“I MILLE GIORNI DEI BAMBINI”: INTERVISTA A PAOLO SIANI SULLE BABY GANG DI NAPOLI
“DAI MUSCHILLI RACCONTATI DA MIO FRATELLO GIANCARLO AD OGGI NON E’ CAMBIATO NULLA”
“Bisogna intervenire presto, già nei primi mille giorni di vita dei bambini”. Paolo Siani, fratello del giornalista del Mattino Giancarlo, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985, parla all’HuffPost della lunga scia di violenza ad opera delle baby gang.
Di Arturo, il 17enne accoltellato da un gruppo di minorenni nella centrale via Foria; di Gaetano, 15 anni, a cui un altro gruppetto ha spappolato la milza all’esterno della metro di Chiaiano.
Da tempo impegnato con la sua fondazione “Polis” nel contrasto della criminalità , Siani è sceso in politica candidandosi con il Partito Democratico a Napoli alle prossime elezioni dopo una lunga riflessione e diversi colloqui con il segretario dem Matteo Renzi.
Ma Siani è un medico pediatra ed è anche con questo approccio che ha deciso di parlare della cosiddetta emergenza (“è un fenomeno vecchio e conosciuto”, chiarisce Siani) baby gang a Napoli. Partendo dall’ultimo articolo di suo fratello, pubblicato il giorno prima che venisse ucciso sotto casa, al Vomero.
Nel suo ultimo articolo suo fratello raccontava il mondo dei “muschilli”, i piccoli corrieri della droga di cui si serviva la camorra. Oggi si parla di baby gang, slegate dal mondo camorristico ma pur sempre composte da giovanissimi ben addestrati al linguaggio della criminalità . Per i ragazzi di Napoli sembra sia cambiato poco…
Sì, l’articolo raccontava di una nonna che mandava il nipote, il “muschillo”, una piccola mosca libera di muoversi e per la sua giovane età non imputabile, a consegnare eroina. Dopo trentadue anni e mezzo è stato fatto poco o nulla per questi bambini. Non c’è un piano che li aiuti. Un piccolo che cresce in una famiglia ad alto rischio sociale difficilmente diventerà un architetto o un ingegnere.
Non è un’emergenza, quindi, ma un fenomeno ben noto.
Interrogarsi oggi con molta veemenza su questo fenomeno come se fosse nuovo fa solo ridere, anzi è vecchio ed è ben conosciuto. E non si può sconfiggere solo con la repressione: per ogni baby criminale che arrestiamo ce ne sono cinquanta che escono.
Cosa propone?
Serve un vero piano per l’infanzia a rischio di Napoli e non solo, penso a tutte le aree a rischio del Sud o delle periferie delle grandi città . E bisogna intervenire sui bambini molto presto, sin dalla nascita. Un investimento fatto a zero anni di vita del minore è molto più produttivo di quello fatto sugli otto anni del bambino, o sui dieci. Parlo dei primi mille giorni di vita, uno standard che abbiamo studiato e che tutto il mondo studia. Il cervello dei bambini nei primi mille giorni si forma, e più stimoli ricevono in quei giorni più sinapsi neuronali sviluppano.
Lei propone un approccio di tipo “pediatrico”. Oggi il Governo è presente a Napoli con il ministro dell’Interno Marco Minniti in Prefettura per affrontare la questione dal punto di vista dell’ordine pubblico. È sufficiente?
L’ordine pubblico serve, la repressione serve. Ma mi aspetto che domani vengano a Napoli i ministri dell’Istruzione, dell’Economia, dello Sviluppo ragionando in senso propositivo. Colmare il gap degli asili nido per la Campania – un problema enorme -, fare programmi specifici di accompagnamento sui minori coinvolgendo tutti i servizi sociali del territorio e incentivare sviluppo. Repressione e sviluppo vanno di pari passo. ​​​​​​
Al di là delle misure adottate o non adottate dalle istituzioni, anche le famiglie però hanno un ruolo e una responsabilità .
Sì, c’è poi l’altra faccia della medaglia: le madri di questi bambini sanno bene quello che i figli fanno e quale futuro aspetta loro. Non è affatto una sorpresa. Dobbiamo far capire che per i loro figli c’è un futuro migliore, dandogli strumenti come la sicurezza di un asilo nido, una scuola bella e attraente. Se riusciamo a convincere le madri, saranno loro stesse a salvare i figli.
Lei si è candidato alle politiche ma – ha specificato in più occasioni – ha chiarito al segretario Renzi che dovrà trovarsi in condizione di poter lavorare, se venisse eletto. Altrimenti non esiterà a tornare alla sua professione. In caso di elezione, proporrà misure su questi temi?
Nella scorsa legislatura c’era una proposta di legge che si è arenata in Parlamento, alla quale ho collaborato. Sarà mio compito riprenderla, rivederla e discuterla con i più grandi esperti della materia italiani ed europei.
Un’ultima domanda. Spesso, quando ci sono episodi di violenza come questi di cui parliamo si punta il dito contro le serie televisive, e a Napoli contro “Gomorra”, nella fattispecie, e al loro “carattere diseducativo”. Lei che idea si è fatto?
È una sciocchezza. Gomorra racconta ciò che succede, non avviene certo il contrario, e lo racconta in modo eccellente, facendo sì che Napoli diventi un centro di attenzione. Ma il fenomeno esiste da molto tempo. E non è causato da una serie tv.
Il documento-proposta di Paolo Siani sulla violenza giovanile dopo i casi di Napoli
Partiamo da questi dati
In Campania nascono circa 53.000 bambini per anno (natalità 8,7 per mille abitanti — in Italia 8,0%)
Il 34,5% nasce da madri con un numero di anni di istruzione inferiore o uguale a 8.
Il 62,8% delle madri non è occupata e il 17,4% dei padri non è occupato
Il 7,2% nasce da almeno un genitore straniero, che nel 75% dei casi proviene da paesi ad alta pressione migratoria. Questi gruppi sono a maggiore rischio per ritardo nell’inizio delle visite in gravidanza e peggiori esiti neonatali.
La povertà assoluta e relativa colpisce gravemente le famiglie, soprattutto quelle del Sud.
Già nel secondo anno delle scuole elementari i bambini del Mezzogiorno sono in ritardo nell’acquisizione di conoscenze e competenze linguistiche e matematiche rispetto ai loro coetanei del Nord.
Esistono territori urbani (Napoli città metropolitana ad esempio) e non (Piana del Volturno) ad altissima incidenza di esclusione sociale e di devianza, in cui la trasmissione intergenerazionale del disagio deve essere interrotta
Se non si interviene su questa fascia di popolazione e nei primi tre anni del bambino noi conteremo altri ragazzi aggrediti e altre baby gang
A Napoli
Ci sono pochi Asili Nido e pochi bambini negli Asili Nido : a fronte del 33% di posti autorizzati per 100 bambini con meno di 3 anni, indicati dalla UE, ed una media italiana del 20.8%, in Campania sono autorizzati solo il 6,4%. I Consultori delle Aziende sanitarie sono allo stremo per numero e per personale, ridotti ad ambulatori in cui la promozione della salute, cardine della loro nascita, è del tutto marginale.
I servizi sociali, tranne che nelle aree urbane più grandi, sono inesistenti.
A fronte di questi bisogni, il 40.72% delle risorse sociali dell’area Infanzia nella regione Campania è “fagocitato” dai servizi residenziali e, quindi, dal pagamento delle rette per i minori allontanati dal loro nucleo familiare (tale percentuale raggiunge l’apice del 44.75%, per la provincia di Napoli). Mentre le reti comunitarie di solidarietà sono in molti territori inesistenti, in altri pochi “eroi” mantengono in piedi presidi di solidarietà e legalità contro tutto e tutti.
È noto che investire risorse nei primi mille giorni di vita è un investimento altamente produttivo.
E’ necessario quindi:
pensare ad investimenti di lunga durata e con risorse certe che tengano conto principalmente dei bisogni essenziali delle famiglie e dei bambini;
ragionare in termini di accompagnamento con percorsi che non partano e non si esauriscano nella singola prestazione, che proiettino le famiglie verso un percorso di sostegno che parte dalla gravidanza ed è in grado di giungere almeno al terzo anno di vita del bambino;
utilizzare un lavoro interdisciplinare ed interistituzionale: politiche di contrasto alla povertà e politiche di prevenzione non possono prescindere dal dialogo e dalla messa in collegamento dei vari servizi e dei diversi ambiti di intervento (sociale, sanitario, educativo).
C’è bisogno di sostenere e accompagnare i genitori ed in generale i nuclei familiari con percorsi che coinvolgano tutti i servizi territoriali in rete, dai consultori passando poi per l’ospedale, per il pediatra di famiglia , fino ad arrivare alla scuola e ai servizi. Questa messa in collegamento potrebbe partire dalla individuazione di un hub territoriale dei servizi che possa rispondere in modo flessibile alle diverse e molteplici esigenze delle famiglie.
Home visiting: avvicinarsi alle famiglie e prevedere forme di intervento domiciliare a vari livelli (sanitario, educativo, ecc), coinvolgendo non solo gli operatori sociali ma anche quelli del sistema sanitario (pediatra, ostetrica, ecc).
Educazione 0-3: Gli interventi precoci rappresentano un investimento in capitale umano con ricadute a breve e lungo termine nelle dimensioni della salute, dell’educazione-formazione e delle condizioni di vita, con risparmio sui costi degli interventi tardivi e riparatori. E’ dimostrato, inoltre, che tali interventi hanno effetti positivi da un punto di vista economico a breve, medio e lungo termine e quindi relativamente anche alla devianza sociale e alla delinquenza.
E’ necessario investire in modo strategico sull’educazione precoce al Nido e alla scuola pre-primaria per la fascia 0-3. In rete con i servizi sociali e sanitari.
Il MIUR ha recentemente diffuso i dati sulla dispersione scolastica e il numero di studenti che lasciano la scuola o la frequentano senza regolarità sono sovrapponibili a quelli sull’indigenza. C’è una piccola percentuale di bambini appartenenti alla categoria di indigenti che invece frequenta la scuola con profitto.
Ci vuole coraggio ma questa è l’unica strada possibile
(da “Huffingtonpost”)
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