FRA URLA E GESTI OSCENI RENZI SUPERA IL VOTO SEGRETO, MA SI FERMA A 160
UN VOTO IN MENO SOTTO LA MAGGIORANZA ASSOLUTA: ORMAI E VERDINI-DIPENDENTE
Il governo supera indenne il voto segreto sull’articolo 2 della riforma costituzionale, e può dunque tirare un sospiro di sollievo.
I nodi più spinosi di questo secondo passaggio a palazzo Madama del ddl Boschi sono quasi tutti alle spalle, e l’obiettivo di portare a casa il provvedimento prima della data fissata per il 13 ottobre sembra a portata di mano.
Ma il bicchiere è mezzo vuoto per diverse ragioni: la prima sono i numeri.
Nelle votazioni palesi, la maggioranza è rimasta per tutta la giornata sopra i 170, con punte più alte, ma nel voto segreto a un subemendamento Calderoli (sul tema delle minoranze linguistiche) i sì si sono fermati a 160, un voto sotto la maggioranza assoluta (161) e nonostante il robusto apporto dei verdinani e la tenuta del Pd, dopo che il patto tra renziani e minoranza dem sull’elezione semi-diretta dei senatori.
Il numero due del gruppo Pd Giorgio Tonini parla di una “prova di grande tenuta della maggioranza” e ricorda come il gruppo delle Autonomie (dove siedono i rappresentanti delle minoranze linguistiche), che pure fa parte della compagine di governo, abbia votato a favore dell’emendamento Calderoli.
E tuttavia i numeri indicano una situazione in bilico, e una prospettiva assai incerta per il prossimo e definitivo passaggio in Aula della riforma, che avverrà in primavera. In quel caso, infatti, sarà necessaria una maggioranza qualificata di 161 voti, che ad oggi è solo sfiorata.
I nervi sono stati molto tesi tra i banchi del governo.
Per tutta la giornata Luca Lotti è rimasto in Senato per controllare la situazione da vicino. Poco prima del voto segreto, il ministro Boschi ha annunciato che il governo si sarebbe “rimesso all’Aula”.
Un modo per mettere le mani avanti nel caso in cui la maggioranza fosse andata sotto. E invece la votazione finisce 160 a 116. Sono 44 voti di differenza. “Un buon margine”, per il renziano Marcucci. Ma in quei minuti sui banchi del governo tutti hanno tenuto il fiato sospeso temendo un incidente.
La giornata è stata segnata da una forte tensione al mattino, quando le opposizioni hanno nuovamente contestato l’emendamento Cociancich, votato giovedì, che ha consentito di bypassare un’enorme mole di emendamenti.
Calderoli ha chiesto una “perizia calligrafica” per verificare la firma del senatore dem in calce all’emendamento (l’accusa delle opposizioni è che il vero autore sarebbe Paolo Aquilanti, segretario generale di palazzo Chigi), Cociancich si è assunto la “totale paternità ” del testo e lo stesso concetto ha ribadito il presidente Pietro Grasso: “Il documento esiste ed è sottoscritto dal senatore Cociancich”.
Nel pomeriggio l’ostruzionismo cala di tono, le votazioni iniziano a scorrere con un certo ritmo, ma poco prima delle 18 scoppia, inatteso, il “caso Barani”.
Il senatore ex Pdl ed ex Gal, e ora capogruppo dei verdiniani, mima il gesto del sesso orale all’indirizzo della collega del M5s Barbara Lezzi. In Aula scoppia il caos: urla, insulti. “Porco, maiale”, grida la grillina Barbara Lezzi, che lascia il suo posto per correre sotto i banchi della presidenza.
“Sulla mia onorabilità io non ho fatto nessun gesto. ho dato la parola al senatore Falanga. Se loro interpretano il gesto in maniera maliziosa…”, si giustifica Barani, craxiano mai pentito passato per Berlusconi e ora approdato con Verdini.
La giustificazione non convince, la tensione sale ancora.
Le donne di tutti i partiti insorgono. Erika Stefani (Lega) interviene: “Io il gesto di Barani l’ho visto, non offende solo la senatrice Lezzi ma tutte le donne qui dentro, Questi sono gesti volgari che devono essere allontanati da quest’aula”.
La fittiana Cinzia Bonfrisco è durissima: “Barani si deve vergognare. E’ un poveraccio. Si tolga quel garofano dal taschino, i socialisti si rivoltano nella tomba…”. Dalla minoranza dem Cecilia Guerra interviene per chiedere di fare piena luce su un fatto che “offende tutte le senatrici”.
E la vicepresidente Valeria Fedeli (Pd) chiese una riunione del consiglio di presidenza, per valutare “gesti e parole che in quest’aula vengono spesso ripetuti e che sono offensivi per le donne”.
Grasso sospende la seduta per un quarto d’ora, poi annuncia che lunedì 5 ottobre il consiglio di presidenza, dopo aver visto i filmati, prenderà gli adeguati provvedimenti. Barani non si ripresenta nell’emiciclo, il forzista Paolo Romani e Renato Schifani di Ncd lo invitano a “non partecipare ai lavori almeno per oggi”.
Parte un lungo dibattito che si allarga sui tanti episodi di insulti e scorrettezze visti in Aula in questa legislatura.
Luigi Zanda, Pd, chiama in causa direttamente Grasso: Quest’aula è diventata l’anticamera di una stazione ferroviaria. Dall’inizio della legislatura ci sono stati molti tumulti e i toni si sono alzati troppo. Chiedo anche a lei, presidente, un’applicazione molto rigorosa del regolamento perchè non è possibile che vengano tollerate in quest’aula continue infrazioni che impediscono che si svolgano i lavori del Parlamento”.
Tutti sembrano concordare sulla necessità di cambiare verso, almeno nei toni. Ma dal gruppo dei verdiniani partono altre accuse verso i grillini: “Una scostumatezza si può riparare con le scuse, la vostra ipocrisia no. Anche dare le persone in pasto al web è inammissibile”, tuona Vincenzo D’Anna.
Alla fine di una giornata tesissima per Ncd, con Alfano costretto a sostare per ore in Senato per tenere a bada i suoi, anche Ncd tira un mezzo sospiro di sollievo: “Nelle votazioni di oggi il gruppo di Area popolare al Senato ha dimostrato compattezza e tenuta a dispetto di quelle tante ‘Cassandre’ che da settimane predicono scissioni, divisioni e spaccature”, dice Schifani.
Poco prima delle 21, Grasso sospende le votazioni. Per chiudere l’articolo 2, e mettere quindi il ddl Boschi definitivamente al riparo, bisognerà aspettare almeno fino a sabato mattina, quando l’Aula (eccezionalmente) si riunirà per proseguire i lavori.
Sul tavolo ci sono ancora tre voti importanti, tutti a scrutinio palese: un emendamento Calderoli che prevede di utilizzare il Consultellum per votare il nuovo Senato, il testo Finocchiaro, figlio dell’intesa dentro il Pd, che prevede per i nuovi senatori una elezione da parte dei consiglieri regionali “in conformità ” a quanto deciso degli elettori e il voto finale sull’articolo 2.
Paolo Romani di Forza Italia fa in tempo ad annunciare il suo no al testo Finocchiaro, bollato come “un accordicchio dentro il Pd”.
Ma col voto palese ormai i brividi per il governo sembrano alle spalle.
Salvo sorprese, dunque, sabato mattina Renzi potrà tirare un sospiro di sollievo.
Ma palazzo Madama -e i numeri lo dimostrano – resta la trincea più difficile per il governo dei rottamatori.
Nonostante l’abbraccio con Verdini.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply