DETENUTI ITALIANI CONDANNATI A FAR NULLA: SOLO IL 3% AL LAVORO
SI PARLA TANTO DI RIABILITAZIONE, MA LO STATO DOVREBBE CREARE OCCASIONI DI LAVORO VERO… IL DETENUTO UNA VOLTA SCONTATA LA PENA, AVREBBE PIU’ PROBABILITA’ DI CONDURRE UNA VITA ORDINATA: TRA CHI LAVORA IN COOPERATIVE SOLO L’ 1% TORNA A DELINQUERE
Il problema l’ha sollevato pochi giorni fa Raffaele Costa, ex ministro alla Sanità ed ex sottosegretario alla Giustizia, attualmente presidente della Provincia di Cuneo e famoso per i suoi blitz, quando era responsabile della Sanità , negli ospedali, con visite anche notturne a sorpresa in corsia, per verificare il sistema sanitario da vicino.
Nei giorni scorsi Costa ha visitato le carceri della provincia di Cuneo, ovvero Saluzzo, Fossano, Alba e Cuneo.
Alla fine del suo peregrinare ha potuto constatare che sono trascorsi trent’anni dalla sua prima visita, non da avvocato, ma da sottosegretario, nelle carceri italiane e nulla è cambiato.
Al di là delle strutture carenti e delle celle sovraffollate, l’ex ministro ha sollevato il problema principale, su cui troppi spesso sorvolano: la carenza di efficacia riabilitativa.
La maggioranza dei detenuti, una volta scontata la pena, avrebbe molte più probabilità di condurre una vita ordinata e di non tornare a delinquere se sapesse svolgere un’attività lavorativa.
Molti troverebbero nel lavoro una ragione e uno stimolo per non tornare a commettere reati.
I detenuti che lavorano per ditte esterne invece sono attualmente solo il 3%, mentre il 24% svolge un’attività per l’amministrazione penitenziaria, ma fine a se stessa in pratica.
Il 70% invece ozia forzatamente.
Su 58.000 detenuti attualmente ospiti delle carceri italiane in teoria lavorano in 12.380 ( 11.633 i part time), quasi tutti in compiti relativi all’amministrazione penitenziaria ( cucina, pulizia, biblioteche). Si tratta di lavori fini a se stessi e che non costituiscono certo un percorso formativo. Solo 1.033 detenuti lavorano all’esterno e rientrano la sera in carcere ( 988 sono quelli in semilibertà ).
Sono 747 quelli che lavorano in cooperative che seguono le regole del mercato del lavoro e, dato importante, di questi solo l’1% torna a delinquere, segno evidente che laddove il detenuto è inserito in un percorso lavorativo reale e virtuoso, risponde positivamente alla sua rimessa in libertà .
Il 90% dei detenuti invece viene lasciato abbandonato a se stesso, coi risultati che ben conosciamo. Costa propone una soluzione: la remunerazione, da parte di ditte esterne, che in base a una norma introdotta nel 1995 non può essere inferiore ai due terzi di quella prevista dai contratti collettivi nazionali in base alla tipologia di lavoro svolto.
In pratica si potrebbe introdurre il pagamento a cottimo, basato cioè sulla quantità dei beni prodotti, che insieme ad altri strumenti potrebbe incentivare le ditte ad affidare le proprie lavorazioni ai detenuti.
Una norma che supererebbe le remore che hanno indotto fino ad oggi molte aziende a rinunciare alle commesse in quanto troppo oneroso il costo del lavoro.
Rieducazione e riabilitazione passano attraverso il lavoro e assicurano una prospettiva al detenuto una volta scontata la pena.
E’ opportuno che il nostro governo consideri la proposta di Raffaele Costa e la sviluppi con interventi efficaci, perfezionandola nei modi che riterrà migliori.
Ma non è più concepibile un sistema carcerario che non metta il detenuto che ha voglia di farlo in condizioni di lavorare e di riscattarsi.
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