sospeso. E se ne prepara un secondo, molto più corposo, per rispondere ai dazi reciproci. Scatterebbero tutti insieme il 14 luglio, è la linea della Commissione, senza più concedere pause a Trump.
Si negozia insomma con l’arma delle ritorsioni – carica – sul tavolo, anche per proiettare forza verso chi sembra riconoscere solo quella. Sullo sfondo anche il bazooka evocato da Ursula von der Leyen, cioè la possibilità di tassare i servizi digitali colpendo i colossi di Big Tech. Nel frattempo però c’è un secondo no deal, altrettanto pericoloso, a cui l’Europa si sta preparando.
È quello tra Stati Uniti e Cina, che farebbe divorziare le due economie con barriere invalicabili e come detto ieri dal Wto – potrebbe spingere l’impressionante flusso di esportazioni della Repubblica Popolare a prezzi ancora più scontati verso altri mercati. Il rischio è da tempo nel mirino della Commissione, che ha attivato un sistema di allerta precoce per identificare eventuali flussi anomali. E spiega anche in parte il riavvicinamento con Pechino.
Ursula von der Leyen ha sollevato il tema in una telefonata con il premier cinese Li Qiang, ottenendo da quest’ultimo una rassicurazione: la Cina assorbirà eventuali impatti di un blocco del mercato americano, sua prima destinazione di export, attraverso uno stimolo della domanda interna.
Da parte di Bruxelles c’è stata un’apertura di credito nei confronti dell’offensiva diplomatica che Pechino ha lanciato nelle ultime settimane. La si legge nella disponibilità a riaprire il tavolo sui dazi imposti alle auto cinesi, che potrebbero essere trasformati in un meno pesante prezzo minimo. […] L’Europa vedrebbe con favore maggiori investimenti dei campioni cinesi sul suo territorio, se questi accettassero di allearsi con aziende europee e trasferire le loro tecnologie, come del resto raccomandato anche dal rapporto Draghi
Ma come tutti gli impegni di Pechino, spesso disattesi, anche quello di contenere il suo strabordante eccesso di capacità produttiva va preso con sano scetticismo, e verificato nei fatti. Se è vero che le autorità comuniste hanno già lanciato un programma di stimolo della domanda interna, è difficile che questo basti a bilanciare i 439 miliardi di dollari di export potenzialmente respinti dagli Stati Uniti. Senza contare che nel frattempo le aziende cinesi, favorite da sussidi diretti e indiretti, continuano ad investire in nuovi impianti. […] Nel caso in cui l’ondata di merci cinesi arrivasse, ennesimo scenario da no deal, l’Europa e gli altri Paesi avrebbero poche alternative se non alzare a loro volta delle barriere protettive alla dogana.
(da agenzie)
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