COERENZI: PENSIONI D’ORO, RENZI BOCCIA POLETTI MA SI DIMENTICA CHE…
PER IL PREMIER “PROPOSTA GIA’ BOCCIATA”, MA ALLE PRIMARIE DEL PD ERA STATO LUI AD AVANZARLA
Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, si è rifugiato nel suo camper in un campeggio in Sardegna.
Ha scelto di non parlare per qualche giorno mentre sulla sua proposta di intervenire con un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte calcolate con il vecchio metodo retributivo si è scatenata la bufera.
Contro i sindacati, contro le associazioni dei manager, contro una parte del suo partito, il Pd, contro gli alleati del Ncd, contro l’opposizione di Fi.
E contro anche il premier Matteo Renzi che ieri in alcune conversazioni private ha detto: «Quello è il piano Cottarelli che però io ho già bloccato qualche mese fa». Perchè è vero che il commissario straordinario alla spending review aveva suggerito (a marzo) un contributo temporaneo sulle pensioni relativamente più elevate, esentando però l’85 per cento dei pensionati, ma è anche vero che l’idea di Poletti è diversa da quella di Cottarelli e coincide in buona parte a quanto proponeva proprio Renzi da candidato segretario del Pd, insieme a due economisti, Yoram Gutgeld e Tommaso Nannicini, che oggi fanno sostanzialmente parte dello staff di palazzo Chigi: a chi riceve una pensione calcolata con il metodo retributivo, oltre una certa soglia, si può chiedere un contributo di solidarietà perchè il suo assegno pensionistico è superiore ai contributi effettivamente versati.
Insomma c’è un “bonus” pensionistico, come lo definì Renzi, che può essere usato per redistribuire un po’ di risorse in chiave solidaristica.
Questo è il perno del pacchetto previdenza che Poletti vorrebbe portare all’interno della prossima legge di Stabilità che il governo dovrà approvare entro il 15 ottobre. Da una parte il recupero di gettito (secondo alcune stime circa un miliardo di euro) da utilizzare per il sostegno al reddito dei lavoratori più anziani che perderanno il lavoro e che rischiano di trasformarsi in nuovi esodati (l’Inps calcola che possano essere 30-40 mila persone l’anno), e anche per la cassa integrazione in deroga che in attesa della riforma complessiva degli ammortizzatori sociali è diventata l’unico ancoraggio per centinaia di imprese in crisi.
Dall’altra uno strumento di equità generazionale visto che la riforma Dini del 1996 ha spaccato in due il mondo dei pensionandi (i più anziani con il retributivo, i giovani con il contributivo meno favorevole) e solo con la legge Fornero del 2011 si è introdotto il meccanismo del contributivo “pro rata” per tutti
Poletti ha bisogno di risorse e sa come tutti — che realizzare la prossima legge di Stabilità (dai 23 ai 25 miliardi) agendo esclusivamente sul versante dei tagli di spesa non sarà affatto semplice.
Solo per salvaguardare circa 170 mila esodati sono stati necessari più di 11 miliardi.
E dall’inizio della crisi ogni anno è andato alla cassa integrazione in deroga (quella cioè finanziata con la fiscalità generale e non con i versamenti delle imprese) oltre un miliardo di euro.
Sono cifre rilevanti impiegate unicamente per gestire le emergenze, senza un piano organico di riforma complessiva degli ammortizzatori sociali che dovrebbe completarsi solo con il Jobs Act che da settembre tornerà all’esame del Parlamento. Ma con i lavoratori over 50 licenziati dovremo purtroppo continuare a fare i conti, così con la cassa in deroga per sostenere il reddito di centinaia di migliaia di dipendenti
Con l’ultima mossa il ministro del Lavoro («sono favorevole a un contributo di solidarietà », ha detto), dunque, ha messo le mani avanti sfidando l’impopolarità e anche il suo presidente del Consiglio.
Perchè il ministro ha detto chiaramente che per recuperare un gettito significativo bisognerà abbassare l’asticella del livello di redditi dai quali cominciare a chiedere il contributo (ieri il sottosegretario dell’Economia, Pier Paolo Baretta ha dichiarato che può stare tranquillo chi prende fino a 2.000 euro netti).
Intaccando però, per questa via, il consenso del ceto medio e di quei pensionati che per oltre un terzo ha votato alle ultime politiche proprio per il Partito democratico. Anche da qui il “niet” di quasi tutto il partito, segretario in testa.
Per una volta dalla stessa parte delle grandi centrali sindacali, Cgil, Cisl e Uil che, se l’asticella dovesse davvero abbassarsi, vedrebbero colpita quella parte importante dei propri iscritti (oggi più della metà dei tesserati sindacali sono pensionati) sostanzialmente scampata alla riforma Dini entrata in vigore nel 1996
Eppure nella mossa di Poletti si può scorgere pure un altro aspetto, tutto interno alla maggioranza. Il Nuovo centro destra di Angelino Alfano ha sollevato, e ovviamente lo rifarà in Parlamento quando si discuterà sul Jobs Act, il tema dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Lo ha fatto per distinguersi, per una ricerca di identità all’interno della coalizione nella quale è prevalente l’impronta piddina.
L’Ncd, però, si è decisamente schierato contro l’ipotesi di un nuovo contributo di solidarietà (c’è già quello introdotto dal governo Letta per le pensioni superiori ai 90 mila euro lordi l’anno).
Poletti, questa volta d’accordo con Renzi, ha invece detto che l’articolo 18 non è all’ordine del giorno.
E ha aperto un fronte sulle pensioni che è stato violentemente attaccato da Forza Italia. Ncd non può lasciare campo libero alla destra forzista.
E allora è molto probabile che alla fine l’ipotesi del contributo di solidarietà (vista la posizione di Renzi) finisca solo per sgombrare definitivamente il campo dall’articolo 18: nè licenziamenti, nè contributo di solidarietà .
Roberto Mania
(da “La Repubblica)
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