EXPO, CANTONE CONFERMA: “APPALTO A FARINETTI SENZA GARA, SPIEGAZIONI NON SODDISFACENTI”
ORA TUTTO POTREBBE FINIRE IN PROCURA
Bocciatura definitiva per Oscar Farinetti: la presenza in Expo, senza gara, della sua Eataly non ha convinto l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone, malgrado la poderosa difesa messa in campo dal commissario dell’Esposizione, Giuseppe Sala.
“Non ritenendo del tutto soddisfacenti le spiegazioni ricevute”, scrive Cantone, “si valuterà se richiedere ulteriori precisazioni o intraprendere altre iniziative”.
Tra queste, potrebbe esserci la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Milano.
Tutto è cominciato con gli articoli del Fatto Quotidiano che nel settembre 2014 hanno cominciato a chiedere come mai “il più grande ristorante del mondo” fosse stato concesso a Farinetti senza gara.
Lo spazio Eataly dentro Expo è composto da due “stecche” di 8mila metri quadrati in cui funzionano 20 ristoranti, uno per regione italiana, in cui si danno il cambio 120 ristoratori: scelti da Farinetti, a suo insindacabile giudizio
Sugli incassi, l’imprenditore gira una royalty del 5 per cento a Expo, che prevede un ricavo netto di 1,2 milioni di euro.
“Basta con i gufi di Expo”, aveva dichiarato allora Farinetti. “I visitatori saranno almeno 30 milioni, un terzo dei quali stranieri. Sarà l’occasione di fare uno scatto e raddoppiare esportazioni e turismo”.
In attesa che le promesse si avverino, l’Anac chiede spiegazioni a Sala sull’appalto senza gara.
Le era arrivato anche un esposto presentato da un operatore del settore, Pietro Sassone, presidente di Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners).
Sala ha difeso a spada tratta la sua scelta, non senza qualche ridondanza lessicale: in un entusiastico documento datato 1 giugno 2015, il commissario sostiene che Eataly è un “primario player nella ristorazione di qualità e il più grande centro enogastronomico del mondo: un modello originale in cui i prodotti di alta qualità della tradizione agroalimentare italiana si consumano e si studiano”.
Vanta inoltre “una presenza internazionale, con 23 punti vendita aperti e 13 in apertura entro il 2015”.
Eataly, scrive Sala, “presenta elementi di unicità che lo rendono l’unico soggetto che può rispondere alle esigenze di Expo”: grazie alla “riconoscibilità mondiale del brand come italianità e alimentazione di qualità a prezzi accessibili a tutti”; alla “capacità di attrazione di visitatori”; alla “filosofia distintiva basata sulla convinzione che il ‘buon cibo’ avvicina le persone, crea comunione tra i diversi strati sociali, aiuta a trovare punti di vista comuni tra gente di diverso pensiero”; e alla “offerta di education e entertainment”, con i suoi corsi di educazione alimentare e di cucina, degustazioni, incontri con le grandi cantine eccetera”.
Insomma, “il tratto distintivo e originale dell’offerta di Eataly, illustrato nella seduta del consiglio d’amministrazione del 18 giugno 2013, è rappresentato dal format unico ideato da Eataly che coniuga servizi di ristorazione innovativi, educazione alimentare, didattica e formazione professionale”.
Un PR expottimista non avrebbe saputo dire meglio.
Ma non ha convinto Cantone, che risponde secco: “Questa Autorità riscontra i chiarimenti afferenti alla procedura esaminata reputando, tuttavia, scarsamente condivisibili talune motivazioni illustrate nella nota in riferimento”.
I dubbi riguardano due punti.
Uno: le spiegazioni fornite sul perchè Expo spa “si è sottratta alla previa gara, prevista”, “sebbene senza effetto”, dalle norme peraltro richiamate nel consiglio d’amministrazione del 18 giugno 2013.
Due: la mancanza di spiegazioni sui contratti che Expo “avrebbe sottoscritto con le Camere di commercio”.
Si tratta degli accordi raccontati da un altro articolo del Fatto nell’aprile 2015, secondo cui Farinetti gestirebbe anche l’esposizione nei suoi padiglioni di prodotti (olio, salumi, formaggi, dolci eccetera), chiedendo alle aziende produttrici di pagargli 750 euro più iva per due giorni di presenza nelle sue “vetrine espositive”.
Si tratterebbe di una stravagante procedura in cui un privato si fa pagare per concedere uno spazio pubblico.
Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano”)
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