“HO DATO IL VIA MA QUEL TRENO NON DOVEVA POTER PARTIRE”: IL DRAMMA DEL CAPOSTAZIONE
PARLA IL FERROVIERE DI ANDRIA: “ANCH’IO VITTIMA DI QUESTO DRAMMA, ADESSO TUTTI CI ODIERANNO”… MA I COLLEGHI LO DIFENDONO
“In questa storia anche noi siamo delle vittime. Siamo disperati ma un solo errore non può aver causato tutto questo”.
Al primo piano di una palazzina nella zona dello stadio di Corato, il capo stazione di Andria Vito Piccarreta e sua moglie sono barricati nel dolore. Lia è appena tornata da Medjugorje dove era andata con don Vito, il prete della parrocchia del Sacro Cuore che la famiglia frequenta da sempre. Sua figlia non è andata al lavoro, un negozio di telefonini in centro che gestisce nel centro della città .
“È gente per bene, saranno distrutti”, dicono al panificio di fronte. E hanno ragione. Sono distrutti: “Stiamo soffrendo, quelle immagini sono inaccettabili, tutto quel dolore, quello che è accaduto è incredibile. Ma non è pensabile dare la colpa di quello che è successo soltanto a un errore umano. Non è così”, dice la signora.
E probabilmente ha ragione: non può essere soltanto un errore umano.
Lo ha detto chiaramente il procuratore aggiunto Francesco Giannella: “Non ci fermeremo assolutamente alle prime responsabilità . L’errore umano è soltanto il punto di partenza di questa storia”.
Spiega un investigatore: “Il problema non è il binario unico perchè in Italia la maggior parte dei treni viaggiano sul binario unico. Il problema è il sistema di controllo che ovunque è automatizzato tranne che qui”.
Qui fanno tutto i capistazione e i macchinisti. E se sbagliano tocca soltanto a loro rimediare. Gli intoppi sono sempre accaduti. Ma prima era molto più facile rimediare perchè su questa linea viaggiavano pochi treni.
Da qualche anno, da quando le Ferrovie del Nord Barese sono state rilanciate, e ancora di più negli ultimi mesi con l’introduzione del metro per l’aeroporto di Bari, le corse sono aumentate.
E c’è stata grandissima attenzione ai ritardi: treni supplementari, corse eccetera. Questo ha portato un carico di lavoro maggiore pur lasciando inalterate però le obsolete tecnologie di sicurezza. Risultato: lo scontro.
Piccarreta d’altronde non fa un mistero di quello che ha accaduto: “È vero quel treno non doveva partire. E quella paletta l’ho alzata io: non sapevo che da Corato stesse arrivando un altro treno per questo ho dato il via libera”, spiega oggi, così come ha confermato ai funzionari che stanno conducendo l’inchiesta interna.
A loro ha provato a spiegare che quella era stata una giornata complicata, i treni che portavano ritardo, c’era stata l’aggiunta di un treno supplementare e dunque in quel lasso di orario era previsto l’arrivo di tre treni e non dei soliti due, i macchinisti che assemblavano nuove vetture per sopperire il ritardo.
“È stata una giornata molto particolare”, dice. “Ma quello che è successo è troppo”. Troppo. “So che ora se la prenderanno tutti quanti con noi”, dice la signora Lia, a casa. “Mio marito è il capro espiatorio perfetto. Ma non è giusto: perchè è un lavoratore serio, in questi anni ha fatto sempre e soltanto il suo dovere. Questa è una tragedia troppo grande per noi. È un lutto, abbiate rispetto del nostro dolore”.
Ecco perchè questo capostazione di Andria non è Schettino. Non c’era alcuna ragazza che ballava nella sua stanzetta dello scalo di Andria. Non ha abbandonato nessuna nave. Ha commesso un errore, un gravissimo errore ma ha perso un amico. Un caro amico: Pasquale Abbasciano, uno dei macchinisti morti nello scontro era come uno di famiglia. Stessa città , stesso lavoro, tutti i giorni l’incrocio su quel binario.
Uno a bordo del treno, l’altro alla guida delle vetture. “Era uno di noi”, racconta fuori dalla chiesa Cataldo Angione, uno dei colleghi.
“Vito è persona seria e scrupolosa. Grandissima esperienza. Ma sotto pressione, come sono i nostri colleghi negli ultimi tempi, è più facile sbagliare”.
Dicono gli amici e colleghi alla stazione di Andria, dove l’azienda ha dato loro la consegna del silenzio: “Non dovete chiedere a Vito perchè ha alzato quella paletta ma a qualcun altro perchè non è in grado di controllare il nostro lavoro. Noi guidiamo treni. Non siamo piloti di aereo”.
Nel pomeriggio le finestre di casa Piccarreta sono chiuse. In serata un lungo fiume di persone è per strada. Sono qualche centinaio, portano candele in mano e hanno la faccia rigata dal pianto.
Corato è una città segnata dal dolore, molte delle vittime, a partire proprio dai colleghi di Vito, vivevano in questo paese. La città è a lutto, le saracinesche sono abbassate, questa marea di ragazzi è partita da piazza Cesare Battisti e si dirige in silenzio verso la stazione. In testa c’è un prete e un fascio di fiori bianchi. Lia dice: “Ci odieranno” e invece qui in mezzo in molti conoscono Vito, ne parlano con calore misto anche ad affetto.
“Uno come lui, seppur con la sua fede, non potrà reggere un dolore così grande” dice Luca Fiore, un ragazzo che frequentava la stessa parrocchia.
Il corteo si spinge fino alla stazione, le candele si poggiano per terra. Qualcuno abbozza un applauso, si piange, i ferrovieri si abbracciano.
Da poche ore è arrivata la notizia che Vito è stato sospeso.
Una ragazza inserisce i soldi in una biglietteria automatica. In lontananza, nessun rumore di rotaie.
(da “La Repubblica”)
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