I RAGAZZI DEL MONDO DEL VOLONTARIATO: “LI AIUTO A CASA LORO NON A PAROLE, MA CON I FATTI”
HANNO LASCIATO FAMIGLIE E AMICI PER DEDICARE LE PROPRIE COMPETENZE ALL’ASSISTENZA DI CHI SOFFRE… GLI IRRESPONSABILI SONO QUELLI CHE SE NE FOTTONO DEL PROSSIMO
“Leggo le critiche sulla scelta di Silvia e mi si stringe il cuore”. Mariarita Ceccaroni è a Piglio, vicino a Frosinone, appena rientrata dallo Yemen e in procinto di partire per la Colombia, e si immedesima nella vicenda della cooperante rapita in Kenya.
“La prima volta che sono partita avevo 22 anni – racconta Ceccaroni, che ora ha 33 anni – per un’esperienza di volontariato in Etiopia con dei missionari laici. È allora che ho capito sarebbe stata la mia strada. Così una volta tornata ho preso una specializzazione in cooperazione internazionale e ho cominciato a lavorare con organizzazioni più grandi”.
Adesso con Save the Children ha appena concluso un periodo in una zona di guerra. “Dormire per sei mesi con l’incubo delle bombe non è piacevole, ma è il mio lavoro e se voglio salvare la vita di altre persone è un rischio che accetto. Save the Children prepara tutto il personale con formazione specifica, in cui per esempio si danno indicazioni su come comportarsi in casi di sparatorie o tentativi di rapimento. Certo, poi la realtà è un’altra”, ammette.
Ed è una realtà di cui si accetta tutto: “Una persona che si mette in gioco per salvare gli altri non è mai una persona leggera o irresponsabile – conclude Mariarita – il problema è che ormai si strumentalizza in ogni modo tutto ciò che riguarda il lavoro delle organizzazioni non governative”.
Andrea e Selina, una famiglia in Burundi “ È un progetto, non smania di altruismo”
Aspettano anche un bambino che nascerà a febbraio, ma questo non li fa desistere dal loro progetto di aiutare un popolo povero. “Staremo qui almeno fino al 2020 perchè io curo un progetto di formazione professionale e inserimento nel mondo del lavoro, mentre mia moglie si occupa di consolidare i percorsi scolastici dei ragazzi – spiega Andrea – Sono interventi a lunga scadenza, per questo dobbiamo stare qui a lungo”. In Burundi lavorano nei quartieri più disagiati della capitale Bujumbura ma questo non li spaventa.
“I giovani che come noi fanno questa vita, non si muovono in base all’emotività del momento e per una smania di altruismo. Chi è qua, lo fa perchè si mette in gioco personalmente in situazioni complesse e imprevedibili. Ma rispettando sempre le regole di sicurezza per non correre pericoli, avendo presente il rischio inevitabile dell’evento eccezionale”.
La coppia viene da studi in campo europeo sulle migrazioni. “Ma è in Africa che mi sono appassionato a questo lavoro, che ti mette di fronte a un bisogno enorme. Si incontrano volti e storie in cui ti viene chiesto di mettere un po’ di te. E la cosa interessante è che questo è un modo sia di aiutare il prossimo, sia di scoprire una parte di noi stessi”.
Andrea Sovani e Selina Faccin, marito e moglie, 31 e 26 anni, hanno lasciato Roma e Ivrea nel settembre 2017 e sono partiti per il Burundi, per conto di Avsi
Federica, con i medici in Sud Sudan “La prima regola è non spostarsi da soli”
Coordinatrice dei progetti per Medici con l’Africa Cuamm a 29 anni ne ha già alle spalle 8 di esperienza. Il suo ultimo incarico è stato in Sud Sudan, in una zona dove gli ultimi focolai della guerra civile non si sono spenti.
“Ci danno degli irresponsabili – osserva – ma chi lo fa non ha la minima idea di come lavoriamo. La mia è stata una scelta professionale, avevo studiato da infermiera e poi dopo tre mesi in Brasile ho capito che volevo specializzarmi, così ho studiato per il master in cooperazione internazionale. Ora gestisco e coordino progetti legati alla salute pubblica”.
Osserva che spesso a fare la differenza è la rete sul campo: “I rischi ci sono sempre, ma il Cuamm mi tutela con un’organizzazione e norme da rispettare che influenzano la mia vita: abito in un compound protetto da personale di sicurezza, non mi devo mai spostare da sola, prima di raggiungere avamposti si deve sempre contattare il personale locale”.
Il problema maggiore, però è tenere insieme le due vite, quella del lavoro e quella che rimane a Lurago d’Erba, in provincia di Como, dove ci sono gli amici e la famiglia. “Più vado avanti e più mi sento incompresa – dice Federica – non dagli affetti, ma da chi pensa di conoscere i posti in cui lavoro. Spesso apro i giornali e questa dicotomia è evidente, ma è anche per colmare questo distacco che mi impegno”.
(da “La Repubblica”)
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