I NUMERI SPAVENTANO RENZI: RIFORMA SENATO, TUTTO RINVIATO A SETTEMBRE
IN COMMISSIONE IL GOVERNO NON HA LA MAGGIORANZA E IN AULA I DISSIDENTI SONO 27
La riforma del Senato va in vacanza e dà appuntamento a settembre.
I numeri incerti della commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama e la mancanza di un accordo non permettono infatti di iniziare le votazioni prima della pausa estiva.
Quindi, fino al 7 agosto ci sarà spazio solo per svolgere nuove audizioni e per presentare gli emedamenti.
Ancora nulla di ufficiale perchè solo domani si riunirà l’ufficio di presidenza della commissione per mettere nero su bianco il calendario dei lavori, ma l’aria che tira è quella di rinvio nonostante gli annunci di metà giugno che promettevano l’approvazione definitiva del testo entro la prima settimana di agosto.
Ora tutto è cambiato, tanto che lo stesso ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, spiega che “teoricamente è possibile completare i lavori prima della pausa estiva, altrimenti si potrà fare a settembre. L’importante è non sprecare tempo”.
Per la prima volta il titolare del dicastero mette in dubbio la possibilità di ottenere il risultato secondo i tempi previsti.
Anche la presidente della commissione Anna Finocchiaro, che ieri ha incontrato il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e che oggi ha esposto i contenuti della riforma ai colleghi, usa toni ambigui simili a quelli del ministro: “La speranza è che ci sia la capacità di costruire consenso attorno al testo. Se troviamo un consenso ampio su un testo, l’esame si può esaurire in due o tre settimane”.
Ma al momento un accordo non c’è.
Lunedì scorso un vertice a Palazzo Chigi sarebbe servito a fare luce sui limiti di una maggioranza appesa a un filo.
L’incontro tra Matteo Renzi, la stessa Boschi e i capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda, avrebbe portato alla decisione di rinunciare a un’approvazione della riforma costituzionale in tempi rapidi.
L’obiettivo, sbandierato più volte dall’esecutivo, era agosto, indicato come termine ultimo per consentire di celebrare il referendum confermativo la primavera prossima.
I piani sarebbero saltati poichè sui numeri la maggioranza rischia non solo in Aula, dove 27 senatori dem hanno già votato in dissenso su alcune leggi, ma anche in commissione dove, a causa dei recenti smottamenti nei gruppi, il rapporto tra maggioranza e opposizione è di 14 a 14, con l’anomalia Gal (presente con due esponenti).
Su questo potrebbe esprimersi la presidenza del Senato. Ragione in più per aspettare settembre.
In questo momento quindi il governo vuole prendere tempo, con la consapevolezza che, in caso di pareggio, secondo i regolamenti parlamentari del Senato vincerebbe il “no” e con la certezza che in commissione ci sono almeno due senatori dem riconducibili alla minoranza, tra cui Maurizio Migliavacca e Miguel Gotor. Quest’ultimo per esempio avverte: “La gatta frettolosa fa i gattini ciechi…”.
Adesso invece si cerca un accordo.
In ambienti renziani si sottolinea la volontà di trovare la quadra con la minoranza dem ma senza toccare l’articolo 2 della riforma, che prevede l’elettività indiretta dei senatori.
Il dibattito ruota tutto attorno a questo punto, dal momento che la Camera non ha fatto modifiche e di conseguenza non dovrebbe essere più discusso da Palazzo Madama.
Secondo il documento di 25 senatori della minoranza, una modifica dell’art. 2 sarebbe invece stata fatta. Si tratta di una correzione lessicale che tuttavia può fare la differenza sia nella sostanza sia in vista del dibattito parlamentare.
Nel testo approvato alla Camera c’è scritto che “la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai – e non più ‘nei’ – quali sono stati eletti”.
Correzione che, argomentano i bersaniani, rischia di prevedere l’ipotesi di un sindaco che non esercita più le funzioni di governo locale, ma continua ad essere senatore fino alla scadenza del Consiglio regionale che lo ha eletto.
Sulla possibilità o meno di permettere al Senato modifiche all’articolo 2 della riforma dovrà esprimersi il presidente Pietro Grasso.
Ed è qui, insomma, che, in mancanza di un accordo politico, la frattura nel Pd potrebbe consumarsi.
Un punto di caduta, per i renziani e anche per Ncd, potrebbe essere quello dei listini ad hoc, votati dagli elettori, all’interno dei quali i consigli regionali sono chiamati a scegliere i futuri senatori.
Ciò che è certo è che oggi tornano in mente le scene estive di un anno fa quando, proprio sulla riforma del Senato, il Pd si è spaccato in Aula.
L’obiettivo ora scongiurare un nuovo caos.
(da “Huffingtonpost“)
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