I TIMORI DEI DUE PRESIDENTI PER LA COMMISSIONE DI INCHIESTA SULLE BANCHE
“SE SI DELEGITTIMA BANKITALIA, INVASIONE NEL CAMPO DELLA MAGISTRATURA E RISCHIO SPREAD”… MATTARELLA E NAPOLITANO PREOCCUPATI PER LA COMMISSIONE D’INCHIESTA “COSTRUITA” DA RENZI
Il timore è che, per come l’ha messa giù Renzi, la commissione d’inchiesta (sulle banche) appicchi l’incendio.
Pericoloso, per l’equilibrio dei poteri, in particolare per l’indipendenza della magistratura.
Rischioso, in termini economici perchè un conflitto con Bankitalia può riaprire per il paese il rischio spread.
Per questo, silenziosamente ma con fermezza, sono all’opera due pompieri di eccezione: i “due presidenti”, Sergio Mattarella, ma anche Giorgio Napolitano.
Una commissione parlamentare che indaghi sullo scandalo delle banche va fatta – è il loro pensiero — ma “di indagine”, cioè al tempo stesso rispettosa della magistratura e che con trasformi la ricerca delle disattenzioni di Bankitalia in una campagna di delegittimazione, pericolosa anche in termini economici.
Perchè già lo scandalo delle banche ha già alimentato un clima di sfiducia attorno al paese. Se il governo mette sotto processo la Banca centrale, la sfiducia è destinata a crescere, con conseguenze per il risparmio e per l’economia nazionale.
Riavvolgendo la pellicola del nastro, è stato nel corso della mozione di sfiducia sulla Boschi che si è vista la prima impronta di Napolitano.
Quando in Transatlantico, mentre l’ex capo dello Stato conversava con Pietro Ichino, è passato Walter Verini: “Walter, ti devo parlare”.
I due, che vantano un rapporto di antica consuetudine e di affinità politica, si sono appartati per un tempo non banale.
Poco dopo in Aula, nella sua dichiarazione di difesa della Boschi Verini ha parlato di una “commissione di indagine” sulle banche. Una posizione, su questo tema, sfasata rispetto a quella del capogruppo del Pd, Ettore Rosato, che invece ha parlato, secondo l’ordine di palazzo Chigi, di “commissione di inchiesta”.
E sfasata rispetto al testo del ddl per istituzione la commissione di inchiesta depositato da Marcucci, uno dei renziani più fedeli,
Non è stato questo l’unico contatto che ha avuto Napolitano. Enrico Morando, Giorgio Tonini, esponenti di rango della maggioranza renziana hanno ricevuto il suo preoccupato ragionamento.
Che suona così: “Fare una commissione d’inchiesta che gli stessi poteri della magistratura è pericoloso. Si rischia di mettere uno strumento delicatissimo nelle mani degli scalmanati. Alle inchieste meglio che ci pensano i magistrati che politici che si improvvisano tali per protagonismo”. Praticamente ciò che ha dichiarato anche Pier Ferdinando Casini, che con l’ex capo dello Stato ha un rapporto strettissimo.
Pure sul Colle più alto Mattarella la pensa allo stesso modo di Napolitano. Interpellando fonti ufficiali la linea è “decide il Parlamento nella sua autonomia”.
Ma il capo dello Stato, meno avvezzo del suo predecessore al gioco dei media, in una questa vicenda delle banche per la prima volta non si è limitato a operare da spettatore.
Nel discorso del suo insediamento aveva annunciato che, se i giocatori avessero commesso dei falli, si sarebbe comportato da arbitro.
Ecco, per la prima volta ha fischiato parlando alle Alte Cariche, mettendo in guardia dal rischio di un “conflitto”. Un fischio avvenuto nel corso di una girandola di incontri col governatore di Bakitalia, il presidente di Consob e il presidente dell’Autorità anticorruzione Cantone, colui che il premier ha scagliato polemicamente contro Bankitalia
Sembrano dettagli, ma la differenza tra “commissione di indagine” e di “inchiesta” è sostanza politica.
E le preoccupazioni dei due presidenti vanno al cuore dell’offensiva che Renzi vuole scatenare attraverso lo strumento, appunto, della commissione d’inchiesta.
Perchè quella di inchiesta ha poteri del tutto simili a quelli della magistratura. Non solo. Il ddl presentato da Marcucci rappresenta la formulazione più hard.
Al comma 1 dell’articolo 5 si legge: “La commissione può ottenere, anche in deroga a quanto stabilito dall’articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti inerenti all’oggetto dell’inchiesta”. Significa che su richiesta della commissione, e quindi della maggioranza che coincide con la maggioranza di governo, il pm che sta indagando non può dire di no anche di fronte a richiesta di atti su indagini coperte dal segreto istruttorio. Si può appunto derogare al segreto dell’indagine previsto dall’articolo 329.
Dunque, la politica può mettere il naso in questioni che non le competono e che riguardano i giudici.
Sussurra un parlamentare del Pd molto critico: “Se hai il potere di mettere il naso dove non ti compete, cosa vai cercando? Se ci sono inchieste in corso? O chi sono gli imputati ad Arezzo, dove ancora non si capisce se è indagato papà Boschi? O documenti utili a scaricare su altri le responsabilità ?”.
Fin qui, la potenziale invasione di campo della magistratura.
Al tempo stesso c’è il fronte che riguarda Bankitalia. Perchè il premier non vuole che la commissione indaghi gli ultimi 20 anni, non solo sui crac di Banca Etruria e delle altre tre banche finite nell’occhio del ciclone.
Vuole scavare negli atti più riservati anche di Bankitalia degli ultimi tre lustri, quando i governatori erano prima Fazio e poi Draghi e a palazzo Chigi c’erano prima Berlusconi, Prodi, Monti e Letta.
È chiaro che su questi presupposti la commissione si trasforma nel luogo del processo e della delegittimazione a Bankitalia magari — sussurrano i maligni — con l’obiettivo di cacciare qualcosa dal passato per oscurare il caso banca Etruria.
Una manovra azzardata, spericolata, quella di trascinare palazzo Koch nel gioco dei titoli facili sui giornali. Che può destabilizzare l’Istituto di via Nazionale agli occhi dell’Europa e dei mercati finanziari. Del resto, se non ci fossero dei rischi seri non si muoverebbero, sia pur sottotraccia, entrambi i presidenti.
(da “Huffingtonpost”)
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