DISINFORMARE E’ PARTE DEL LAVORO DEI DIPLOMATICI RUSSI
LA RICERCA DELL’OXFORD INTERNET INSTITUTE
I diplomatici del Cremlino fanno disinformazione ed è parte del loro lavoro. L’avevamo già visto con la questione dell’attacco all’ospedale di Mariupol e della disinformazione diplomatici russi su virus e laboratori ucraini – in particolar modo ad opera dell’ambasciata russa nel Regno Unito -. Ambasciate e consolati russi nel mondo, di fatti, sono occupate ad utilizzare i social media per far ricadere la colpa delle atrocità che accadono in Ucraina sull’Ucraina stessa per minare la coalizione internazionale a suo sostengo. L’azione delle varie aziende tech è stata quella di rimuovere determinati contenuti, applicare label agli account dei diplomatici russi o – ancora – rimuoverli dai risultati di ricerca. A prescindere da tutto, però, questi account rimangono attivi e continuano a fare disinformazione e propaganda in ogni lingua, tarate per gli specifici paesi in cui twittano.
Tra le ambasciate più attive nel fare disinformazione troviamo quelle del Regno Unito e del Messico, che sfornano propaganda filorussa a sostegno dell’invasione con regolarità. «Ogni settimana dall’inizio della guerra questi diplomatici hanno postato migliaia di volte, ottenendo più di un milione di impegni su Twitter a settimana» afferma Marcel Schliebs, ricercatore presso l’Oxford Internet Institute che ha studiato oltre 300 account di ambasciate, consolati e gruppi diplomatici russi.
Il copione dell’ambasciata russa nel regno Unito per l’attacco alla stazione in cui sono morti oltre 50 civili è stato lo stesso adottato per l’attacco all’ospedale di Mariupol.
Si tratta di contenuti che – secondo il monitoraggio – arrivano a raccogliere anche migliaia di retweet, commenti e like (compresi quelli di chi lo bolla come propaganda). Nicholas Cull, docente della University of Southern California che si occupa di diplomazia e propaganda, sostiene che «questo è ciò che significa vivere e lavorare per un regime totalitario: esso richiede una bolla mediatica, la censura a casa, la propria messaggistica sia per un pubblico interno che estero».
Non è certo una novità per la Russia se si considera che già nel 2014 i diplomatici utilizzavano i social per fare disinformazione sull’invasione della Crimea e sull’avvelenamento dei dissidenti russi. Dall’altro lato, il fatto di essere rappresentati di governi stranieri ha fornito loro la libertà di parlare – riporta AP, che ha condiviso i risultati dello studio .
Secondo lo studio c’è stato un aumento notevole della propaganda diplomatica pro Russia già nelle settimane che hanno preceduti l’invasione di febbraio.
Gli account – stando alla ricerca di Schliebs – sono arrivati a twittare un totale di 2 mila contenuti a settimana immediatamente dopo l’invasione. La battuta d’arresto c’è stata dopo che Twitter ha annunciato, a inizio aprile, che avrebbe limitato oltre 300 account russi nei risultati di ricerca così da limitarne la portata. Nonostante questa azione, gli account in questione continuano a raccogliere circa mezzo milione tre like, retweet e commenti ogni settimana.
Dei trecento account Twitter e Facebook esaminato sono solo un terzo ad avere l’etichetta “organizzazione governativa russa” che le piattaforme hanno deciso di utilizzare per fornire un maggiore contesto all’utente rispetto a chi ha pubblicato quel contenuto.
Schliebs non esita a paragonare la risposta delle big tech all’invasione della Russia paragonabile a quella all’attacco del 6 gennaio in Campidoglio, sottolineando come Trump sia stato bloccato su Twitter mentre i diplomatici russi no: «In nessun modo sto difendendo Trump ma non riesco a vedere coerenza in questa politica», ha affermato il ricercatore.
Schliebs chiarisce anche il probabile perché, considerato che se la Russia e i suoi sostenitori si spostano su piattaforme molto meno trasparenti e difficilmente tracciabili come Telegram, c’è il rischio che i ricercatori non abbiano modo di vedere che cosa fanno (non a caso l’ambasciata russa nel Regno Unito già la scorsa settimana invitava i suoi follower a unirsi al gruppo Telegram così come ha fatto il ministero degli Affari Esteri della Russia).
(da agenzie)
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