“CONTINUIAMO A PRENDERE SBERLE, CHE SENSO HA RESTARE?” SETTE PARLAMENTARI GRILLINI SU DIECI VOGLIONO USCIRE DAL GOVERNO DRAGHI
MA BEPPE VUOLE CONTINUARE A SOSTENERE DRAGHI
Dal magma grillino di questi giorni turbinosi, viene a galla un blocco eterogeneo, ma sempre più pesante, che preme sul leader per lo strappo. I colonnelli di Conte sono quasi tutti per ritirare i ministri. Incalzano il presidente, per ora solo nelle riunioni riservate.
Con toni così: «Continuamo a prendere sberle. Le nostre proposte non passano mai. Che senso ha restare?». Tre dei 5 vice-presidenti del Movimento sono schierati per l’uscita.
Suggeriscono all’ex premier di rompere gli indugi.
Riccardo Ricciardi è il più barricadero. Michele Gubitosa, che aveva definito l’inceneritore di Roma «la linea rossa» dei 5 Stelle per restare nell’esecutivo, è furibondo dopo la bocciatura dell’emendamento grillino in Commissione Finanze che avrebbe impedito la realizzazione dell’impianto.
Paola Taverna, che si espone di meno rispetto agli altri — ha pur sempre il ruolo di vice-presidente del Senato — nei vertici in video-call non fa sconti a Draghi.
Della cinquina, solo Alessandra Todde, sottosegretaria allo Sviluppo, rimane convintamente governista. «Ma mi rimetto alla volontà del presidente». Resta più defilato, attendista, Mario Turco. Sa che «il pressing di deputati e senatori per uscire è forte», ma «aspettiamo le risposte dall’esecutivo sui nostri temi».
Fra le truppe residue di senatori e deputati, i malpancisti non si contano più. Con percentuali variabili, a seconda delle fonti, i parlamentari tendenza-strappo sono dati tra il 70 e l’80% del totale. Quasi tutti i governisti puri sono passati con Luigi Di Maio. Tra chi è rimasto, tanti non si fanno scrupoli ad attaccare Draghi.
Bramano la rottura definitiva. Dal vice-capogruppo al Senato, Gianluca Ferrara, che da giorni pungola i vertici, «Conte ci porti fuori», ad Alberto Airola, che lo ha scritto ieri in un tweet e lo ha ribadito ospite di Metropolis: «Usciamo da questo governo come ci chiede il nostro popolo. Le fragole sono marce».
Altro iper-critico con Draghi è il deputato Luigi Gallo, che l’altro ieri bollava le mosse del premier come «operazioni di palazzo a tutela dell’élite». I toni sono questi.
Tra i big in sofferenza, c’è l’ex ministro Riccardo Fraccaro, il papà del Superbonus che viaggia veloce verso lo stop, nonostante la riformulazione del governo. Alfonso Bonafede in privato non lesina critiche al ministro Cingolani.
L’ex vice-ministro Stefano Buffagni all’indomani della scissione scuoteva la testa: «Restare nel governo? Vediamo, ci dobbiamo riflettere. Secondo me sarà uno dei temi…». La smania di strappare cova da settimane.
Addirittura c’è chi ha proposto di votare no già il 21 giugno, dopo il fiasco delle trattative per la risoluzione sull’Ucraina, in cui i grillini non hanno ottenuto quasi nulla.
«Avremmo votato no o astensione — racconta un big — Ci siamo fermati solo perché Di Maio ha annunciato nelle stesse ore la scissione e non volevamo nobilitare la sua scelta, dettata solo dalla voglia di tenere la poltrona».
Col passare dei giorni la pattuglia dei governisti si fa sempre più isolata e striminzita: la ministra Fabiana Dadone, il collega Federico D’Incà, il capogruppo Davide Crippa. Perfino il capo-delegazione Stefano Patuanelli, racconta chi ci ha parlato, ormai fa parte dei fatalisti. Succeda quel che deve.
(da il Corriere della Sera)
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