CONTE TIRA FUORI GLI ARTIGLI: “I TEMPI DELLA CRISI NON LI DECIDE SALVINI”
LE MOSSE DEL PREMIER E DEL M5S, IL PRIMO TERRENO DI SCONTRO E’ IL CALEDARIO DELLA CRISI
Anche il mite Giuseppe Conte adesso tira fuori gli artigli. Dopo i due incontri con il vice Matteo Salvini, il premier mostra i muscoli. “I tempi della crisi non si decidono al Viminale”, è solo il primo avvertimento che lancia al leader leghista, il quale per ben due volte gli ha chiesto di dimettersi ma lui ha risposto di ‘no’ a muso duro.
Adesso nel vocabolario del presidente del Consiglio c’è soprattutto una parola: Parlamento. Attorno a questo concetto ruota tutta la strategia del premier. Mentre quella di Di Maio ruota attorno al taglio dei parlamentari. In entrambi i casi si tratta di allungare i tempi della legislatura per non dare al vicepremier leghista tutto e subito.
La battaglia sul calendario
La prima tappa della resistenza si sviluppa quindi alle Camere. Salvini vorrebbe convocarle già la prossima settimana, ma è difficile che Conte gliela dia vinta. Ha precisato che spetta a lui chiamare i presidenti di Camera e Senato. La battaglia è quindi sul calendario, le Aule con ogni probabilità non saranno convocate prima del 20 agosto.
Il leader leghista ha in mente di andare al voto entro il 20 ottobre, ma non è detto che la sua strada sia priva di ostacoli: e, già in questi giorni, il titolare del Viminale potrebbe trovarsi a fare i conti con un Parlamento con i battenti chiusi per almeno un’altra decina di giorni. Non solo.
Tra i 5Stelle c’è anche chi ipotizza un governo tecnico o di transizione per evitare l’esercizio provvisorio e portare il Paese alle urne a marzo o aprile. Per adesso però, in casa M5s, è una speranza più che una realtà .
Nel frattempo Luigi Di Maio tenta la mossa della disperazione per allungare la legislatura, ovvero l’approvazione del taglio dei parlamentari prima del voto di sfiducia. Le nuvole a metà pomeriggio si concentrano sopra palazzo Chigi.
In una giornata afosa di agosto, il cielo diventa scuro. Di Maio, chiuso nella sua stanza, sa che entro mezz’ora Matteo Salvini aprirà la crisi di governo. Così il capo del Movimento 5 Stelle, dopo essersi eclissato per diverse ore, praticamente da ieri, lascia la sede dell’esecutivo con la scusa di bere un caffè. È il pretesto per parlare davanti a giornalisti e telecamere, ma dice ben poco. Vuole dare l’immagine dell’ultimo dei mohicani, colui che non lascia la battaglia fino alla fine.
“Crisi? Sono tranquillo, lavoro per il Paese”, è il concetto che ripete più e più volte senza aggiungere altro provando a sfoggiare un sorriso. Il risultato tuttavia è una scena surreale, una ostentata tranquillità mentre tutto viene giù.
La rabbia è evidente e da questo momento in poi cerca di cambiare registro, nonostante la profonda debolezza, provando a rialzare il capo e a combattere contro la Lega: “Salvini ha fatto cadere il governo, ha messo i sondaggi davanti all’interesse del Paese”. Un refrain che, c’è da scommetterci, sentiremo più volte nei prossimi giorni e settimane.
La giornata nera di Di Maio è iniziata presto. Il vicepremier grillino incontra in mattinata i due capigruppo di Camera e Senato Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli. Il Movimento si gioca il tutto per tutto. I contatti con il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, sono continui. E già dal primo post su Fb della giornata anticipa la mossa disperata che, da come sarà declinata, potrà portare a inchiodare la Lega oppure a prolungare l’agonia di questa legislatura. Il concetto viene sintetizzato in una nota a firma Di Maio.
La mossa della disperazione
Il Movimento prova a tirare fuori l’asso nella manica, ovvero il taglio dei parlamentari. “E’ una riforma epocale, tagliamo 345 poltrone e mandiamo a casa 345 vecchi politicanti. Se riapriamo le Camere per la parlamentarizzazione, a questo punto cogliamo l’opportunità di anticipare anche il voto di questa riforma, votiamola subito e poi ridiamo la parola agli italiani”.
La Lega ha già detto che non voterà l’ultimo passaggio del taglio dei parlamentari, quindi il Movimento 5 Stelle avrà gioco facile per imbastire una campagna elettorale tutta contro la casta, cavallo di battaglia storico dei grillini.
Se invece il partito di Salvini avesse assecondato questa richiesta, il via libera avrebbe avuto ricadute sul possibile ritorno anticipato alle urne, spostando in là le lancette fino alla prossima primavera inoltrata. Questo perchè, dopo il via libera finale del disegno di legge costituzionale, si dovrebbero svolgere una serie di adempimenti tecnico-formali, previsti dalla Costituzione stessa, compreso il referendum, quindi si arriverebbe al voto a maggio o giugno del 2020.
Nel frattempo il Movimento avrebbe modo di riorganizzarsi e Di Maio proverà a recuperare credibilità all’interno del partito. Nelle ultime ore ha riallacciato i contatti con i punti di riferimento delle varie anime del Movimento: da Paola Taverna a Alessandro Di Battista, fino a Roberto Fico. Quest’ultimo è salito al Colle per fare il punto con il presidente Sergio Mattarella sui tempi per riconvocare le Camere in vista della parlamentarizzazione della crisi di governo.
La guerriglia interna al Movimento
Adesso il punto, per il leader M5S, è tenere buona la truppa almeno fino a inizio ottobre, quando a Italia 5Stelle sarà completata la riforma del Movimento, con il team di coordinatori, i facilitatori regionali ed una Carta di valori ad hoc. Non sarà facile. Il rischio di un asse avverso nella vecchia guardia, che sulla scia dello strappo di Massimo Bugani coinvolga anche Davide Casaleggio e Beppe Grillo, è alto.
Il capo politico M5s ha bisogno di tempo per allontanare la sua immagine da quella di Salvini, al quale — per molti parlamentari grillini — avrebbe detto ‘sì’ fino a schiacciare il Movimento. Quindi Di Maio farà di tutto per ostacolare il ritorno alle urne, come e quando chiede Salvini, che vuole tutto, il più presto possibile.
(da “Huffingtonpost”)
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