“HAMMAMET”: FAVINO-CRAXI DA OSCAR
TRA RANCORI E RIMPIANTI: GLI ULTIMI MESI DI CRAXI “IN ESILIO” CON UNA STRAORDINARIA INTERPRETAZIONE DI PIERFRANCESCO FAVINO
Se Meryl Streep e Gary Oldman hanno spuntato l’Oscar per le loro sublimi incarnazioni di Mrs. Thatcher e di Winston Churchill, il Bettino Craxi di Pierfrancesco Favino si piazza in quella zona classifica, se non un filino più su. Favino ”è” il film di Gianni Amelio sugli ultimi mesi tunisini dello statista, perseguitato da rancori, rimpianti e da un diabete invalidante che mette a rischio gli interventi cardiaci. “Hammamet” è in sala dal 9 gennaio.
È difficile classificare un biopic che prescinde, paradossalmente, dalla cronaca politica e stilizza emblematicamente gli stessi protagonisti (Craxi nel film è “il Presidente”, tout court, chi lo ha condannato è “il Giudice”) per raccontare, cito Amelio, “l’agonia di un uomo di potere che ha perso lo scettro e va verso la morte”. Sono modalità da drammaturgia classica: non a caso il regista, che enfatizza soprattutto il rapporto padre-figlia, cita i binomi Elettra/Agamennone, Cassandra/Priamo, Cordelia/Re Lear.
Girato in gran parte nella vera residenza tunisina dei Craxi, il film ripropone il confronto-scontro già affrontato da Gianni Amelio in “Colpire al cuore”, con la stagione di Mani Pulite al posto degli anni di piombo. Ma a inchiodare, fin dalla prima sequenza, con il Leader trionfante sul palco del 45° Congresso Psi, è un lavoro di scavo “dentro” la voce, la gestualità , a postura dell’uomo che nel nostro cinema di certo non ha precedenti. La perizia prostetica è solo un dettaglio, finisci per dimenticarla.
Lo stesso Bobo Craxi, che ha preso le distanze dal film (se lo vedrete capirete perchè, il suo non è un ritratto lusinghiero), ha parlato di un attore “in stato di grazia”. Il punto è semmai la voglia dello spettatore di condividere per due ore e più quel misto di pena e arroganza, orgoglio e sconfitta, antipatia e spietata lucidità che il Bettino faviniano rende con la respirazione, con le pieghe della bocca, con ogni muscolo ma soprattutto con l’intelligenza di chi sa usare cinque ore di trucco come un transfert dell’anima.
Amelio racconta il dramma di un vinto che non si è arreso e rifiuta di fare i conti con i tribunali – anche se un rientro in Italia potrebbe salvargli la vita – perchè ritiene di essere stato condannato “per cose che facevano tutti, e noi non eravamo più condannabili degli altri”. Il suo antagonista – in termini drammaturgici – è un personaggio di fantasia, il figlio di un compagno di partito forse suicida che aveva previsto e inutilmente annunciato il precipizio.
C’è l’infamia patita dalla figlia (ribattezzata da Amelio Anita, in nome della devozione garibaldina di Craxi), ci sono gli insulti dei turisti italiani in Tunisia, c’è il simbolismo del carro armato in rovina, “arma senza volto”, abbandonato dagli inglesi. Non è riabilitazione ma vicenda umana, qualcosa di simile al Berlusconi privato narrato da Sorrentino nella seconda parte di “Loro”, con la differenza di una reggia che reggia non è, una gran villa certo, ma senza sfarzi, lontana dal mare.
A vent’anni esatti dalla morte di Bettino Craxi, con le domande infinite che restano aperte, “Hammamet” non riesce a diventare il mèlo che forse Amelio si proponeva, citando in una sequenza il Douglas Sirk de “le catene della colpa”. Quel passato che torna, rigorosamente senza nomi propri (“perchè erano troppo ovvi”), non intercetta il vissuto emotivo di un Paese.
Ma quando spunta dalla tv la voce di Berlusconi (dopo che il Presidente aveva liquidato una sua lettera con uno sprezzante: “È sempre stato un essere spregevole”) ti viene il sospetto che non del Cavaliere si tratti, ma di un’altra, perfetta, incarnazione di Pierfrancesco Favino. Chi lo conosce o sa: può farlo, con la medesima, superlativa maestria.
(da “Huffingtonpost”)
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