FAMIGLIE, PENSIONATI, LAVORATORI: LE PROMESSE TRADITE DAL GOVERNO
DUE TERZI DELLA MANOVRA SE NE VANNO PER RICONFERMARE MISURE UN SCADENZA, LE RIFORME DEI SOVRANISTI RIMANGONO UNO SPOT
La promessa della premier Giorgia Meloni era che la sua terza legge di Bilancio sarebbe dovuta essere quella improntata sull’aiuto alle famiglie per sostenere la natalità. Ma, alla fine di un iter segnato da due lunghissimi mesi di litigi in maggioranza per spartirsi qualche mancetta e dalla figuraccia sulla “sovracopertura” trovata giusto in tempo per evitare l’esercizio provvisorio di bilancio, quel che è rimasto sta tutto nel “rammarico” dichiarato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: “Avrei voluto fare di più per la famiglia e per figli”. Il risultato è che oltre a scontri e polemiche su faccende finanziariamente secondarie come il taglio del canone Rai, la norma anti-Renzi sui compensi esteri o i rimborsi viaggio per i ministri, i 30 miliardi della prossima manovra saranno impiegati quasi tutti per riconfermare misure in scadenza come il taglio del cuneo e dell’Irpef (che da soli valgono quasi i due terzi delle risorse), gli sgravi per le assunzioni e i premi di produttività.
All’appello delle misure inserite nella legge di Bilancio, insomma, mancano proprio quelle promesse arrivate dal governo e rivolte alle famiglie, ai pensionati o ai lavoratori che parlavano di taglio di tasse, riforme e buste paga e assegni pensionistici più pesanti. E se per la premier Meloni così “si tengono i conti in ordine, senza rinunciare al programma elettorale”, di tutt’altro avviso sono le opposizioni. Per la segretaria dem Elly Schlein la manovra è “senza respiro”, mentre per Giuseppe Conte (M5S) “dà un pugno ai cittadini e una carezza alle banche”. “È buona per le lobby e trova i miliardi solo per il Ponte sullo Stretto”, ha commentato Nicola Fratoianni (SI). Per Angelo Bonelli di Avs “sono stati tagliati i servizi essenziali come quelli sociali, la scuola e il trasporto pubblico”. Tiriamo un po’ le somme
Famiglie&figli
La smentita arrivata dal ministro del Mef è nelle stesse misure previste: la grande novità per incentivare la natalità è un bonus da 1.000 euro per ogni nuovo nato in nuclei con Isee sotto 40mila euro, quasi identico all’una tantum voluta da Silvio Berlusconi nel 2005. Meloni spera di invertire la rotta spendendo 1 miliardo con solo delle conferme (assegno unico, decontribuzione previdenziale per le lavoratrici madri e rafforzamento dei congedi parentali e il bonus asili nido) che nei primi 6 mesi del 2023 non hanno però spinto a fare figli con l continuo calo dei bebé in Italia (-4.600 in meno i nuovi nati secondo l’Istat).
Stipendi
Il piatto forte della manovra è dato dagli effetti del cosiddetto taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 40 mila euro e la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre che diventano strutturali. Misure che per il governo equivalgono a un aumento degli stipendi. Ma per gran parte dei lavoratori non cambierà nulla, anzi la situazione peggiorerà per circa un milione di lavoratori, secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio.
Questo perché cambia la forma ma non la sostanza della misura e l’effetto replica grosso modo l’impatto della decontribuzione già in vigore. Tanto che a ottenere un significativo vantaggio saranno quelli nella fascia tra i 35 mila e i 40 mila euro che adesso saranno coinvolti nel bonus. Con un paradosso: nella fascia tra i 32 mila e 40 mila nasce una aliquota marginale di fatto pari al 56%, la più alta di tutte.
Ceto medio
La promessa del viceministro dell’Economia con delega al fisco, Maurizio Leo, di intervenire in favore del ceto medio con una riduzione di due punti della seconda aliquota Irpef (dal 35 al 33%) si è schiantata contro il flop del concordato fiscale. Lo sgravio da 2,5 miliardi non è stato coperto dalle adesioni arrivate con due finestre: ha partecipato solo un sesto della platea potenziale.
Pensioni
Checché ne dica il leader della Lega Matteo Salvini (anche ieri è andato ripetendo che la legge Fornero sarà smantellata entro la legislatura, ma lo dice da tredici anni, da quando è entrata in vigore la riforma delle pensioni del governo Monti), alla fine è quella che regna: c’è solo la proroga (già depotenziata) delle uscite anticipate (Quota 103, Ape sociale e Opzione donna) che però manderanno in pensione prima dei 67 anni solo qualche migliaio di persone.
C’è poi la beffa delle pensioni minime nonostante la promessa a più riprese di Forza Italia di portarle a mille euro. Il governo ha ottenuto un solo risultato: per le pensioni minime medio-basse c’è il totale recupero dell’inflazione che si traduce in un aumento di 1,8 euro che andranno a 1,8 milioni di pensionati.
E se la grande riforma promessa da Meloni&C. fosse il nuovo canale di pensionamento anticipato (che fa leva sulla previdenza integrativa), meglio chiarire che avrà una portata molto modesta e andrà a vantaggio dei fondi. Gli statali infine otterranno la pensione di vecchiaia solo a 67 anni, dai 65 attuali, e potranno (volontariamente) restare in servizio fino a 70.
Autonomi
Non pervenuto neanche il regalo che Fratelli d’Italia e Lega avevano promesso ai professionisti con ricavi superiori a 85mila euro: continueranno a restare esclusi del regime forfettario con aliquota al 15%.
(da ilfattoquotidiano.it)
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