I RAGAZZI DELL’ATLETICA, NATI ITALIANI MA NON BASTA
HANNO ASPETTATO UNA MAGLIA 18 ANNI, ORA RAPPRESENTANO CON ORGOGLIO L’ITALIA IN COPPA EUROPA
Chi è nato qui e ha aspettato quanto basta per farsi venire una crisi depressiva a 16 anni in attesa di averne finalmente 18, non riesce proprio a capire che cosa ci sia ancora da discutere sullo ius soli.
È lo stupore genuino di chi un’Italia diversa la vede e la vive tutti i giorni sulle piste dell’atletica che da parecchio è ormai mista.
Seconda generazione, anche se l’etichetta non piace troppo a questi ragazzi: «La classificazione a ondate è già superata».
Basta guardare l’ultimo gruppo azzurro convocato per la Coppa Europa in programma dal 23 giugno: i figli degli stranieri sono 16 su 49 e tra loro c’è chi è nato qui, cresciuto nel nostro sistema scolastico e comunque tenuto in disparte per un’eternità .
«Se ti sposi in questo Paese dopo due anni ti riconoscono, io ho dovuto portare un sacco pieno di vaccinazioni, scontrini con i libri scolastici, testimonianze delle maestre d’asilo per dimostrare di non essermi inventata un’esistenza».
Daisy Osakue ha 21 anni, i genitori vengono dalla Nigeria «un posto che non ho mai visto, loro stavano in paranoia. Temevano che un semplice viaggio là potesse complicarmi la vita. Sono nata all’ospedale Mauriziano di Torino. Se le parlo al telefono lei capisce che ho radici africane?».
No, si sente una cadenza piemontese mitigata dall’ultimo anno passato in Texas.
Si sente una frustrazione che ancora cresce: «Nel 2013 è stata dura, ho iniziato a fare risultati seri, mi sono qualificata nella nazionale allievi solo che non ero italiana, non per la legge. Volevo mollare tutto».
Invece oggi è una promettente discobola, a 21 anni la più giovane in gara in Coppa Europa: «Ho resistito anche se ero a pezzi. E non è solo questione di sport. Quello è l’apoteosi perchè fatichi, ti appassioni, ottieni le misure e poi stai a casa. Ma vi assicuro che anche solo stare senza il pass 15 era una tortura».
Il pass non è documento, ma per un adolescente per natura in cerca del gruppo, che abbia sangue bolognese o albanese, vale di più.
Dà diritto agli sconti per gli studenti, ma da ogni «giro di pizza», «film a metà prezzo», Daisy era esclusa, «o mi pagavo l’intero, sembra niente, solo che a furia di sbattere contro l’ignoranza ti fai male».
Una volta per la strada le hanno dato della scimmia, lei però un lato positivo lo ha trovato «ero già italiana, ho capito che il passaporto da solo non ti toglie proprio tutti i problemi».
Vista dal Texas, dove si è allenata nell’ultimo anno, la gente in parlamento le sembra ancora più assurda. «Siamo antichi, i più arretrati d’Europa. Ma con questa benedetta maglia azzurra finalmente in valigia mi sento più ottimista. Prima o poi una legge decente passerà ».
Eseosa Desalu in realtà si chiama Fausto, è il nome che usa fin da bambino perchè è nato a Casalmaggiore (Cremona). Ha iniziato a correre presto, avrebbe pure fatto dei record nazionali di categoria solo che non glieli hanno mai riconosciuti. Fino a 18 anni è rimasto straniero. Per sfogarsi si è dato all’heavy metal, batterista in una band e sprinter per vocazione.
Yassin Bouih è stato più fortunato: «i miei genitori sono qui da parecchio hanno preso la cittadinanza e così l’ho avuta anche io, a 12 anni. Mi sono evitato qualche tormento». L’atletica l’ha conosciuta a scuola «un corso, abbiamo risposto in tre io, un brasiliano e un ghanese… poi sento dire “lo ius soli no” perchè si annacqua il Dna. Ma dove vivono?». Lui si è dato al mezzofondo, «noi sportivi cresciamo così, mescolati. Le differenze le vediamo solo se ce le fanno notare». E gliele fanno notare.
Davanti all’ultima rissa in parlamento ha spento la tv: «Ero sconsolato. Suggerisco a quelli che alzano certi cartelli nel posto che dovrebbe tutelare i nostri diritti di farsi un giro su una pista qualsiasi».
Il loro problema non è dimostrare di essere italiani, se mai ritrovare le radici: «Quando vado in Marocco io non mi sento a casa. Non sono a mio agio. Rispetto le origini, ma sono un ospite là ».
Tra qualche giorno, Yassin corre i 3000 metri con la maglia azzurra: «Una bella gara è già un messaggio per chi deve approvare una legge sulla dignità ».
(da “La Stampa”)
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