DAL BARCONE AL LAVORO NELLA CASA DI RIPOSO: “IL MIO CONTRIBUTO AL PAESE CHE MI HA ACCOLTA”
SHERIKAT, 26 ANNI, NATA IN NIGERIA, SI E’ ISCRITTA A UNA SCUOLA PER INFERMIERI E ORA PRESTA SERVIZIO COME OPERATIRCE SOCIO-SANITARIA
E’ arrivata a Taranto con un barcone carico di profughi nel dicembre 2015. Era partita dalla Libia, dopo settimane di attesa.
Oggi Sherikat è operatrice socio sanitaria nella casa di riposo del Comune di Milano in via Famagosta. Lì, in prima linea, dove gli anziani soffrono e perdono la vita per il coronavirus. Anche in questa struttura ci sono state vittime, anche se al momento non è nella lista di quelle messe sotto la lente di ingrandimento della procura.
La sua è una storia di normale integrazione, visto che Sherikat, da quando è arrivata in Italia, è riuscita ad avere il riconoscimento della protezione internazionale per motivi umanitari.
Dopo questo passaggio, si è iscritta a una scuola per infermieri e ha partecipato a un concorso per entrare subito a lavorare nelle Residenze sanitarie assistite pubbliche (Rsa). “Ogni giorno mi vesto con la tuta, indosso la mascherina e la visiera e vado in corsia – racconta in uno splendido italiano la ragazza che ha 26 anni ed è nata in Nigeria – Certo, questo è un molto momento difficile per l’Italia e per le persone anziane, ma io sono contenta di dare il mio contributo al Paese che mi ha accolto quando avevo bisogno. Mi piace il mio lavoro, sto bene con le persone avanti con gli anni”.
Sherikat abitava inizialmente in un centro d’accoglienza per migranti a Lonate. Dopo i decreti sicurezza è uscita e dall’ottobre scorso è ospite dela famiglia di un avvvocato che si occupa spesso di diritto delle migrazioni, Alberto Guariso.
“Anche per noi è una bella esperienza e vediamo che Sherikat è molto impegnata nel suo lavoro. Fa turni di molte ore consecutive ma non demorde, anche se sicuramente è sotto stress come tutti quelli che lavorano nelle Rsa”, dice Guariso.
Sherikat racconta che nella struttura dove lavora ci sono 285 anziani: “Tutti abbiamo paura in questi giorni con le notizie che ci sono. Abbiamo colleghi che si sono ammalati, il personale oggi è molto ridotto, si lavora come in trincea. Gli anziani sanno quello che succede fuori, hanno paura anche loro, ma soprattutto sono preoccupati per i loro parenti che non vedono da diverse settimane. Noi li facciamo parlare con i figli attraverso le videochiamate, cerchiamo di tranquillizzarli, ma certo sono giorni di grande angoscia per tutti”.
Lei comunque non si tira indietro: ogni giorno va al lavoro, si mette tutte le protezioni e la sera le toglie per tornare a casa. Al viaggio in barcone per arrivare in Italia cerca di non pensare più: “E’ lontano nel tempo, anche se quel ricordo mi fa sempre soffrire. Ma oggi penso di più alla mia famiglia che è in Nigeria: non li sento da molti mesi e non so come sta andando lì l’epidemia. Spero stiano tutti bene, mentre io sono qui ad aiutare i parenti di altre persone. Spero che questo sacrificio serva per costruirmi un futuro in questa città che ora sento come casa mia”
(da “La Repubblica”)
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