I SINDACATI TEMONO L’AUTUNNO CALDO: “NON GESTIAMO PIU’ LA RABBIA DEGLI OPERAI”
NEL SULCIS 4.500 CASSAINTEGRATI SU 129.000 ABITANTI… “IN SARDEGNA CI SENTIAMO TUTTI ABBANDONATI”
In sindacalese si chiamano «momenti estremi». Nel linguaggio ruvido dei metalmeccanici sardi significa che «a forza di tirare la corda, qualcuno la pagherà ».
Te lo spiegano così, con la schiuma alla bocca, davanti ai cancelli del bestione di Portovesme. La protesta sulla torre. La bomba fantoccio. Gli scontri al porto di Cagliari.
Per dire dell’Alcoa.
E poi il presidio sotterraneo dei minatori di Carbosulcis, e i pastori, e gli operai della chimica, dell’industria elettrica.
Il sud della Sardegna è una polveriera pronta a esplodere. Un calderone dove ribolle l’insofferenza, l’angoscia, la rabbia di migliaia di lavoratori che si sentono «abbandonati», anzi, «più abbandonati degli altri».
Che sarebbero i colleghi del «continente».
Benvenuti nel Sulcis-Iglesiente, il territorio più cassaintegrato d’Italia.
Quattromilacinquecento ammortizzatori sociali per 129 mila abitanti.
Il 40 per cento dei paracadute sganciati dal governo per le aziende sarde che chiudono, si aprono qui, nella provincia di Carbonia- Iglesias.
Ventitrè comuni e una strage industriale che non fa prigionieri.
«Autunno caldo? Scusi ma mi viene da ridere per non piangere. Da noi – spiega Franco Bardi, segretario provinciale Fiom – tutte le stagioni sono calde, autunno, inverno, primavera, estate. Siamo conciati così da anni. Ve ne accorgete solo adesso perchè Carbosulcis e Alcoa stanno facendo casino. Ma nelle stesse condizioni di quegli operai si trovano tanti altri colleghi. Dopo la bomba all’Alcoa, ci ha convocati il prefetto. Gli abbiamo detto che non siamo più in grado di gestire la rabbia dei lavoratori».
È la storia della corda troppo tirata. È la storia di una balletto tra Governo, Regione e multinazionali spregiudicate. Che adesso scrive il suo nuovo capitolo, quello dei «momenti estremi».
Intanto le procedure di chiusura, nell’impianto Alcoa, continuano. Ventitrè celle elettrolitiche sono già spente.
Un dato che fa a pugni con l’ottimismo forzato diffuso dal governatore Ugo Cappellacci: «Siamo disponibili ad attivare un nuovo tavolo di approfondimento, una soluzione si troverà ». La realtà è che a Portovesme gli operai sono sempre più pessimisti.
È un distretto in agonia. Un’epidemia diffusa che ha già contagiato 3 mila lavoratori e fatto aprire un fronte sindacale unico chiamato, non a caso, «Vertenza Sardegna».
C’è il dramma della Carbosulcis; c’è l’Eurallumina che produceva ossido di alluminio per l’Alcoa ma è ferma da tre anni e mezzo.
Ci sono i «nodi» della Portovesme (piombo e zinco), della Keller di Villacidro (carrozze ferroviarie, trattativa in corso con acquirenti cinesi), dell’Enel e della Ila (laminati in alluminio). Alla Sms di Iglesias facevano profili in alluminio: chiusa da un anno e mezzo.
I conti sono fatti: eccoli i 3 mila lavoratori «alle pezze ». «Nel Sulcis un numero come questo corrisponde ai 15 mila di Taranto», conclude Bardi.
Di fronte a una crisi industriale «senza precedenti», Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato la mobilitazione generale, che sfocerà in una grande manifestazione tra ottobre e novembre.
È l’autunno sempre caldo della Sardegna.
Paolo Berizzi
(da “la Repubblica“)
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