COME LA DESTRA DEI TRADITORI E’ PASSATA DALLA DIFESA DELLA LEGALITA’ AL PARTITO DELL’IMPUNITA’
DESTRA E’ SEMPRE STATA DIFESA DELLA LEGALITA’, L’EMBLEMA E’ IL SACRIFICIO DI PAOLO BORSELLINO… ORA UNA SEDICENTE DESTRA ECONOMICA VOTA L’IMPUNITA’ PER I CORROTTI
E sì che fino a pochi mesi fa la vulgata dei meloniani si reggeva almeno sull’equivoco: che era Forza Italia a spingere per cancellare l’abuso d’ufficio, stringere i bulloni sulle intercettazioni, insomma usare la leva del garantismo che fa rima con impunità. Mentre Fratelli d’Italia giammai!
E che Carlo Nordio, benché voluto da Giorgia Meloni in persona in Via Arenula, aveva preso a fare di testa sua – “più berlusconiano di Berlusconi” –, andava per questo ridimensionato, silenziato, se non costretto al passo indietro: morto B. (quello delle infinite leggi ad personam che, sempre secondo la leggenda, è riuscito a far digerire obtorto collo per un ventennio all’intero centrodestra e già che c’era pure che Ruby Rubacuori era davvero la nipotina di Mubarak), Meloni&C. hanno varato la riforma della giustizia a sua immagine e somiglianza. Una sorta di rito di passaggio all’età adulta nella stanza dei bottoni, ma più che altro il trasferimento di poteri e rappresentanza da Forza Italia a Fratelli d’Italia.
Che, come Berlusconi, è intanto riuscita a mandare in testacoda gli avversari, agitandoli ben bene prima dell’uso. La riforma del governo squassa infatti il Pd e crea quella che un ex di lusso come Andrea Marcucci chiama “la maggioranza del buonsenso” sotto le cui insegne militano e si iscrivono nei fatti non solo Renzi e Calenda, ma pure tantissimi sindaci, da Ricci a Sala a Decaro e pure il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che ieri ha promosso il governo tuonando contro “i trasformisti e gli opportunisti riciclati con la Schlein”.
Ma con la riforma della giustizia che elimina con un tratto di penna l’articolo 323 del codice penale, svuota il reato di traffico di influenze, affievolisce le misure cautelari per i corrotti, Fratelli d’Italia raccoglie soprattutto il testimone del berlusconismo.
Compresa la mordacchia alla stampa sulle intercettazioni che un tempo non molto lontano erano ancora gradite: ricordate il Qatargate? Con la svolta della destra a Palazzo Chigi ha però anche l’occasione di seppellire per sempre i suoi fantasmi. Tra tutti Gianfranco Fini, che nel 2010 aveva minacciato la crisi di governo sul ddl sulle intercettazioni voluto da Berlusconi (tramite il delfino senza quid Alfano), definito da Italo Bocchino, oggi tornato in auge, “ad alto rischio di incostituzionalità”.
Lo stesso Fini che, l’anno successivo, a rottura ormai consumata e imbarcatosi in Futuro e Libertà, si era tolto (in ritardo) i sassolini dalle scarpe. “La legge sulle intercettazioni non è la migliore legge per l’interesse nazionale, ma forse per l’interesse personale di qualcuno” per tacere del resto, sempre all’indirizzo dell’ex Cav: “Un giorno serve il processo breve e un giorno il processo lungo a seconda di quello che gli conviene”.
Ma ormai non è nemmeno più il tempo della destra legalitaria di Alleanza Nazionale, che nel 2000 aveva spinto l’allora deputato Alfredo Mantovano, oggi uomo forte di Palazzo Chigi, a chiedere che lo Stato si costituisse “parte civile nei procedimenti penali a carico del sindaco di Gallipoli” condannato proprio per abuso d’ufficio, epperò a suo dire ancora spalleggiato dal partito di Massimo D’Alema (allora presidente del Consiglio) con “grave delegittimazione dell’operato della magistratura inquirente e giudicante, tanto che alcuni esponenti della magistratura associata salentina hanno pubblicamente protestato”.
Meno che mai della destra d’antan che il 17 ottobre 1992, aveva portato in piazza l’Italia onesta al grido “Tangentocrazia , ti spazzeremo via” sfilando in guanti bianchi a difesa dei magistrati di Mani Pulite.
O che il 1º aprile 1993, mentre da giorni i missini mostravano in aula manette e tiravano finte banconote e spugne gialle, portava i giovani del Movimento sociale italiano a cingere d’assedio Montecitorio al grido di “Arrendetevi, siete circondati!” applauditi e incitati da Teodoro Buontempo, ma pure Alessio Butti, oggi sottosegretario a Palazzo Chigi. E Maurizio Gasparri per il quale Antonio Di Pietro era “un mito”.
La destra che era per l’abolizione dell’immunità parlamentare che per Fini, Ignazio La Russa e ancora Gasparri erano “un privilegio medievale” e uno “strumento per sottrarsi al corso necessario della Giustizia” Ma che era servita a Bettino Craxi a salvarsi dalle misure cautelari sulle quali oggi il governo fa un favorone ai corrotti. Errori di gioventù, tutto dimenticato. In nome dell’eredità di B.
(da Il Fatto Quotidiano)
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