COME PORTARE I DIRITTI LGBTQ IN CLASSE?
LA SFIDA DEL DDL ZAN, TRA OSTACOLI E MODELLI STRANIERI
Presentato per la prima volta nel 2018, e ora fermo al Senato, dopo la prima lettura alla Camera, il Ddl Zan ha dato vita a un dibattito sempre più polarizzato, specie dopo l’intervento del Vaticano che ha deciso di schierarsi in merito.
La Santa Sede contesta quei passaggi che prevedono l’istituzione della Giornata dell’omotransfobia, che minerebbe l’autonomia delle scuole private cattoliche. Il Vaticano critica l’indicazione presente nel Ddl Zan secondo cui le scuole dovranno svolgere attività per sensibilizzare gli studenti sui diritti Lgbtq+.
Cosa dice il Ddl Zan
È in particolare all’Articolo 7, Punto 3, che si trova il passaggio del Disegno di Legge firmato da Alessandro Zan che ha portato allo scontro con il Vaticano.
Nello specifico, in questo punto si trova il riferimento alle attività da svolgere nelle scuole in occasione del 17 maggio, quella che dovrebbe diventare la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
«Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», si legge nel testo.
L’educazione ai diritti negli altri Paesi
Il primo Paese al mondo a introdurre l’insegnamento dei diritti Lgbtq+ nelle scuole è stata la Scozia. Nel novembre 2018 il ministro dell’Istruzione scozzese John Swinney ha annunciato l’inizio nelle scuole del programma Educate To Liberate: «La Scozia è già considerata come una delle nazioni più progressiste in materia di diritti Lgbt. È dunque un piacere per noi annunciare che il nostro sarà il primo paese al mondo ad introdurre nelle scuole un programma specifico di educazione all’inclusione».
Questo programma si basa su una serie di punti che vanno dall’insegnamento della storia dei diritti della comunità Lgbtq+ all’educazione all’inclusione fino alle campagne contro omofobia e transfobia.
Tutto il programma è stato preparato dal think tank «Time for Inclusive Education» che ha lavorato tre anni prima di proporre al governo scozzese delle linee guida da seguire per portare questi temi nelle scuole. Con una legge del 2019 i diritti della comunità Lgbtq+ sono diventati materia di studio anche nelle scuole dell’Inghilterra.
Il progetto in questo caso si chiama «Stonewall», come il bar di New York dove nel 1969 è nato il primo Gay Pride. Qui le linee guida sono meno nette, ma l’obiettivo è chiaro per tutti, come si può leggere nei documenti: «Le scuole sono libere di scegliere come farlo, ma deve essere certo al termine del percorso che i ragazzi abbiano compreso le tematiche della sessualità umana e il rispetto per loro stessi e per gli altri».
Cosa si può fare in classe
Una missione che si è proposto di portare avanti anche GenderLens, il progetto nato dalla necessità di creare in Italia uno spazio di informazione e confronto «dove la varianza di genere nell’infanzia e nell’adolescenza non sia considerata come una patologia o un problema da risolvere, ma come una delle tante espressioni della diversità umana», spiega Open Elisabetta Ferrari, membro del coordinamento di GenderLens.
Tra le attività recenti dell’associazione c’è stata una collaborazione con il Servizio per l’Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica (SAIFIP) del Lazio per la stesura del documento «Strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere».
Linee guida poi ritirate a causa delle proteste da associazioni cattoliche e da diversi partiti sovranisti, come la Lega e Fratelli d’Italia. In particolare, il documento presentava delle indicazioni su come introdurre una carriera Alias nella scuole. Questa permette allo studente o alla studentessa in transizione di genere di essere chiamato/a con il “nome scelto” e non con quello depositato all’anagrafe.
«Il Ddl Zan non lo prevede nello specifico, ma non vedo perché gli altri genitori dovrebbero opporsi all’identità di genere e alla scelta del singolo studente, se la scuola decide di attivare la carriera Alias», commenta Ferrari.
Lei, mamma di un figlio trans, non binario, parla della difficoltà di trovare insegnanti competenti e preparati ad affrontare le tematiche Lgbtq+. Un aspetto che, se il Ddl Zan entrerà in vigore, dovrà sicuramente essere affrontato. «Come associazione abbiamo fatto formazione alle scuole che ce l’hanno richiesto. Sensibilizziamo i professori su come avvicinarsi alla varianza di genere, e soprattutto come parlarne in modo corretto, senza far sentire gli studenti trans inadeguati».
Parlare agli studenti
Al Liceo Formiggini di Sassuolo, invece, i temi Lgbtq+ e il Ddl Zan sono diventati materia di studio durante la lezione civica. Come spiega a Open la dirigente dell’Istituto, Christine Cavallari. «A un certo punto, la docente si era accorta che gli studenti non avevano mai letto il testo e quindi aveva deciso di dedicare un’intera lezione al disegno di legge», spiega Cavallari.
Il materiale è stato inviato preventivamente ai genitori che hanno cosi potuto visionarlo. Oltre all’intervento di una dottoressa in video, la docente aveva mostrato attraverso delle slide il testo del disegno di legge: i ragazzi hanno riconosciuto al termine della lezione di aver avuto le informazioni e gli strumenti necessari per farsi un’opinione. «Come normale, all’interno della classe sono continuate a esistere opinioni diverse e contrarie. Non c’è stata nessuna forzatura o indottrinamento. Quello che la scuola, e che noi volevamo fare, era dare agli studenti gli strumenti per leggere la realtà e per formarli come futuri cittadini».
Le scuole cattoliche
A detta delle scuole cattoliche però, questo tipo di attività può costituire un problema. Secondo i dati dell’anno scolastico 2017-2018, gli ultimi disponibili, sono 582.576 le persone iscritte alle scuole cattoliche in Italia, considerando tutti i gradi di istruzione dalle scuole dell’infanzia alle superiori. Si tratta del 6,72% del totale degli studenti in Italia. Questo dato è in costante calo.
Solo nell’anno scolastico 1992-1993 il numero di iscritti alle scuole cattoliche era di 876.398 alunni, il 9,14% del totale degli iscritti. Ed è proprio in questi istituti che potrebbero verificarsi gli attriti peggiori sul Ddl Zan. In particolare sulle attività previste per la Giornata contro l’omofobia.
Massimo Malagoli, il responsabile dell’Ufficio Comunicazione di Agesc, l’associazione che riunisce i genitori delle scuola cattoliche, dice: «Il rischio di questa legge è che l’ideologia gender diventi un dogma anche nelle scuole. Abbiamo una legge che viene portata avanti con un’ampia pressione dell’opinione pubblica. Il testo però non è chiaro e soprattutto sta passando l’idea che serva a colmare un vuoto giuridico. Non è così. La campagna mediatica che si sta creando parla di un’Italia intollerante. Non è così. Basta vedere tutte le dimostrazioni di solidarietà che ci sono state con il caso di Malika, la ragazza cacciata di casa perché lesbica. Il padre era di religione musulmana. Non sono d’accordo nemmeno con il testo della legge scritto da Salvini. Ormai questa legge è diventata solo una bandiera».
In caso di approvazione del Ddl Zan, però, Malagoli assicura che non si pensa a un’azione di contrasto delle scuole cattoliche: «Se la legge fosse approvata, le scuole cattoliche applicherebbero anche le parti riguardanti le attività durante la Giornata contro l’omofobia. Le scuole cattoliche sono paritarie e quindi seguono il dettato legislativo”
(da Open)
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