I TRE MAZZIERI DEL QUIRINALE: IL CENTRODESTRA ARRANCA NEL DARE LE CARTE
BERLUSCONI CERCA VOTI IN PARLAMENTO, MA RESTA L’IPOTESI DRAGHI
Finché c’è Silvio c’è speranza. Ma non è detto che per il centrodestra nella partita del Colle sia una buona notizia.
Per Giorgia Meloni è un “patriota”, Draghi non si sa. E proprio dal Cavaliere Salvini ha iniziato il giro di telefonate dei leader per non arrivare in ordine sparso all’appuntamento di fine gennaio.
Poi gli altri: Toti, Letta, Conte, Renzi, Meloni, con la proposta di un “tavolo di confronto” che potrebbe partire dopo la manovra. Mentre il Capitano si intesta le “consultazioni” (nelle ultime ore, riferiscono dalla Lega, Matteo Salvini ha contattato anche Giuseppe Conte, Enrico Letta e Matteo Renzi. Salvini ha parlato – tra gli altri – con Silvio Berlusconi e ha incontrato Giovanni Toti)
Berlusconi si muove per sedurre quei 30-40 voti del gruppo Misto che unendosi al centrodestra a ranghi compatti gli garantirebbero l’elezione, ma nel frattempo ha incaricato “ambasciatori” di sondare le intenzioni concrete dei parlamentari alleati. Draghi continua a non far sapere di non essere interessato, e la doppia negazione suona ormai come una conferma per molte orecchie.
Per la prima volta il centrodestra ha i numeri per dare le carte sul prossimo presidente della Repubblica, nonché sui tempi residui della legislatura, ma rischia lo stallo.
Anzi, il logoramento. Perché finché c’è “Silvio” in campo non potrà esserci “Mario”, ripetono tutti. E l’avallo al sogno berlusconiano da parte dei dei due principali alleati irrita non poco la galassia centrista, che considera il tutto un’”ammuina”.
Fatto sta che dal palco di Atreju, la leader di FdI ha aperto al Cavaliere, ed è il giorno dell’orgoglio di coalizione. ”Chi più patriota di Silvio” rincara l’azzurro Gasparri, mentre Isabella Rauti giura compattezza sul suo nome: “FdI non è disponibile a inciuci né compromessi”.
Meloni tuttavia non ha chiuso del tutto alle eventuali aspirazioni dell’attuale premier. “Se Draghi scendesse apertamente in campo, chi potrebbe dirgli di no?” argomenta un dirigente meloniano. Con un sottinteso molto condiviso: se l’ex presidente della Bce aggiungesse una frasetta per cui servirà ancora un anno intero ad avviare i progetti del Pnrr – ovvero fino al 2023 – l’Italia avrebbe il suo tredicesimo capo dello Stato. Perché i nove decimi del Parlamento, si sa, non vogliono andare al voto anticipato per nessun motivo (e nessun candidato) al mondo. E dunque, puntano a sentirsi dire forte e chiaro che le Camere non saranno sciolte.
Con un rumor che echeggia per i corridoi romani, destinato a far riflettere i potenziali franchi tiratori: se Draghi finisse impallinato nella corsa, si congederebbe anche dal governo, lasciando il Paese ad affogare.
In questo scenario aggrovigliato anche dal punto di vista istituzionale, Meloni non ha una strategia definita – né lei né altri, troppe ancora le variabili – ma una cornice in cui muoversi. Lo scenario migliore per la presidente del primo partito di opposizione, che intorno al 20% ha ormai stabilmente superato la Lega ed è secondo tra le forze politiche dopo il Pd, resta quello delle urne anticipate. Per capitalizzare la candidatura alla premiership.
Di qui la carta Draghi, tenuta alta (in solitudine) fino a poco fa nella versione: senza di lui a Palazzo Chigi non Franco o Cartabia bensì il diluvio.
Amici e nemici, però, sottolineano un dato: FdI ha una pattuglia non certo determinante di grandi elettori (37 deputati, rispetto ai 27 renziani e i 22 di Coraggio Italia; al Senato 21, cinque in più di Italia Viva). Di talché potrebbe doversi adeguare a un prolungamento – magari fino a settembre 2022 – dell’attuale schema del governo di unità nazionale, rimanendo all’opposizione.
In fondo, dopo aver contribuito a eleggere un presidente europeista, gradito a tutte le cancellerie, forte nei consessi internazionali, chi potrebbe opporre alla Meloni una conventio ad excludendum al turno successivo?
Al riguardo le parole meno convinte, e solo vagamente smentite, le ha pronunciate proprio Berlusconi: “E se Draghi viene eletto a chi dà l’incarico di formare un nuovo governo? A Salvini? Alla Meloni? Ma dai, non scherziamo”.
Lo scenario peggiore, però, per quest’ultima sarebbe un altro: l’uscita dal governo della Lega, con Matteo Salvini che tornerebbe soltanto di lotta e pronto a sei-dodici mesi di campagna elettorale muscolare e populista. Una concorrenza da destra di cui l’ex ministra della Gioventù non sentirebbe affatto il bisogno.
(da Huffingtronpost)
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