GELIDO INCONTRO AL COLLE: BERLUSCONI COSTRETTO A FARE ANTICAMERA
IL CAPO DELLO STATO ASCOLTA 15 MINUTI IL CAVALIERE SENZA NEANCHE GUARDARLO NEGLI OCCHI
Il capo dello Stato con poche e asciutte parole frappone un iceberg tra lui e il segretario generale Marra e la triade di ospite.
Tutto vogliono al Colle, meno che questo passaggio istituzionale si trasformi in una resa dei conti su presunti “golpe”, “tradimenti”, “persecuzioni giudiziarie” denunciati dal leader forziste fino al giorno prima in Sardegna.
Figurarsi se c’è voglia e clima per una battuta dell’ospite, una delle sue per rompere con un sorriso i rigori del protocollo, del tipo: «Eccomi, sono il pregiudicato».
Il Grande Freddo del resto si materializza già nell’anticamera dello studio alla Vetrata. Nei lunghi minuti di inusuale attesa ai quali il Cavaliere è costretto, benchè arrivato puntuale all’appuntamento al Quirinale.
Motivazione ufficiale: una lunga telefonata che ha tenuto impegnato il presidente.
Un arrivo non esattamente in stile “Smart” renziano per la delegazione: sono quattro auto blindate, una delle quali è il Van con artiglieria pesante a bordo, nascosta dai vetri oscurati, che accompagna e protegge da sempre l’ex premier.
Lui e i capigruppo nell’Audi di ordinanza. Fuori, tenuti a debita distanza, non sono più di una decina i militanti del “Popolo viola” del solito Gianfranco Mascia che urlano «vergogna», ce l’hanno con Napolitano e con il «pregiudicato», al cui indirizzo viene lanciato qualche pomodoro e mandarino, com’era già avvenuto davanti al Nazareno il giorno del faccia a faccia Berlusconi-Renzi.
Il presidente Giorgio Napolitano si prende tutto il tempo necessario prima di aprire quella porta e consentire l’accesso del leader di Forza Italia e dei due capigruppo. Perchè non è solo un leader come gli altri ricevuti, colui che dal 27 novembre è decaduto dal Parlamento, dal primo agosto condannato in via definitiva, dal prossimo 10 aprile vincolato ai servizi sociali o ai domiciliari.
E dura non più di un quarto d’ora il colloquio, comunque meno rispetto a quello con le delegazioni dei grandi partiti.
In realtà neanche Berlusconi ha voglia di imbastire una guerriglia lì, lo fa come di consueto fuori, possibilmente dalle tribune dei comizi.
Anche se era andato con l’intenzione di far notare come avesse ragione lui sulle politiche del rigore non più sostenibili, nè quelle di Monti nè di Letta. Alla fine ha preferito dar retta agli inviti alla prudenza di Gianni Letta che per tutto il giorno lo ha catechizzato col linguaggio più congeniale all’ex premier, quello calcistico: «Ricordati che i calci di rigore non si tirano se l’arbitro non ha fischiato. Pena: l’espulsione o l’annullamento del gol».
Dentro, Napolitano parla pochissimo e poco guarda negli occhi il suo interlocutore principale, raccontano. Preferisce ascoltare.
A lui, Berlusconi conferma che Forza Italia resterà all’opposizione ma sarà «responsabile ».
A cominciare dalle riforme, come dirà fuori nei due minuti coi giornalisti: «Noi manteniamo gli accordi intervenuti sulla legge elettorale e le riforme». Quanto al resto, dirà all’inquilino del Quirinale con una sorta di apertura, «ancora non conosciamo i punti del programma, valuteremo di volta in volta».
Allo stesso tempo ribadisce lo «sconcerto e lo sgomento» per le modalità con cui è precipitata la situazione.
Dirà fuori di aver «espresso preoccupazione e stupore per una crisi opaca nata fuori dal Parlamento».
In ogni caso, nella lettura di Daniela Santanchè, un successo, una rivincita, quelle consultazioni: «Ho visto Berlusconi fra due carabinieri. Non ci sono manette: sono sull’attenti e salutano. Il tempo è galantuomo. Faremo opposizione patriottica».
Quando lascerà il palazzo col corteo di auto e lampeggianti alle 19,10, il leader dirà ai dirigenti forzisti che lo chiamano di aver «dimostrato per l’ennesima volta la nostra responsabilità ».
Ma la soddisfazione non cela la preoccupazione che sta prendendo campo.
Confessa anche quella, il Cavaliere, ai fedelissimi sentiti prima di prendere il volo alla volta di Milano. Non c’è più alcuna certezza che il cammino a tappe forzate sull’Italicum venga rispettato, dopo le minacce e i paletti di Alfano.
«Temo che Renzi, una volta approdato al governo, col pretesto dei decreti in scadenza da far approvare in Parlamento faccia saltare tutto».
“Angelino” ormai è acerrimo nemico, ieri il ministro gli ha dato perfino del rancoroso, in pubblico. Per Berlusconi è solo un «traditore» che sta cercando di «avvelenare i pozzi» del dialogo sulle riforme. Altro che alleanza di centrodestra.
Ma il voto del resto potrebbe essere molto più lontano.
Lopapa e Rosso
(da “La Repubblica“)
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