GENOVA, SEDE DI CASAPOUND “SFRATTATA”: “CONTRATTO DI AFFITTO PRECISA LA DESTINAZIONE A NEGOZIO, NON A SEDE POLITICA”
LE PROTESTE DEGLI ABITANTI DEL PALAZZO: “STIAMO VIVENDO UN INCUBO, PERENNEMENTE SOTTO ASSEDIO, NON NE POSSIAMO PIU'”
Hanno tirato avanti di fronte alle manifestazioni di protesta, i cortei e i blocchi stradali, accettando e forse cercando di approfittare politicamente delle provocazioni. Ma a costringere gli iscritti e i simpatizzanti di CasaPound a fare le valigie dalla contestata sede di via Montevideo, alla Foce, sarà il mancato rispetto del regolamento di condominio e del contratto di affitto.
Stando al rapporto contrattuale firmato dalla proprietà dell’immobile, che nulla sapeva della presenza di Casa Pound (anche perchè, formalmente, il contratto è stato sottoscritto dall’associazione “La Cambusa”), e la controparte, si fa riferimento ad un uso esclusivo di “negozio”.
Dunque non una sede politica ma un punto vendita, con aperture a orari stabiliti e attività commerciali.
«Noi abbiamo contestato un uso diverso dei locali rispetto a quanto contrattualmente previsto. Quell’unità immobiliare va utilizzata come negozio, e così non è. Per questo abbiamo avviato le procedure necessarie per arrivare anche a una previsione di sfratto» – dice l’avvocato Giuseppe Giachero, legale della famiglia De Donno, proprietaria dei muri oggi utilizzati da CasaPound.
La lettera, formale e chiara, non lascia dubbi interpretativi: «I miei assistiti hanno appreso, principalmente dagli organi di informazione, che all’interno dei locali di loro proprietà di cui all’oggetto e da Voi condotti in locazione, è stata ufficialmente stabilita la sede del movimento politico denominato “CasaPound”. Se ciò dovesse corrispondere al vero, va da se che verrebbero a realizzarsi quelle condizioni paventate nella su citata mia precedente lettera e che porterebbero, inevitabilmente, alla risoluzione del contratto di locazione in essere ai sensi e per gli effetti del citato art. 80 della legge 392/78, in quanto detto locale non sarebbe destinato all’uso esclusivo di “negozio”, in detto atto dichiarato e pattuito, ma ad ospitare manifestazioni, convegni, riunioni, assembramenti di propaganda politica di estrema destra. Pertanto, sono preliminarmente a chiedervi di voler smentire la circostanza suindicata, se possibile anche in forma pubblica, pena l’inevitabile immediata risoluzione per inadempimento del contratto in essere».
Da CasaPound, però, finora sono sempre state respinte le accuse di mancata ottemperanza del contratto d’affitto. E, nel caso dell’ultima richiesta di chiarimento, non ha ancora risposto.
L’avvocato Graziano Lercari, incaricato di seguire la vicenda per conto dell’associazione politica replica in maniera netta: «Ho spiegato verbalmente al mio collega che riteniamo di avere agito correttamente. Siamo pronti ad arrivare in giudizio nel caso dovesse partire una richiesta di sfratto. Anche se non si può escludere una transazione o un accordo prima di arrivare in Tribunale».
Insomma, almeno in questa fase CasaPound sembra prendere tempo.
A fare il tifo per una soluzione che possa allontanare definitivamente l’associazione di destra dall’immobile sono i condomini di via Montevideo.
Nel corso dell’ultima assemblea di condominio le proteste e le espressioni di preoccupazione sono venute praticamente da tutti gli inquilini e residenti.
«Stiamo vivendo un incubo. Ogni volta che CasaPound organizza un evento ci troviamo la polizia e la Digos sotto casa, poi arrivano i contestatori e quando tutto finisce ci ritroviamo con i muri imbrattati di scritte e la sensazione di essere stati sotto assedio. È assurdo stare in questo clima» racconta uno degli abitanti.
(da “Il Secolo XIX”)
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