CHECKPOINT VENTIMIGLIA, LA PORTA OCCIDENTALE D’ITALIA, ARGINE DEGLI INDESIDERATI CHE SOSTANO NEL NULLA
CENTINAIA DI PROFUGHI, MOLTI MINORI… IL LAVORO DELLE ONG, IL PARROCO CHE DONA PANE, LA GENTE TRA SOLIDARIETA’ E RABBIA
Ogni sera Pascal raggiunge la stazione e aspetta. Uno, due, tre, fino all’ultimo. Sono i treni che portano in Francia.
Pascal ha sedici anni e un sogno: passare la frontiera. Per questo prova. Da queste parti lo si sente dire spesso, “provare” sta per tentare di varcare il confine, di passare la frontiera appunto.
Pascal prova da tre mesi, da quando è arrivato a Ventimiglia. Avanti e indietro sulle banchine, da solo o in compagnia. Arriverà , ti spiega. Chissà quante volte avrà vissuto quei momenti nella sua mente, il momento opportuno, con il convoglio in partenza, le porte che stanno per chiudersi, un salto e via, “verso una nuova vita”.
Non è facile, perchè Pascal viene dalla Costa d’Avorio, ha la pelle nera e sa che non appena proverà ad avvicinarsi al treno, sarà fermato.
Se mai ci arriverà , ad avvicinarsi al treno, con poliziotti, carabinieri, uomini dell’esercito che presidiano la stazione. Sono lì apposta, perchè come Pascal, la gran parte dei migranti che arriva a Ventimiglia ha la pelle nera e prova a passare, il loro pensiero dominante è raggiungere la Francia via ferrovia.
Specie il venerdì, quando alla “porta occidentale d’Italia” – così è chiamata Ventimiglia – si affolla un gran numero di visitatori: arrivano da Nizza, da tutta la Costa Azzurra, per il famoso grande mercato che si tiene in città .
I migranti, allora, approfittando della confusione, “provano” più forte. Ma aumentano pure i controlli, già assai stretti dopo l’attentato terroristico di Nizza del 2016. Ventimiglia appare come una città militarizzata.
E, viene da pensare, pure qualora i migranti riuscissero a passare, dalla Francia, che ha chiuso le frontiere in pieno regime da sospensione di Schengen, li rispediscono indietro.
Basta raggiungere, qualche chilometro più in là , la stazione di Mentone Garavan, la prima fermata dopo Ventimiglia, ed è già Francia.
All’arrivo dei treni si vedranno poliziotti della Police nationale, sei per quattro vagoni, indossare guanti neri di pelle e perquisire i convogli.
Guardano anche nei vani dei quadri elettrici: hanno ritrovati anche lì dei migranti che “provavano”. Morti. Altri sono morti lungo i binari, altri sul “passaggio della morte”, un sentiero tra i monti che collegano Italia e Francia.
Ma a questo Pascal non pensa. “No, non ho paura della polizia”, dice socchiudendo gli occhi mentre scruta un agente fermo sulla banchina di Ventimiglia.
Accanto a lui, Abdul, che viene dalla Guinea Conakry, annuisce e si alza il cappuccio sulla testa.
È venerdì, oggi potrebbe essere il giorno. Nel caso non riuscissero, resteranno qui stanotte per provare di nuovo sul far del mattino.
Dormiranno in stazione o nel piazzale antistante, che, nel frattempo si stanno riempiendo, cartoni, coperte, sacchi a pelo sistemati alla bell’e meglio, di giacigli improvvisati.
Perchè non andate al campo della Croce Rossa? “È troppo lontano da qui, mi fanno male i piedi – sorride Pascal – e poi voglio andare in Francia, voglio stare meglio”. Racconta Pascal, racconta: è arrivato in Italia quasi un anno fa, nel centro di Catania dove è stato per quasi nove mesi ha avuto qualche diverbio con l’educatore, quindi ha deciso di tentare di raggiungere la Francia.
Ed eccolo a Ventimiglia. È solo, dice che vorrebbe studiare per fare il giornalista. “Ma è difficile, lo so. Dormiamo un giorno qua, un altro là – sospira – non è vita questa. Guardaci, siamo i bambini della strada”.
I bambini, già . Pascal e Abdul sono poco più che bambini, per la legge minorenni stranieri non accompagnati. Sono tanti, qui a Ventimiglia, tra i migranti che, sebbene in numero inferiore dopo gli accordi tra Italia e Libia, continuano ad arrivare.
Va avanti da tre anni, un tempo che rende ormai inutile e insensato parlare di emergenza. “Dal secondo anno c’è stata una escalation di minori migranti non accompagnati”, dice l’assessore ai servizi sociali del comune di Ventimiglia Vera Nesci.
Trentotto sono ospitati al campo Roya, il centro per migranti in transito gestito dalla Croce Rossa italiana dove vivono anche uomini, famiglie e donne con figli piccoli – i minori dovrebbero essere ospitati in una struttura ad hoc – ma almeno altrettanti vivono per le strade della città e dormono, insieme ad altri trecento sfuggiti come loro all’inferno dei loro paesi e in gran parte diretti in Francia, in Inghilterra e in Nord Europa in cerca di miglior fortuna, lungo le sponde del fiume Roya, sotto il ponte del tratto della statale 20 che porta all’A10, la Genova-Nizza, l’Autostrada dei fiori.
Di fiori, qui sotto, nemmeno l’ombra. Sparuti ciuffi d’erba sbucano dalle coperte, dai tavolacci, dai cartoni, dai cumuli di rifiuti disseminati ovunque.
Immagini che inchiodano lo sguardo a sinistra, dove sono accampati gli afgani, di qua, dove ci sono gli africani, per lo più sudanesi. Niente bagni chimici, c’è solo il fiume che scorre lento e serve da gabinetto e, all’occorrenza, da abbeveratoio.
All’imbrunire sono tutti lì, occhi neri che ti scrutano mentre si tirano sul viso trapunte fruste. Un ragazzo ci fa segno di avvicinarci, indica una coperta marrone sotto la quale un ragazzone batte i denti. Ha la febbre alta, chiede aiuto. “Sto male, sto male”, ripete in arabo.
Daniela Zitarosa e Fitsum Debesay, operatrice legale e mediatore culturale di Intersos – a Ventimiglia insieme al medico Alessandro Verona per il progetto di assistenza e supporto legale rivolto soprattutto ai minori “Child protection unit” – chiamano l’ambulanza.
“Lo porteranno a Bordighera”, alza le spalle una giovane donna che sta raggiungendo un gruppetto intento a giocare a domino attorno a uno scatolone che fa da tavolino. Come a dire, scene già viste.
“Niente foto”, Khan si avvicina con tono imperioso. Ha 21 anni, viene dall’Afghanistan, ha un permesso di soggiorno di cinque anni, “ma no passaporto”. Vuole andare in Francia.
Perchè dormi qui e non al campo della Croce Rossa? “Vado domani, dopodomani”, risponde in tono di sfida. “Stiamo qui perchè da qui la stazione è più vicina e possiamo provare di più – aggiunge un ragazzino sudanese, tutto ossa – sono più di due mesi che dormo qua, sono stanco, ma prima o poi ci riuscirò”.
C’è pure chi a varcare la frontiera c’era riuscito e dalla Francia è stato rimandato in Italia. A Ventimiglia e poi da qui, a Taranto.
Yassin e Abdulgazim, 17 e 16 anni, entrambi sudanesi, erano convinti di avercela fatta, e invece si sono ritrovati su un bus che dal commissariato di Ventimiglia li ha portati, in un viaggio di circa 17 ore, in Puglia, al centro per l’identificazione e lo smistamento dei migranti, l’hotspot di Taranto.
Viaggi periodici, a detta dei tanti che dormono sotto il ponte, qui a Ventimiglia, piuttosto frequenti. In pratica, i migranti riconsegnati all’Italia dalla Francia alla frontiera di Mentone, vengono presi in custodia e portati, via bus, a Taranto.
“L’operazione farebbe parte di quella che viene definita politica di decompressione territoriale – spiega Daniela Zitarosa di Intersos – non è illegale, ma è inumana e molto costosa: da quel che ci risulta ogni viaggio costa oltre 5000 euro. Soprattutto, non ha senso logico. I migranti sono stati identificati al loro arrivo, perchè riportarli all’hotspot di Taranto? In moltissimi casi, poi, questi ragazzi tornano a Ventimiglia prima del bus della polizia”.
Yassin e Abdulgazim ci hanno messo quattro giorni per ritornare. “Da Taranto a Bari, scendendo e salendo dai treni sono arrivati a Roma”, traduce Fatsim e loro sorridono con quella specie di contentezza propria della gioventù, di chi ha tutta la vita davanti. “Non c’è problema, proviamo e riproviamo, fino a quando vinciamo”, dice Yassim che vuole studiare e lavorare in Francia.
Abdulgazim, invece, raggiungerà suo fratello in Inghilterra.
Nel gruppetto c’è un certo fermento: una scia di profumo annuncia un uomo, camicia bianca inamidata su un jeans nero, che, quando cronisti e occhi estranei all’ambiente si saranno ormai allontanati, si avvicinerà ai ragazzi.
Parlottano, sguardi furtivi, mentre un altro uomo, anche lui dalla pelle nera e ben vestito, in bicicletta fa su e giù tra i giacigli e i sacchi di immondizia. Saranno forse “passeurs”, i cosiddetti “middlemen”, i mediatori che mettono in contatto, incassando una percentuale, i migranti con persone disposte, dietro pagamento, a trasportarli, magari stipati nel bagagliaio di un furgone, oltre la frontiera?
A Ventimiglia ne parlano tutti, alcuni sostengono che la questione sia nota anche alla polizia, altri conoscono pure quanto costa “il passaggio”: tra i 150 e i 200 euro.
Certo, aggirare i controlli alla frontiera, anche in macchina, non è facile.
Sia a Ponte San Luigi sia a Breil la polizia francese non fa sconti e spesso perquisisce le automobili, come abbiamo potuto verificare.
Come che sia, i passeurs – e tutto il sistema non certo legale che hanno alle spalle – rappresentano una grande speranza per i migranti di Ventimiglia. E viene da chiedersi se preferiscano dormire sotto il ponte e non al centro gestito dalla Croce Rossa per avere maggiori possibilità di contatto con i mediatori.
“Penso che ci sia anche una controinformazione che li rende reticenti ad accedere al campo Roya – spiega Giulia Foghin, operatrice legale di Unhcr, presente a Ventimiglia all’interno del progetto Access e relocation – altrimenti non si spiegherebbero i motivi della loro scelta di restare sotto il ponte. Sulla strada dell’informazione, per rendere edotte queste persone sulle possibilità a loro disposizione e sui rischi dell’attraversamento irregolare, c’è molta strada da fare. Di contro, ci sono tanti attori validi sul territorio. Noi supportiamo le istituzioni su accesso alla procedura di protezione internazionale e protezione dei minori, affianchiamo gli operatori e offriamo consulenza a livello istituzionale per identificare e segnalare casi con esigenze specifiche come i minori non accompagnati. C’è una interlocuzione valida con Questura, Comune e Prefettura ed è un dato positivo”.
“Assessore, ma i migranti minori e per giunta non accompagnati non dovrebbero essere ospitati in un centro ad hoc?”.
Vera Nesci si sistema sulla sedia e premette: “Sono l’assessore di Ventimiglia a Scuola e Servizi sociali, ma sono un avvocato e in quanto tale, anche se il Comune è sempre un po’ il capro espiatorio di tutto quello che succede sul territorio, so che la nostra responsabilità e competenza specifica è per i minori”, scandisce, assicurandosi che io abbia scritto. Appunto, i minori attualmente sono ospitati al campo Roya per migranti in transito, insieme a uomini, donne e famiglie.
“La struttura ad hoc non c’è – risponde Nesci – e si è ritenuto di adibire uno spazio protetto all’interno del campo misto. Non posso tollerare comunque che mi si dica che qui per i minori c’è solo il campo Roya. Esiste un altro centro per minori sul territorio del nostro comune gestito da Croce Rossa comitato locale di Ventimiglia, col quale il Comune ha stipulato una convenzione per dieci posti per minori in transito. E poi li inseriamo nelle comunità educative della Liguria e del basso Piemonte. Proprio in questa zona di recente ne abbiamo trasferiti tre. Stiamo lavorando per individuare i tutori volontari, da Ventimiglia sono arrivate tre adesioni per le iscrizioni all’albo”. Poche, ma Nesci non concorda: “Di gente interessata ce n’è”.
Il sindaco è fuori Ventimiglia. Enrico Ioculano (Pd) – che proprio per la questione migranti si era autosospeso dal partito, per poi farvi rientro – ha vietato con un’ordinanza, successivamente revocata, la distribuzione del cibo ai migranti, ha detto no al vescovo Antonio Suetta per un progetto di accoglienza nell’ex convento dei Maristi e, in accordo con la Prefettura, ha chiuso il centro per famiglie donne e minori allestito presso la chiesa di Sant’Antonio nel quartiere delle Gianchette, spostando i migranti che vi erano ospitati presso il campo Roya.
L’amministrazione ha puntato tutto sul centro gestito dalla Croce Rossa, insomma. E, pare di capire, la linea per il futuro sarà ancora questa. Nonostante Schengen: di qui a breve la sospensione dovrebbe cessare, ma secondo Nesci, “chissà , non è detto non decidano di prorogarla”. E dal Comune potrebbe arrivare una nuova ordinanza di allontanamento dal ponte dove dormono tutti i migranti che non vogliono andare al campo Roya.
“In vista della stagione invernale, col freddo che sta arrivando – precisa l’assessore – stiamo valutando la possibilità di una nuova ordinanza per portarli nella struttura”. Una vittoria per il comitato di quartiere di via Tenda – Gianchette, che in passato ha chiesto – e ottenuto – la cacciata dei migranti dalla chiesa di Sant’Antonio?
“Guardi, il centro delle Gianchette è stato chiuso – contestualmente alle modifiche apportate al campo Roya per accogliervi donne, famiglie e minori – perchè non c’erano le condizioni igienico sanitarie per istituzionalizzarlo, non rispondeva ai criteri per ospitare donne e bambini e poi creava qualche disagio in zona. Per l’accoglienza ai migranti una parte di ventimigliesi s’è data da fare, poi ci sono gli indifferenti che restano tali fino a quando non si va a toccare i loro interessi”.
Da qui, quindi, l’opposizione all’apertura del Cas per minori – quando ormai sembrava cosa fatta – che doveva sorgere tra la marina e la zona del borgo?
“Quella è una zona turistica, magari una struttura lì per loro avrebbe potuto creare qualche problema – taglia corto Nesci – Noi dobbiamo mediare tra la tutela di chi è ospite e quella di chi ospita. Ritengo comunque sia importante ascoltare i ventimigliesi”.
Alle Gianchette, quartiere popolare a qualche chilometro dal centro, si respira aria tesa. È una domenica insolita. Da qualche giorno circola una voce che ha fatto scattare di nuovo l’allarme. È tornata la paura che i migranti – “quegli infedeli” li definisce qualcuno scandendo bene le parole salvo poi minacciare “di non scrivere una parola” – possano tornare nella chiesa di Sant’Antonio, come è accaduto per 440 giorni durante i quali il parroco, don Rito Alvarez, con il supporto della Caritas e di oltre cento volontari, aveva dato loro pasti caldi e un posto dove dormire.
Dal 14 agosto, giorno in cui il centro è stato chiuso, anche su invocazione del comitato di quartiere, è passato poco più di un mese, e ora pare che dal due ottobre nella chiesa di Sant’Antonio si comincerà a distribuire il pane ai poveri.
Quando dall’altare il parroco ufficializza l’iniziativa, mormora fastidio e disprezzo il gruppetto di persone ai primi banchi che prima della messa gli aveva chiesto spiegazioni – agitandosi sullo scranno quando don Rito, leggendo il Vangelo del giorno aveva scandito “Così gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi”.
Aspettano il prete fuori dalla chiesa, vogliono rassicurazioni che il pane sarà distribuito solo ai poveri “bianchi”.
Don Rito non ha dubbi, “per me i poveri sono poveri, senza distinzioni, nè per il colore della pelle nè per altro. Un pezzo di pane non si nega a nessuno”, risponde lui allentandosi il colletto.
Non lo dice chiaramente, ma si aspetta altri insulti, nuove critiche come quelle che ancora gli riservano per i 440 giorni in cui la chiesa di Sant’Antonio è rimasta aperta ai migranti.
“Hanno detto che io prendevo i soldi dal Governo, dal Comune e allora li ho esortati a denunciare. Chiunque abbia le prove di una cosa del genere vada in commissariato e mi denunci, subito”.
Lo sguardo gli si addolcisce quando pensa al periodo dell’accoglienza ai migranti. “È stata una bella esperienza, si è creata una famiglia ed è un peccato sia finita”, sospira il prete e guarda un ragazzetto che gioca sul sagrato della chiesa. Ha fondato una missione in Colombia, il suo paese d’origine, per recuperare i bambini soldato e i bambini sfruttati nelle piantagioni di coca “e anche la mia come tante nel mondo, riceve un grande sostegno dalla solidarietà degli italiani. L’accoglienza se fatta bene è una risorsa, se fatta male sarà sempre un problema”.
Alle Gianchette, e in generale a Ventimiglia, non tutti sono contrari ai migranti. Maria, che tanti dei ragazzi arrivati a Ventimiglia chiamano “mamma Maria”, con il marito Saro e le loro due figlie hanno aperto la loro casa, beccandosi attacchi e l’accusa di “prendere soldi”.
E Silvia, maestra elementare, con alcune colleghe, aiuta questi uomini e queste donne ad imparare l’italiano. A pochi passi dalla stazione ferroviaria, c’è il bar “Hobbit” di Delia Buonomo, già ribattezzata “la barista dei migranti” e da questi ultimi “mamma Africa”, che offre cibo e la possibilità di ricaricare il telefonino.
A via Tenda, da due mesi, c’è lo spazio Eufemia, creato e gestito da associazioni culturali non solo di Ventimiglia, che consente ai migranti arrivati in città di navigare in internet “e magari collegarsi via Skype in Sudan per parlare con qualche parente”, dice Sofia, che studia antropologia negli Stati Uniti ed è venuta qui a dare una mano. Ogni sera, nel piazzale parcheggio di fronte al cimitero, i volontari di alcune associazioni francesi raggiungono Ventimiglia per portare cibo e prime cure mediche ai migranti.
Li vedi arrivare con macchine furgonate, allestire i banchetti, stendere due grossi tappeti nello slargo di asfalto, sotto gli occhi vigili dei ragazzi in fila già da un’ora prima. E dei poliziotti che controllano, anche i documenti, di chi non conoscono.
E poi c’è la Caritas, che, nella sua sede, da quando è stato chiuso il centro della Chiesa di Sant’Antonio ha ripreso a distribuire anche ai migranti colazione e pranzo.
Oggi sono circa 150 al giorno, in estate si è arrivati a quota cinquecento. “L’accoglienza in chiesa, ricordiamo servizio a costo zero, era provvisoria, è vero – spiega il direttore della Caritas Ventimiglia Sanremo, Maurizio Marmo – ma chiedevamo di individuare una soluzione alternativa che tenesse presenti le esigenze di tutti i migranti. La scelta di concentrarli tutti, comprese donne, famiglie e minori al campo Roya, che è un campo di transito e sorge in una landa desolata e desolante, non è la soluzione ottimale. Infatti tanti migranti non ci vanno. E credo che non abbia risolto i problemi del quartiere, che lamentava qualche disagio, soprattutto la sera. E ci sono stati anche dopo la chiusura del centro della chiesa”.
Ed eccolo qui il campo Roya, circa quattro chilometri e poco meno di minuti di macchina dalla città , costantemente presidiato dalle forze dell’ordine.
Per arrivarci potresti seguire anche la carovana di migranti che dal ponte delle Gianchette lo raggiunge, a piedi. Entri e non puoi fare a meno di notare il tornello da stazione ferroviaria: serve per disciplinare l’ingresso, che prevede anche il rilevamento di impronte digitali.
“Uno dei motivi – concorderanno Zitarosa di Intersos e Marmo di Caritas – per cui tanti migranti scelgono di non andarvi. È vero, le impronte gli sono già state prese, ma loro temono questo ulteriore controllo, molti pensano che così saranno obbligati a restare in Italia”.
Al momento il campo di transito, prima per soli uomini, poi allargato ai minori quindi alle donne e alle famiglie ospita circa 340 persone – in gran parte provenienti dal Sudan ma ultimamente si registrano una quarantina di persone dal Bangladesh – “ma non tutti pernottano, magari cenano e poi escono”, precisa il responsabile pro tempore, Agostino Teti, di Croce Rossa Italiana.
I posti letto sono 430, dislocati in due grosse tende e moduli abitativi da sei posti ciascuno. Un bambino che insegue una palla introduce all’area delle famiglie, un uomo chinato fronte a terra a quella dedicata alla preghiera. Tra una zona e l’altra transenne avvolte in teli di plastica verde.
Bagni e docce per le donne e le famiglie a ridosso dei servizi igienici per gli uomini. Una sistemazione non ottimale che Intersos, Medici senza frontiere, Terres des Hommes, Weworld, organizzazioni impegnate a vario titolo nell’aiuto ai migranti di Ventimiglia hanno segnalato come criticità al Prefetto e al vicesindaco.
Tra le più rilevanti: servizi igienici scarsi, niente spazi riservati ai giochi per i bambini nelle zone delle famiglie, nessun operatore legale specializzato per i minori non accompagnati.
“Nel momento in cui si è deciso di accogliere al campo famiglie, donne e minori – precisa Zitarosa di Intersos – vanno adottate soluzioni ad hoc, non puoi metterli in una situazione di promiscuità come quella in cui si trovano. E vanno individuate figure specializzate per dare risposte adeguate alle loro esigenze, a partire da quelle medico sanitarie”.
“Certo, tutto può essere migliorato – sospira Teti della Croce Rossa – noi facciamo il possibile, gli ospiti sono visitati dai medici dell’Asl, collaboriamo con le organizzazioni per l’assistenza legale e con tante associazioni che organizzano molte iniziative” e indica sotto un tendone due signore che fanno lezione di disegno a un gruppo di giovani.
Intanto Futula, che ha otto anni, viene dalla Nigeria e sta nel campo con la mamma Margaret e il fratellino Bright, chiede una saponetta per lavare i panni. E un bimbo che dice di chiamarsi Mohamed insegue la sua palla e irrompe nel campo dove un gruppo di giovani sta giocando a calcio.
“Ciao, io voglio stare in Italia”, dice Cusmane, 20 anni, del Ghana, che nella struttura fa anche il barbiere e ha fatto domanda per ottenere i documenti necessari. Come Mohamed arrivato in Italia dal Sudan Darfur, da tre mesi. E Margaret, la mamma di Futula, che ha già ottenuto la protezione sussidiaria per cinque anni.
“Qui la situazione, tutto sommato, è tranquilla – ci spiega la Croce Rossa – la presenza dei minori non accompagnati, per quel che mi risulta, è momentanea, scaturita da una emergenza. A breve, comunque, arriveranno otto nuovi moduli abitativi, per altri 48 posti letto”.
Si va a pranzo, molti rientrano, altri escono. Vanno al ponte, si preparano per la serata, vogliono “provare”. Fuad, 17 anni, vuole andare in Francia. Con lui ci sono altri ragazzi, dicono di avere varcato la frontiera e raccontano di maltrattamenti subiti dalla polizia francese.
E torna in mente la denuncia di Amnesty international di inizio anno, sui “controlli ai confini del diritto” alla frontiera franco-italiana. C’è chi dice gli siano state tagliate le scarpe, un altro racconta che la polizia ha utilizzato cani privi di museruola per spaventarli.
“Nell’ambito del progetto Child Protection Unit” svolgiamo informativa sulla legislazione e i servizi al territorio, supporto per pratiche legali, monitoraggio degli abusi di legge perpetrati su di loro, tutela e protezione di minori e vulnerabili – spiegano da Intersos – Dalle testimonianze e dai documenti raccolti ci risulta che la polizia francese non sempre valuta i singoli casi dei minori non accompagnati, che ne avrebbero diritto come stabilisce la Dichiarazione dei diritti del fanciullo. I ragazzi ci raccontano le violenze, anche psicologiche, cui a volte sono sottoposti e il fatto che vengano messi sul primo treno e rimbalzati in Italia come pacchi, senza che fosse presente ai controlli della polizia neanche un interprete, un mediatore culturale, è inaccettabile. Quanto all’accoglienza a Ventimiglia, non possiamo che continuare ad essere preoccupati. I minori non accompagnati dovrebbero avere un centro a loro dedicato, così come le donne con bambini. Anche tra i migranti qui ci sono donne vittima di tratta, da gennaio abbiamo raccolto autodenunce e segnalato una decina di casi. Ebbene, nel campo, tra l’altro misto, per i loro sfruttatori è più facile raggiungerle e controllarle e per noi è più complicato contattarle per aiutarle a uscirne. La tratta riguarda anche minori uomini, sappiamo che in Francia si sono registrati molti casi di minorenni nigeriani sfruttati sessualmente”.
Ma tra questi ragazzi dei rischi non importa a nessuno, ora la speranza di cambiare vita è più forte. E come ogni giorno anche la domenica pomeriggio, mentre il sole si riflette sulle mostrine dei poliziotti che la presidiano, affollano la stazione. Vogliono “provare”.
Un ragazzo, tutto treccine e sorrisi, saluta, si avvicina, e in un italiano stentato, mi chiede: “Signora, tutto bene? Va mica in Francia?”.
(da “Huffingtonpost“)
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