COSA HA FATTO IL GOVERNO RENZI: LE MISURE ENTRATE IN VIGORE E QUELLE SOLTANTO AVVIATE
DAL BONUS DI 80 EURO ALLA SPENDING REVIEW: I 113 GIORNI DEL GOVERNO RENZI
CUNEO FISCALE
Gli 80 euro sono arrivati, ma finanziati solo per il 2014
È tra le decisioni più importanti prese dal governo Renzi. Ottanta euro in più al mese, che dallo stipendio di maggio corrono nelle tasche di 10 milioni di lavoratori dipendenti con redditi compresi tra 8 mila e 24 mila euro lordi l’anno (tra 24 e 26 mila il bonus decresce rapidamente fino ad azzerarsi).
Il decreto legge, annunciato il 12 marzo nella discussa conferenza stampa delle slide col pesciolino, è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 18 aprile ed è stato convertito col voto di fiducia il 5 giugno.
A questa manovra il governo affida le speranze di spingere i consumi e la crescita dell’economia.
Per capire se avrà funzionato bisognerà aspettare i dati sul Prodotto interno lordo del secondo trimestre.
Nel primo trimestre il Pil è di nuovo arretrato (- 0,1%), per il secondo l’Istat prevede una leggera ripresa, tra 0,1% e 0,4%.
Molto dipenderà dalla capacità del governo di convincere le famiglie che il bonus non è una tantum, cioè solo per il 2014, ma permanente.
Questo potrà avvenire solo con la legge di Stabilità che l’esecutivo presenterà entro il 15 ottobre.
Solo in questo caso, infatti, sarà più facile che il bonus venga speso anzichè risparmiato
È importante ricordare, infatti, che per ora il bonus è coperto solo per il 2014.
Per il 2015 il governo ha promesso di estenderlo anche a incapienti (redditi fino a 8 mila euro), pensionati e partite Iva, come sarebbe giusto.
Ma proprio ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha frenato: si farà se verranno trovate le necessarie coperture
FATTO
LAVORO
Contratti a termine liberi, cassa in deroga senza risorse
L’occupazione è grande vittima della crisi internazionale. Negli ultimi 4 anni si sono persi più di un milione di posti di lavoro e gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, indennità di mobilità e di disoccupazione) hanno interessato, per periodi più o meno lunghi, circa 4 milioni di lavoratori l’anno. Il governo è intervenuto con due provvedimenti.
Un decreto legge che allunga da un anno a tre la durata massima dei contratti a termine senza causale e che elimina una serie di vincoli per le aziende sui contratti di apprendistato. Il provvedimento è stato convertito con la fiducia il 13 maggio.
Il secondo provvedimento è un disegno di legge delega che prevede, tra l’altro, la riforma degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità , ecc.) e l’introduzione del contratto di inserimento a tutele progressive.
Dopo l’approvazione del Parlamento il governo avrà circa un anno per emanare i decreti di attuazione della delega. Attualmente il ddl è all’esame della commissione Lavoro del Senato.
Nel frattempo, l’esecutivo non ha ancora risolto il problema delle risorse in più che servono nel 2014 per finanziare la cassa integrazione in deroga.
Secondo le Regioni serve con urgenza almeno un miliardo. Il governo non sa dove trovarlo. Per il momento ha sbloccato 400 milioni per pagare gli arretrati della cassa 2013.
Ma questo ha scoperto ancora di più il 2014, ha spiegato lo stesso ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in attesa di una risposta dal collega dell’Economia, Pier Carlo Padoan, su come fronteggiare l’emergenza anche quest’anno.
IN ITINERE (FATTO SOLO AL 50%)
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Permessi sindacali dimezzati Riforma dei dirigenti nel 201
Venerdì il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma della Pubblica amministrazione, suddividendola in due provvedimenti, un decreto legge e un disegno di legge delega. I testi definitivi si conosceranno non prima di martedì.
La necessità di far passare il maggior numero di norme prima che il Parlamento chiuda per le ferie ha indotto il governo ad approvare due decreti omnibus, in uno dei quali appunto, c’è un pezzo della riforma della Pa.
Dovrebbero partire subito, tra l’altro, il dimezzamento dei distacchi sindacali, l’abolizione del trattenimento in servizio (possibilità di restare al lavoro oltre l’età di pensione) che aprirebbe lo spazio all’assunzione di 15 mila giovani nei prossimi anni, secondo il governo.
Nel decreto anche: le incompatibilità per i magistrati che, se nominati dirigenti (per esempio nei ministeri) dovranno mettersi in aspettativa; la mobilità obbligatoria entro 50 chilometri; il dimezzamento della tassa d’iscrizione alle Camere di commercio; l’unificazione delle scuole di formazione per dirigenti.
Con un decreto ministeriale si dà il via al pin per i cittadini per dialogare online con la Pa. Nella delega, che vedrà i decreti applicativi nel 2015, finiscono invece la riforma della dirigenza e il taglio delle prefetture.
Non ci sono alcune novità che erano state annunciate: la retribuzione dei dirigenti legata al Pil, i poteri sostitutivi di Palazzo Chigi verso i ministri che non fanno i decreti attuativi, la possibilità , anche per gli uomini, di andare in pensione a 57 anni con 35 di contributi, ma con l’assegno contributivo. E non c’è nemmeno l’accorpamento di Aci, Pubblico registro automobilistico e Motorizzazione civile.
IN ITINERE (FATTO SOLO AL 35%)
RIFORME ISTITUZIONALI
Legge elettorale e Senato, traguardo ancora lontano
Il tempo passa ma i due provvedimenti intorno a cui ruotano le riforme istituzionali, cioè la riforma elettorale e l’abolizione del Senato elettivo, non vedono ancora l’uscita dal tunnel. Su entrambi Renzi, ancor prima di entrare a Palazzo Chigi, aveva raggiunto, un accordo con il leader dell’opposizione Silvio Berlusconi (il cosiddetto patto del Nazareno).
La tabella di marcia iniziale prevedeva l’approvazione entro aprile dell’«Italicum », la nuova legge elettorale che introdurrebbe per la prima volta nelle elezioni politiche la possibilità del ballottaggio tra le prime due liste o coalizioni se nessuna supera il 37%. Sempre entro aprile, era ipotizzata l’approvazione in almeno uno dei due rami del Parlamento del disegno di legge costituzionale per l’abolizione del Senato elettivo.
Le cose sono andate diversamente.
L’Italicum, frutto dell’integrazione e correzione di progetti di legge già in discussione in Parlamento, approvato alla Camera, è sempre fermo in commissione al Senato.
La partita potrebbe riaprirsi dopo che Grillo e Casaleggio si sono fatti avanti chiedendo un incontro a Renzi.
Il disegno di legge costituzionale, che oltre al bicameralismo perfetto corregge anche il Titolo V della Costituzione (federalismo), è stato varato dal Consiglio dei ministri il 31 marzo. Attualmente è sommerso da 4.750 emendamenti in commissione Affari costituzionali del Senato.
Il Pd si è diviso. Il dissenziente Corradino Mineo è stato sostituito in commissione, provocando l’autosospensione di 14 senatori del Pd. Renzi è sicuro di farcela, ma il traguardo si è oggettivamente allontanato.
IN ITINERE (FATTO SOLO AL 20%)
PAGAMENTI ALLE IMPRESE
La garanzia della Cassa depositi per sbloccare i versamenti
Sui pagamenti dei debiti commerciali alle imprese l’obiettivo del presidente del Consiglio è ambizioso. «Entro luglio pagheremo 68 miliardi di debiti arretrati con le imprese», aveva annunciato Matteo Renzi il 12 marzo presentando il disegno di legge in materia approvato in Consiglio dei ministri.
Poi, con il decreto legge 66 del 24 aprile, il governo ha accelerato. Un nuovo meccanismo, attraverso la garanzia della Cassa depositi e prestiti, favorisce la cessione alle banche dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica amministrazione. Nei 68 miliardi, indicati da Renzi, erano compresi i 22 già pagati nel 2013 sui 47 miliardi messi a disposizione dai provvedimenti del governo Letta per il biennio 2013-2014.
A questi 47 miliardi Renzi ne ha aggiunti 13 con il decreto.
Il totale sale così a 61 miliardi, un po’ meno dei 68 annunciati. Ma il pagamento effettivo è fermo a 23,5 miliardi, secondo l’ultimo monitoraggio del ministero dell’Economia fermo al 28 marzo.
Il sito del Mef ha promette ancora: «Il prossimo aggiornamento è previsto per il 23 aprile 2014», ma ad oggi non è arrivato.
Anche ipotizzando un’accelerazione, l’obiettivo dei 61 miliardi resta lontano.
Misure importanti a favore delle imprese sono comunque arrivate venerdì con uno dei due decreti legge approvati: detassazione degli investimenti, taglio del 10% della bolletta elettrica, rafforzamento dell’Ace (sgravi sulla patrimonializzazione).
IN ITINERE (FATTO SOLO AL 50%)
NOMINE
Cambi di poltrona, molti in rosa Tetto agli stipendi dei manager
L’ultima infornata è arrivata con il Consiglio dei ministri di venerdì: cinque nomine di peso a partire dal nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate, con Rossella Orlandi che l’ha spuntata sul magistrato Francesco Greco e sul numero due dell’Agenzia Marco Di Capua.
Nella stessa seduta il governo ha indicato anche Anna Genovese alla Consob, Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, e Cristiano Radaelli, commissario straordinario dell’Enit, l’Ente per il turismo.
Confermato, invece, il direttore dell’Agenzia del Demanio, Stefano Scalera. Un’eccezione, perchè nella partita delle nomine il governo ha scelto quasi sempre di cambiare uomini.
Nello stesso Consiglio dei ministri il governo ha anche formalizzato la scelta del magistrato Raffaele Cantone alla guida della nuova Autorità anticorruzione. Tutte le volte il governo ha tenuto conto del fattore rosa.
Anche quando ha cambiato i vertici delle società partecipate, dove però sono state dirottate verso la poltrona di presidente e non verso quella più importante di amministratore delegato.
All’Eni è andata Emma Marcegaglia con amministratore delegato Claudio Descalzi, alle Poste Luisa Todini con ad Francesco Caio, all’Enel Patrizia Grieco con ad Francesco Starace.
Solo per Finmeccanica una coppia di uomini: Mauro Moretti ad con la conferma di Gianni De Gennaro presidente.
Alle Ferrovie, al posto di Moretti, è arrivato l’interno Michele Elia. Per i manager pubblici, con l’eccezione delle società quotate, c’è il nuovo tetto agli stipendi: 240 mila euro lordi l’anno, come il capo dello Stato.
FATTO
SPENDING REVIEW
A rilento il taglio della spesa, servono risparmi per 14 miliardi
Alla revisione della spesa pubblica è legato il successo della politica economica del governo.
Alcuni tagli, per lo più di natura simbolica, avevano entusiasmato il premier. Per esempio la vendita all’asta online di 152 auto blu. Ma l’operazione, secondo un’inchiesta del settimanale Panorama, è stata un mezzo flop: a fine maggio erano state vendute solo 7 vetture per un incasso di 50 mila euro.
Un altro piccolo segnale, che non dovrebbe essere smentito dai fatti, è la chiusura di 4 ambasciate (Honduras, Islanda, Santo Domingo, Mauritania).
Più importante, invece, l’approvazione definitiva, con il voto di fiducia, della legge Delrio (presentata sotto il governo Letta) che abolisce le province elettive, anche se i risparmi possibili non sono forti (i 60 mila dipendenti delle Province passeranno infatti agli altri enti locali).
Più consistenti i tagli per 3,1 miliardi di spesa pubblica nel 2014 messi tra le coperture del decreto bonus: 2,1 dovrebbero venire da tagli a carico di ministeri, Regioni ed enti locali (700 milioni ciascuno).
Risparmi apprezzabili, dice il governo, dovrebbero arrivare anche dalla riforma della Pubblica amministrazione.
In particolare dalla riorganizzazione dello Stato sul territorio (riduzioni uffici e strutture) che però è prevista dalla delega ed è difficilmente quantificabile. E nessuno ha capito dove il governo troverà i 14 miliardi di euro di tagli di spesa annunciati per il 2015 e da decidere con la prossima legge di Stabilità per confermare il bonus di 80 euro.
Sarà questo anche il banco di prova del commissario Carlo Cottarelli, che, assicura il governo, non è stato emarginato.
IN ITINERE (FATTO SOLO AL 25%)
PRIVATIZZAZIONI
Avviata la cessione di Enav e Poste, ma gli immobili restano al palo
Il 16 maggio il Consiglio dei ministri con due Dpcm, decreti del presidente del Consiglio, ha dato il via alla privatizzazione di Poste italiane e dell’Enav, la società per l’assistenza al volo.
Per le Poste si prevede la vendita di una quota non superiore al 40% mentre per l’Enav massimo il 49%.
La maggioranza delle due società resterà quindi in mano pubblica. La cessione del 40% delle Poste potrà avvenire anche in più fasi attraverso un Opv, offerta pubblica di vendita, che potrà contenere forme di incentivazione all’acquisto per i dipendenti della società . Modalità simili sono previste per l’Enav.
Come ha detto il nuovo amministratore delegato di Poste, Francesco Caio, la privatizzazione entro l’anno, come vorrebbe il governo, rappresenta «una grande sfida». Sono stati selezionati gli advisor e si sta mettendo a punto il piano industriale.
Ancora non è stata conclusa la nuova convenzione con Cassa depositi e prestiti. Il Tesoro punta ad incassare 4-5 miliardi da Poste e circa un miliardo da Enav. Somme che, anche se arrivassero entro l’anno, non sarebbero in grado di soddisfare l’obiettivo complessivo del governo: incassi da privatizzazioni pari allo 0,7% del Pil all’anno (circa 11 miliardi di euro) nel periodo 2014-17, cioè 11 miliardi.
Una mano potrebbe venire dalle dismissioni immobiliari, ma su questo fronte, nonostante i ripetuti annunci del governo, non c’è ancora nulla da segnalare.
IN ITINERE (FATTO SOLO AL 20%)
Enrico Marro
(da “il Corriere della Sera“)
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