CONTE È CONSAPEVOLE CHE IL FUTURO SUO E DI QUEL CHE RESTA DEL M5S PASSA DALL’ALLEANZA ELETTORALE CON IL PD
PER RIUSCIRCI, DEVE ACCETTARE FIN D’ORA CHE IL TONO DELLA MUSICA SIA IMPOSTO DA LETTA E NON ROMPERE CON IL GOVERNO
Come un brutto romanzo poliziesco in cui fin dalle prime pagine si capisce come va a finire, così il fatidico incontro fra Draghi e Conte si è concluso esattamente come era facile prevedere: con un nulla di fatto.
Nessun abbandono della nave governativa, quindi nessuna crisi dell’esecutivo. Solo una vaga richiesta di «discontinuità», espressione abbastanza oscura che ci riporta alla Prima Repubblica, quando i vertici dei partiti si chiudevano con il rinvio delle decisioni più scabrose a dopodomani.
Certo, Conte ha presentato una serie di richieste in nove punti (dal salario minimo al “bonus” edilizio e al reddito di cittadinanza da salvare), ma sono temi a medio termine, pensati soprattutto per la campagna elettorale. Implicano in molti casi nuove spese per i conti pubblici esausti, e più che altro forniscono a un partito quasi al collasso un paio di bandiere da sventolare. Draghi, in ogni caso, si è limitato a prendere atto.
Le questioni insidiose che avrebbero segnato una rottura, se i 5S le avessero poste seriamente sul tavolo – le armi all’Ucraina e il termovalorizzatore di Roma – , sono invece scomparse. E quindi non ci sono ostacoli al voto di fiducia sul cosiddetto “decreto aiuti”. Chi vuole vedere l’aspetto positivo nel comportamento di Conte, leggerà nella retromarcia il segno della responsabilità: l’esercizio di una leadership che tiene alla larga i massimalisti e maschera il «disagio» dietro la sostanziale conferma dell’appoggio al premier. Ma ci vuole un certo ottimismo per accreditare questa tesi.
Forse la si può integrare così: Conte è consapevole che il futuro suo e di quel che resta del partito passa dall’alleanza elettorale con il Pd, nel quadro di un centrosinistra in cui i 5S tentano d’incarnare l’anima di sinistra, insieme al piccolo gruppo di Bersani e Speranza. Per riuscirci, deve accettare fin d’ora che il tono della musica sia imposto dal Pd. E ovviamente la prima condizione è quella di non rompere con il governo, il che aprirebbe forse la strada a elezioni per cui nessuno è ancora pronto.
Se è così prepariamoci a una lunga guerriglia in Parlamento e dintorni. Tra poco si va in vacanza e quindi s’ impone la tregua del solito generale Agosto, ma in settembre Conte dovrà dimostrare ai suoi elettori sconcertati che i 5S non sono del tutto inutili e soprattutto irresoluti. Tornerà a scuotere l’albero senza essere in grado di abbatterlo. E magari a dargli una mano troverà Salvini. Nel frattempo, è logico, la ritirata di ieri ha ottenuto, sì, il moderato plauso del Pd, ma ovviamente ha regalato spazio agli oppositori interni.
Benché impegnato in Russia per i suoi “reportage” che spiegano i successi di Putin, Di Battista non ha perso l’occasione di ironizzare sulla strategia di Conte. D’altra parte la coperta è corta, da qualunque parte la si tiri. Ne deriva che la preparazione della legge di bilancio, all’inizio d’autunno, sarà un sentiero obbligato, ma anche tortuoso.
Obbligato perché non sembra che Draghi possa o voglia scendere a troppi compromessi: il colloquio di ieri sotto questo aspetto vale come anteprima del film che vedremo fra qualche mese (fermo restando che, se si concede poco o niente ai 5S, lo stesso dovrà valere per le altre forze della maggioranza). Tormentato perché il fronte del disagio, cioè Conte e sull’altro versante Salvini, saranno a tutti gli effetti in campagna elettorale. E faranno in modo che tutti lo sappiano.
(da agenzie)
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