ESERCITO COMUNE EUROPEO: “INEVITABILE O NON SIAMO CREDIBILI”
FINALMENTE EMERGE LA NECESSITA’ DI UN ESERCITO EUROPEO, AUTONOMO ED EFFICIENTE
La ritirata dall’Afghanistan prima, la guerra in Ucraina poi. Nell’ultimo anno in Europa è tornata forte l’urgenza di parlare di difesa comune, un tema storico che accompagna l’Unione fin dalla costituzione del Trattato di Maastricht nel 1993.
Secondo le più alte cariche europee, un fronte comune militare rappresenta la scelta più strategica per il futuro. Ma, come spesso accade, non tutti in Ue la vedono allo stesso modo. Per capire i dubbi e le difficoltà dietro al progetto, sabato 14 maggio si terrà all’auditorium dell’Università di comunicazione e lingue Iulm di Milano lo EUth Debate 2022. Opinionisti ed esponenti delle istituzioni europee accompagneranno la gara finale del Campionato Giovanile Italiano di Debate 2021 – 2022, per approfondire e commentare il tema.
E per rispondere alla grande domanda: i quattro maggiori paesi dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia, Spagna) dovrebbero promuovere una cooperazione rafforzata per la politica estera e di difesa comune? Oppure dovrebbero puntare piuttosto su un potenziamento della spesa militare nazionale e riguadagnare terreno nella Nato?
Con il trattato di Lisbona, in vigore dal 2009, arriva in Ue la figura dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, carica oggi ricoperta da Josep Borrell.
Il trattato prevede anche la possibilità di rafforzare la collaborazione reciproca in materia di difesa (la cosiddetta Pesc), ma malgrado i propositi di creare una visione estera comune, i Paesi membri non sono mai riusciti a finalizzare l’obiettivo. In questi giorni, in occasione della festa europea del 9 maggio e della conclusione dei lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa, i maggiori leader europei hanno puntato il dito contro alcuni meccanismi che ostacolano il progetto.
Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Roberta Metsola e lo stesso Draghi hanno definito necessario il superamento del principio dell’unanimità a favore di una «maggioranza qualificata».
«Il punto dirimente riguarda il diritto di veto in politica estera e di difesa, che bisogna abolire subito, senza alcuna esitazione», spiega a Open la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno.
«È antistorico che le decisioni debbano essere prese all’unanimità: è un meccanismo procedurale che si scontra con la realtà, perché determina paralisi e rallentamenti quando invece, oggi più che mai, servono decisioni tempestive affinché siano efficaci. Il conflitto in Ucraina è la dimostrazione più evidente e lampante di questa esigenza».
Come spiega Picierno, tra i punti fondamentali della Pesc c’è l’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea che, tra le altre cose, prevede che in caso di aggressione armata al territorio di uno Stato membro, gli altri saranno tenuti a prestare aiuto e assistenza.
«Ciò che manca oggi è il passo successivo, cioè la costituzione di forze europee vere e proprie», dice la vicepresidente. Il tema era tornato nelle agende politiche già nell’agosto del 2021, a seguito del ritiro delle truppe Usa dall’Afghanistan e la riconquista di Kabul da parte dei talebani. Una Nato troppo schiacciata sugli Stati Uniti e sui loro interessi nazionali aveva portato in quelle settimane l’Ue a riprendere in mano il discorso. Oggi, con la Nato diventata il pretesto per Putin di riportare la guerra in Europa e un’Unione ancora debole sulla politica estera, i Paesi europei hanno accelerato con il progetto della Bussola Strategica, un piano di cooperazione che lascia aperta l’ipotesi di un esercito comune. L’Ue sta cercando di riguadagnarsi uno spazio per incidere sui negoziati di pace tra l’Ucraina e la Russia – anche a fronte dell’estrema polarizzazione tra Mosca e Washington -, ma costruire una visione comune non è facile.
«Una difesa senza esercito non è più possibile»
Per la vicepresidente del Parlamento europeo, però, non si può più fare un ragionamento sulla difesa comune senza parlare di esercito. Soprattutto non ora, nel momento in cui l’Europa ha bisogno di ritagliarsi uno spazio di incisione diplomatico nella crisi con la Russia. «Non può esistere una difesa comune europea senza un esercito, sia per un assunto logico che pragmatico», dice. «Il termine “esercito” viene spesso utilizzato come spauracchio, ma la verità è che avere una forza di difesa e di pace renderebbe autonoma l’Unione ai tavoli negoziali, renderebbe protagonista la politica estera e avrebbe una capacità di intervento difensivo migliore». La costruzione di una politica estera e quella di una politica di difesa, dice, non possono che andare di pari passo. «Una politica estera non supportata dalla condivisione di alcune strutture e apparati militari rischia di peccare di efficacia e di rivelarsi velleitaria».
I vantaggi
Per Picierno è proprio chi non vuole un esercito comune a voler mettere davanti i tanti interessi particolari dei singoli Stati, soprattutto in chiave anti-europea: «Vedo interessi che vorrebbero un’Europa debole e priva di centralità politica. E Macron è il primo che vuole un’Europa più forte e autonoma».
All’inizio del suo semestre di presidenza al Consiglio Ue, Macron ha lanciato un piano di ristrutturazione delle funzioni e del mandato del Parlamento europeo, che mira a trasferire il potere legislativo e quello strategico dalle singole cancellerie agli organismi europei.
Sul rischio di un settore a trazione esclusivamente francese, Picierno ribatte: «È un falso problema. La difesa comune europea e il suo esercito non saranno un ente autogestito, ma guidato in modo collegiale. Verrà gestito con il metodo comunitario, coinvolgendo Commissione e Parlamento Europeo in modo significativo, andando oltre il metodo del voto all’unanimità in Consiglio».
Il vantaggio, come detto anche da Draghi nel suo discorso al Parlamento europeo del 3 maggio scorso, si percepirà anche in termini economici. «Oggi le spese militari nazionali sono più alte proprio perché su alcune materie manca il meccanismo di interscambio, di acquisti comuni e di razionalizzazione delle risorse», dice Picierno. «La Nato non verrebbe accantonata, ma sarebbe valorizzato il suo asset difensivo e la sua collegialità. Da sempre la centralizzazione dei costi e la gestione collettiva della difesa sono un bene per i singoli Stati, lo vediamo nei settori della giustizia e della lotta al crimine organizzato. Vincono il coordinamento e gli obiettivi comuni».
(da Open)
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