FUGA DAL REGNO UNITO: SONY, AYRBUS E PERSINO LA BBC, COSI’ LE AZIENDE PRENDONO IL VOLO
L’ECONOMIA BRITANNICA RISCHIA DI PERDERE IL 10%, ECCO A COSA PORTANO LE POLITICHE SOVRANISTE
Quando era primo ministro, David Cameron aveva definito quella di James Dyson una “grande storia britannica di successo”.
L’inventore dell’aspirapolvere senza sacchetto aveva creato un’impresa redditizia grazie a quella rivoluzionaria tecnologia, diventando miliardario.
Ora che ha deciso di trasferire il quartier generale della sua società dal Regno Unito a Singapore, Dyson sembra raccontare un’altra storia, sempre britannica: quella di Sony, Panasonic e di tutte le aziende che stanno andando via dall’isola inglese dopo il referendum su Brexit.
A preoccupare gli imprenditori e manager che operano in Gran Bretagna non è solo il divorzio di Londra con l’Unione europea, ma anche le modalità della separazione.
Nel novembre scorso, infatti, già un report del governo sottolineava che con un piano Brexit simile a quello negoziato dalla premier Theresa May, l’economia del Paese sarebbe stata del 3,9 per cento più piccola; diversamente, con un ritiro senza accordo, la Gran Bretagna avrebbe perso il 9,3 per cento del suo prodotto interno lordo nei prossimi 15 anni.
Dopo la disfatta di May alla Camera dei Comuni, che non ha approvato l’accordo negoziato con Bruxelles, uno scenario “no deal” (uscita dall’Unione senza un accordo certo) diventa sempre più possibile.
L’ultimo in ordine di tempo a esprimere preoccupazione per questa ipotesi catastrofica è stato il ceo di Airbus Tom Enders, che in un video ha sottolineato il timore per gli impianti del colosso di aeromobili nel Regno Unito, che potrebbero non sopravvivere a una rottura tragica dell’armonia comunitaria, da cui dipendono legami commerciali e catene di distribuzione.
“Se non ci dovesse essere un accordo per la Brexit, noi di Airbus dovremmo fare delle scelte potenzialmente dannose per la Gran Bretagna”, ha ammonito nel filmato pubblicato sul canale Youtube della società .
Il colosso produttore di aeromobili ha la sede principale a Toulouse, in Francia, ma dispone di molte strutture ingegneristiche e di produzione nel Regno Unito.
Conta 14 mila impiegati solo in Gran Bretagna ed è responsabile di oltre 110 mila posti di lavoro lungo la sua catena di distribuzione.
“Per piacere, non date ascolto alla pazzia dei Brexiteer (i cittadini che vogliono uscire dall’Ue) secondo cui Airbus non si trasferirà perchè abbiamo tanti impianti nel Paese”, ha detto Enders, avvertendo che “ci sono così tanti Stati là fuori pronti a costruire le ali dei velivoli di Airbus”.
Un messaggio recepito dall’esecutivo britannico, che ha mandato una delegazione al meeting annuale del World Economic Forum di Davos per rassicurare leader politici e investitori sul dopo Brexit.
Come si legge in una nota sul sito del governo, è in programma un intervento del cancelliere dello scacchiere Philip Hammond per convincere il mondo imprenditoriale a investire nel Paese anche dopo la separazione dall’Ue: “La Gran Bretagna è un gran posto dove fare business. E noi siamo determinati a far sì che rimanga tale, anche dopo aver lasciato l’Unione europea”.
L’incubo di nuove barriere commerciali e costi più alti per le aziende impedisce sogni sereni anche alla Sony che ha annunciato di trasferire la sede legale delle sue attività europee ad Amsterdam, abbandonando così Londra.
“L’incertezza su Brexit è enorme”, aveva spiegato alla Cnn il portavoce della società giapponese Takashi Lida. E non è la sola, visto che già Panasonic aveva detto nell’agosto scorso che avrebbe spostato la sua sede legale europea in Olanda. Una paura che condividono le società di servizi finanziari, al punto da spingerle a trasferire oltre mille miliardi di attività fuori dal Paese. E anche grandi banche americane, come JP Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Citigroup negli ultimi tempi hanno pensato di spostare circa 250 miliardi di euro a Francoforte.
In generale, gli scenari caotici post Brexit se non paura hanno generato sicuramente apprensione per il futuro. Al punto che anche i mezzi di informazione corrono ai ripari.
La Bbc, il più grande gruppo radiotelevisivo britannico, sta cercando un luogo nel continente dove aprire una sede europea per continuare a trasmettere i propri programmi nei vari stati dell’Unione.
Tra le opzioni possibili, c’è Bruxelles “che è nella shortlist, ma si stanno considerando anche altre località , come Amsterdam“, fanno sapere alcune fonti vicine alla società . Come riporta il Guardian, a Davos il primo ministro belga Charles Michel ne avrebbe parlato anche con il direttore generale della Bbc Tony Hall. Un’altra destinazione papabile potrebbe essere l’Irlanda.
L’emittente britannica avrà bisogno di licenze europee per trasmettere i suoi canali internazionali, che includono Bbc World, Bbc Entertainment, Bbc First e Bbc Earth, nel resto del continente dal 30 marzo nel caso in cui il Regno Unito lasci l’Ue senza accordo. Per assicurarsi queste licenze, quindi, potrebbe avere bisogno di un ufficio centrale o di spostare una parte consistente della forza lavoro di quel canale in uno Stato membro.
Sull’isola britannica tira una brutta aria e lo spettro del “no deal” potrebbe comportare anche un taglio degli investimenti diretti esteri nel Regno Unito. Secondo le stime del Centro studi Confindustria, il paese rischia di dover rinunciare in dieci anni a 282 miliardi di euro. E per gli stati dell’Unione potrebbe essere un’occasione da non perdere per attirare nuovi capitali stranieri.
(da “Business Insider”)
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