DA MARZO AD AGOSTO 2008 IL PREZZO DEL GRANO DURO E’ SCESO DEL 39,2%
MA LA PASTA E’ AUMENTATA DEL 6,9% E IL PANE DELL’ 1,2%… NEL SEMESTRE I LORO PREZZI SONO SALITI DEL 33%, MA CHISSA’ PERCHE’ QUANDO CALA IL COSTO DEL GRANO I PREZZI DEI PRODOTTI FINITI NON SCENDONO MAI… PER OGNI EURO SPESO PER L’ACQUISTO DI PRODOTTI ALIMENTARI 60 CENTESIMI VANNO ALLA DISTRIBUZIONE, 23 ALL’INDUSTRIA E SOLO 17 AI PRODUTTORI
Facciamo un facile conto. Da un lato prendiamo i valori del grano duro, con cui si fa la pasta, e del grano tenero, con cui si produce il pane, negli ultimi 18 mesi alla borsa merci telematica di Milano. Dall’altro esaminiamo i prezzi dei due beni primari. La materia prima, dopo aver raggiunto i picchi di marzo ( 522 euro per una tonnellata di grano duro), a Ferragosto ha quotato poco più di 300 euro, con una perdita del 39,2% rispetto a marzo.
Stesso discorso per le granaglie, ma i prodotti finiti, dopo essere saliti del 33% ( dati Ministero dell’Economia) non sono più scesi. Prendendo in esame solo il mese di giugno si può notare che, nonostante i prezzi all’origine del frumento abbiano registrato un calo rilevante ( – 16,2% per quello tenero e — 29,1% per quello duro), la riduzione non si è riflessa sul costo del prodotto finale per i consumatori che risulta, al contrario aumentato: il pane dell’1,2% e la pasta del 6,9%.
Guardiamo in Europa che è accaduto. I prezzi del “gruppo” pane e cereali hanno registrato una variazione tendenziale in crescita, in Italia dell’11,4%, a fronte del 10,8% della Spagna, dell’8,7% della Germania e del 6,9% della Francia.
Da qui una dura presa di posizione del “garante dei prezzi” e delle associazioni dei consumatori che hanno affermato: “emerge che l’attuale livello dei prezzi al consumo di pane e pasta non trova più giustificazione nell’andamento del mercato delle materie prime che da tre settimane ha iniziato una fase di discesa”. In questo quadro si inserisce il dato della contrazione del consumo del pane sulle nostre tavole del 2,5%, ovvero se ne compra meno per ovviare all’aumento del prezzo.
La Coldiretti del Piemonte, in uno studio, ha sostenuto che “ a favorire la crescita dei prezzi nell’agroalimentare sono soprattutto le distorsioni e i troppi passaggi nel percorso dei prodotti dai campi alla tavola: è lì che i prezzi si moltiplicano e i centesimi si trasformano in euro”.
Secondo l’associazione, per ogni euro speso nel’acquisto di prodotti alimentari, 60 centesimi vanno alla distribuzione commerciale, 23 all’industria e solo 17 finiscono ai produttori. Ma non ci avevano detto che le catene distributive dei supermercati, a differenza dei “negozietti” sotto casa e dei banchi del mercato, ci avrebbero garantito “prezzi bassi”, grazie alla loro forza contrattuale e alla distribuzione capillare?
Ci hanno piazzato supermercati dappertutto per poi leggere che la distribuzione costa in percentuale più di 30 anni fa? Per depistarci ancora oggi ci parlano di “troppi passaggi” nella catena, ma se i supermercati comprano all’origine spesso i loro prodotti, mettendoci pure il loro marchio, dove stanno i “troppi passaggi”? Qualcosa non quadra, non credete?
A questo punto, sebbene l’esperienza insegni che dai picchi è difficile scendere, come succede per la benzina, per evitare che l’effetto inflazione futura non diventi distruttivo, occorrerebbe intervenire.
Il ministro Zaia “propone” prezzi politici e finalmente prende atto di quello che noi andavamo dicendo da mesi: occorre calmierare un tot di prodotti di prima necessità , in modo che abbiano prezzi fissi nelle catene dei supermercati. Le aziende tacciono, Zaia si limiti alle dichiarazioni di principio, il Governo non vuole scontentare qualcuno evidentemente.
Il Governo non ha capito che non deve trattare, coordinare, convocare le parti, mediare, analizzare e palle varie: deve imporsi e basta. Convochi e dica: si fa così e basta. Per sei mesi vogliamo questi prezzi per questi 1000 prodotti di prima necessità , in cambio vi diamo questi incentivi. E vedreste che in mezza giornata il problema è risolto.
In fondo le aziende guadagnerebbero meno su quei prodotti, ma sempre qualcosa e in più avrebbero magari delle agevolazioni fiscali. E sui restanti prodotti il loro margine rimarrebbe inalterato.
Ci vuole un premio Nobel per fare un’operazione così semplice? O i muscoli, senza cervello, li usiamo a vanvera solo per le battaglie mediatiche sulla sicurezza?
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