COSTRUIRE IL FUTURO ALTROVE PER EVITARE ALMENO LE VITTIME
IN SVIZZERA , NEGLI ULTIMI 20 ANNI, E’ ANDATA PERDUTA LA META’ DEL PERMAFROST
Non si tratta solo di un lento processo di fusione dei ghiacci che, al massimo, innalzerà il livello del mare di pochi centimetri al secolo, non si incrementa di qualche litro al secondo la portata dei torrenti fluvioglaciali e non accade poco alla volta, come amiamo ripetere per non farci impressionare.
No. Il rischio concreto è quello che hanno provato i 300 abitanti del paesotto di Blatten, sgombrati tutti per tempo il 19 maggio a causa dei segni evidenti di cedimento che dava il ghiacciaio sopra le loro teste. Andavano ripetendo che i Bergstuerze (le frane), in Svizzera, erano diventati più comuni dagli anni ’90 e avevano portata sempre più vasta e drammatica, ma mica sarebbe toccato proprio a loro e proprio oggi.
Invece hanno dovuto riconoscere che la catastrofe è stata “totale”, come dovranno ammettere che difficilmente il futuro di Blatten, nonostante le parole del sindaco, sarà possibile in quella stessa posizione. E che, pure spostandosi, qualche problema in montagna, ormai, si registrerà sempre.
Nove milioni di tonnellate di ghiaccio, terra, fango e detriti si sono staccate in un solo colpo e hanno cancellato il paese, ostruendo un torrente e formando un laghetto fino quasi a farlo tracimare.
Blatten, a 1500 metri di quota nel Canton Vallese, è stato cancellato
dalla cartina geografica e la Alpi hanno testimoniato, ancora una volta, quanto siano diventate una catena montuosa delicata e soggetta a un pesantissimo rischio naturale, accentuato, se non creato ex novo, dalla crisi climatica in atto.
Nonostante il ghiacciaio del Birch sia uno dei pochissimi a non registrare arretramenti significativi. Quando viene a mancare la protezione di una massa glaciale consistente, quello che resta del ghiacciaio può schiantarsi in pochi minuti, mentre, se il ghiacciaio sparisce, sarà la montagna stessa a subire crolli e frane.
Esattamente quanto sta accadendo negli ultimi decenni nelle Dolomiti e in tutto l’arco alpino, destinato a perdere completamente almeno la metà dei suoi ghiacci nei prossimi anni. Con la montagna che ancora si muove, dopo aver provocato nel crollo un terremoto di magnitudo 3,1 Richter, c’è anche chi parla di periodi di ritorno di frane come questa che arrivano al millennio.
Stupisce, ma poi fino a un certo punto, che, ancora una volta, di fronte a eventi naturali considerevoli, ci si rifugi nei tempi di ritorno calcolati con riferimento a inizio del XX secolo: un mondo climatico e idrogeologico che non esiste più. Non si riesce proprio a comprendere che bisogna rifare tutti quei conti (e ciò vale anche per i tempi di ritorno delle alluvioni) considerando solo gli ultimi decenni e ricordando che ci stiamo addentrando in territori inesplorati. Dimentichiamo i millenni e regoliamoci sui decenni, che sarà molto meglio.
E per chi volesse sottacere la crisi climatica, magari ricordando particolari condizioni locali, varrà la pena di consigliare uno studio sul permafrost europeo nell’ultimo secolo, così che possa capire quanto si è indebolita quella corazza dura e un tempo gelata che, fra l’altro, proteggeva le quote più fredde, una specie di collante che tiene insieme le montagne.
In Svizzera è andata perduta la metà del permafrost negli ultimi vent’anni, e non per il naturale alternarsi delle ere glaciali, ma per l’aumento delle temperature. Rocce infragilite, ghiacci messi in movimento dall’incremento costante e perentorio delle temperature medie atmosferiche in tutte le Alpi, zero termico che finisce al di sopra delle quote delle montagne più alte, estati più calde, ma soprattutto inverni più caldi: non si tratta di un evento inatteso, anzi, ci si dovrebbe meravigliare come non se ne verifichino con più frequenza.
Ma si tratta di dati ben conosciuti in tutto il mondo, nonostante qualcuno faccia finta di credere ancora alla favoletta del clima che è sempre cambiato e mica dipenderà dagli uomini che, al massimo, hanno portato a 430 ppm (parti per milione) l’anidride carbonica in atmosfera.
Nel passato i combustibili fossili non venivano bruciati e, restando sotto terra, non liberavano CO2. Con la rivoluzione industriale abbiamo iniziato a liberarli e così abbiamo alterato il clima come prima nessun vivente aveva mai fatto. Semplice e terribile. Abbiamo poi recitato come un mantra che il limite di +1,5°C nelle temperature non sarebbe stato superato, perché era l’ultimo.
Invece viaggiamo allegramente verso +2,7°C, almeno a guardare gli investimenti di Oil&Gas e i proclami di Donald Trump. Sperando di farla ancora una volta franca. La crisi del clima che ci tormenta sta inoltre imponendo una riflessione su come evitare almeno le vittime, e ciò vale sia per le frane che per le alluvioni. In questo caso i segnali hanno permesso un’evacuazione tempestiva, ma non sempre ci sono e non tutti sono disposti disciplinatamente a tenerli in considerazione.
Per questa ragione da certe zone bisogna andarsene in tempo di pace, ricostruirsi un futuro altrove, magari aiutati e compresi, ma prima di
diventare complici di quelli che chiamiamo disastri e che invece sono eventi naturali le cui conseguenze diventano catastrofiche solo per colpa nostra. Vivere sotto alcune montagne e nei paraggi di certi fiumi sta diventando più pericoloso che in passato.
E non ci sono opere che tengano: immaginiamo quanto avrebbero potuto reggere barriere paramassi, poco importa se in cemento armato o pietrame, reti metalliche, barriere di ogni tipo e dimensione. Sarebbero state semplicemente spazzate via.
Dai luoghi pericolosi bisogna andarsene per tempo e solo in certi casi è questione di opere, sempre è questione di cultura e consapevolezza che stiamo attraversando una crisi ambientale complessiva che può assumere diverse declinazioni, ma che ha un minimo comune denominatore nelle nostre azioni perniciose sbattute in faccia al pianeta pensando di poterlo sempre piegare al nostro uso. Il crollo di Blatten ci urla che non volersi prendere queste responsabilità e continuare come sempre non ci farà risparmiare né soldi né vite, ma solo un microscopico frammento di tempo in più.
(da (di ilfattoquotidiano.it)
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