GIORNALISTI FERMATI DALLA POLIZIA, PIANTEDOSI PARLA DI “EQUIVOCO”, MA I FATTI DICONO ALTRO
TRE CRONISTI BLOCCATI, PORTATI E PERQUISITI IN QUESTURA, NONOSTANTE AVESSERO ESIBITO IL TESSERINO: COMPORTAMENTI DA POLIZIA DI REGIME
“Si è trattato di un equivoco fondato sul fatto che legittimamente le persone non hanno dichiarato subito le proprie generalità e condizione di giornalista e quindi sono stati sottoposti a identificazione. Questo ha fatto un po’ di rumore”.
A sostenerlo è il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che al Festival dell’Economia di Trento, ha parlato del caso dei giornalisti portati in commissariato giovedì a Roma mentre stavano andando a seguire un blitz degli attivisti ambientalisti di Ultima Generazione.
“Talvolta può succedere che vi siano delle sbavature, ma mi dispiace quando questo viene ricondotto a presunte direttive che, come specificato anche ieri dal Dipartimento della Pubblica sicurezza non sono mai state date”. “In Italia non si può dire che ci sia repressione del dissenso e tanto meno della nobile e libera professione del giornalismo”, ha affermato il ministro.
Una tesi, quella del ministero dell’Interno, non condivisa da Alessandra Costante e Vittorio di Trapani, segretaria generale e presidente della Fnsi. “Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza afferma che ‘non è mai stata data una direttiva operativa che preveda l’identificazione di giornalisti e operatori dell’informazione in occasione di manifestazioni pubbliche’. Ma gli atti che la Federazione nazionale della Stampa italiana ha registrato in questi ultimi mesi vanno in direzione ostinata e contraria. Cosa della quale ci rammarichiamo moltissimo per la fiducia che riponiamo nelle Istituzioni”, hanno affermato i due.
Giovedì scorso a Roma un fotografo, Massimo Barsoum del Corriere della Sera, e due giornalisti, Roberto Di Matteo freelance e Angela Nittoli del Fatto Quotidiano, sono stati bloccati nei pressi di via XX Settembre da alcuni poliziotti in borghese, mentre si recavano con le proprie attrezzature verso via Veneto dove era prevista un’azione dimostrativa di Ultima Generazione.
“I poliziotti ci hanno chiesto di mostrare i documenti, cosa che abbiamo fatto”, hanno raccontato i cronisti, che una volta identificati sono stati lasciati in strada per circa mezz’ora fino a quando non è arrivata una volante che li ha portati al commissariato di Castro Pretorio.
“Mentre aspettavamo – afferma Barsoum – ci è stato impedito di usare il cellulare, non abbiamo potuto nemmeno avvisare le nostre testate del fermo e del fatto”. I tre cronisti sono stati costretti a riporre le proprie attrezzature nel bagagliaio della volante che li ha poi condotti in commissariato, dove sono stati trasferiti nella “celletta”, una stanza tre per due. La porta della camera di sicurezza è stata lasciata aperta, ma i tre cronisti sono stati sorvegliati a vista dagli agenti tutto il tempo.
Alla giornalista del Fatto Quotidiano che ha chiesto di andare al bagno, è stato chiesto di non chiudere la porta, ma di lasciarla socchiusa. Una volta all’interno del commissariato i tre giornalisti sono stati identificati per la seconda volta. Due di loro sono stati anche perquisiti. Poi dopo due ore sono stati lasciati andare via.
La questura di Roma, contattata giovedì da Repubblica, ha parlato di un normale controllo. Nel tempo in cui i tre cronisti sono rimasti all’interno della camera di sicurezza, però, gli è stato di fatto impedito di svolgere il proprio lavoro non avendo potuto documentare l’azione dimostrativa di Ultima Generazione di fronte al ministero del Lavoro.
(da agenzie)
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