DAL CALIFFO AI TRE MUFTI: ECCO CHI COMANDA L’ISIS
LA STRUTTURA E’ GERARCHICA, MA LA SUA OPACITA’ NON AIUTA I SERVIZI A INDIVIDUARNE I CENTRI NEVRALGICI
Se non fosse per quel ghigno da predoni medioevali dediti a razziare, stuprare, massacrare gli “infedeli”, l’organizzazione dello Stato islamico (Is) è tale da scusare la congettura che dietro alle orde di Al Baghdadi vi siano menti dotate di fine acume strategico.
Le Intelligence, prese alla sprovvista dall’avanzata dell’Is, s’affannano a indagare la struttura operativa del «gruppo terroristico meglio armato e finanziato della storia». Da quel po’ che emerge, tuttavia, si tratta di una struttura articolata, concepita per la «lunga durata».
L’«opacità » dell’Is, conclamata dai servizi segreti, non aiuta a individuarne i centri nevralgici, primo bersaglio per la sua sconfitta.
Si sapeva quasi nulla persino di Abu Bakr al-Baghdadi, l’autoproclamatosi califfo «di tutti i musulmani» prima che l’ex predicatore «dall’aspetto mite e dalla voce gentile» cresciuto in un misero sobborgo di Samarra in Iraq uscisse dall’ombra in luglio con una rara apparizione nella moschea di Mosul.
Non viene in soccorso nemmeno l’uso di pseudonimi dal richiamo leggendario (Abu Bakr, come il primo Califfo dopo Maometto) fra i luogotenenti, pescati per la ferrea sudditanza: in primis dai Paesi del Golfo – sauditi e emirati – , dal Caucaso e dai ranghi degli iracheni ba’athisti, ex agenti dei servizi o dell’esercito di Saddam.
Lo stesso Al Baghdadi all’anagrafe è in realtà Ibrahim Awad Ibrahim al-Badri “Califfo” da appena due mesi (dal 29 giugno), Al Baghdadi ha ereditato una struttura rigorosamente gerarchica dal suo predecessore, Abu Omar al-Baghdadi.
Questi era stato, fino alla morte nel 2010, il leader dello Stato islamico d’Iraq creato nel 2006, l’antesignano dell’Is.
Gli embrioni del “califfato” erano già abbozzati.
Al vertice siede il “califfo”, con poteri assoluti sui consigli del governo, e di vita e di morte sui sottoposti.
Il braccio “operativo” è il Consiglio della Sharia, composto da sei membri come quello del califfo Omar ai tempi di Maometto.
Retto da tre “Mufti”, due sauditi e un salafita del Bahrain, controlla l’osservanza delle norme da parte degli organi governativi. Una Shura riunisce i ministri incaricati di dirigere la “pubblica amministrazione”, dalla guerra alle finanze con la pubblicazione, nientemeno, di un bilancio annuale.
Il Consiglio militare conta fra gli otto e i tredici membri; per capo ha un ceceno, Omar al-Shishani, noto per l’algida crudeltà .
Il Consiglio di sicurezza raccoglie gli aguzzini inviati ad abbattere rivali e dissidenti, e a formare gli “inghimassi”, guerriglieri kamikaze.
I Comitati della Sharia applicano la sanguinosa “giustizia” – decapitazioni, flagellazioni, amputazioni – nonchè la “promozione della virtù e la prevenzione dei vizi”, sul modello dell’Arabia Saudita.
Quel che più distingue Al Baghdadi dai suoi empi pari, ad ascoltare gli esperti, è la sinistra abilità nel trasformare un ramo cadetto di Al Qaeda fino al 2010 sull’orlo del disfacimento, in un’organizzazione globale dalla notevole capacità militare, dal forziere miliardario, e con schiere di mujaheddin.
Insediati i propri governatori nelle regioni conquistate, i propri imam nelle moschee, una cassa unica dove accumulare i bottini di guerra, tra furti dei tesori delle banche, tasse e taglieggi, saccheggi e sequestri, il “califfo” ha imposto il proprio regno del terrore in una regione transnazionale che conta già otto province a cavallo della Siria e dell’Iraq mentre procede verso Aleppo e i confini con la Turchia, già assestato sulle frontiere di Libano e Giordania.
Si racconta che al Baghdadi, prigioniero al Bucca Camp, il carcere Usa in Iraq, il giorno del rilascio abbia salutato il colonnello Kenneth King con queste parole: «Ci vediamo a New York». King ha confessato al Daily Beast di «non aver colto la minaccia, quel giorno».
Una distrazione davvero costosa.
Alix Van Buren
(da “La Repubblica”)
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