IL BRICOLAGE SENZA IDEOLOGIE DI RENZI: L’UNICO POLITICO E’ SAN SUU KYI
DA MARY POPPINS AI RIGHEIRA, ICONE POST… ANCHE LA GENERAZIONE DI D’ALEMA E VELTRONI SI RICHIAMAVA A CINEMA O MUSICA
Mary Poppins, per quanto antica, appare decisamente post. E pop. Una icona non nuova, ma rinnovata.
Tradizionale, ma non tanto da essere menzionata, citata e proiettata nel discorso di un aspirante leader di partito.
E invece due minuti di Matteo Renzi sono stati interamente dedicati a lei, a Mary Poppins.
Tra una parabola sulla Polaroid e una citazione dei Righeira.
Con Renzi il Pd, piaccia o no, assume una coloritura post-ideologica. E non si lascia alle spalle solo l’ideologia pesante e totalizzante, quella dell’èra dei Togliatti e dei De Gasperi, o dei Berlinguer e dei Moro.
No, anche quella, moderna, disinvolta, dinamica, «di tendenza» di una generazione politica, quella di Veltroni ma anche di D’Alema, che ai simboli della cultura politica più tradizionale affiancava richiami al mondo «moderno» del cinema e della canzone.
Veltroni rilanciò l’«I care» di don Milani e l’omaggio alla tradizione liberal-azionista con la visita torinese a Norberto Bobbio.
Ma non risparmiava citazioni e riferimenti a McEwan, o a De Gregori.
Con Renzi la mescolanza tra i due piani, tra la dimensione pop e quella più consona al vecchio stile del discorso, si assottiglia fino a scomparire del tutto.
Ha cominciato con Fosbury, l’atleta che ha rivoluzionato la tecnica e lo stile (e l’efficacia) del salto in alto in atletica leggera: lo avevano preso per pazzo con quel salto di spalle, poi ogni record venne sbriciolato grazie a un movimento che sarebbe diventato naturale e imprescindibile per tutti gli atleti impegnati in quella specialità .
Per parlare di innovazione e di coraggio, la vecchia ideologia, pur resasi moderna e dinamica, avrebbe senza dubbio citato Steve Jobs.
Renzi no: è andato direttamente all’atletica leggera. E va al calcio quando dice che nessuno è indispensabile, figurarsi una classe politica che è incapace di farsi da parte.
Parla di Guardiola che lascia il Barcellona di Messi e Iniesta. E pensa a Bersani (oltre che ai maggiorenti del partito) a suo avviso privi del coraggio di Guardiola.
Va direttamente ai Righeira, simboli del disimpegno canoro anni Ottanta, per criticare i parlamentari (D’Alema, Veltroni, Bindi, Marini) che sono entrati al tempo dei Righeira, un secolo fa: «L’estate sta finendo, il loro mandato no».
Cita Aldo Biscardi, nientemeno.
Un personaggio della vecchissima televisione ma è con l’immagine televisiva che la generazione di Renzi è venuta su. È vero.
Menziona un politico, un premio Nobel per la pace che ha conosciuto le vessazioni del regime birmano ed è un simbolo della battaglia contro l’oppressione: Aung San Suu Kyi.
Ma è un riferimento sufficientemente non circostanziato dal punto di vita ideologico per consentirne una fruizione ecumenica e universalistica.
Ma prima di tutto cita la Polaroid, simbolo un po’ vecchiotto della fotografia pre-digitale, che ebbe un successo gigantesco nella generazione che precede quella di Renzi, che ha conosciuto l’onta dell’obsolescenza, ma che ha saputo rinnovarsi per non soccombere del tutto.
Messaggio: la sfida delle novità tecnologiche va affrontata con coraggio, altrimenti ci si inabissa nell’inutilità , nella marginalità , in un oggetto di antiquariato se non addirittura in una cianfrusaglia da dimenticare in cantina. E poi l’attore citato: Fabio Volo. Il simbolo di un nuovo cinema, non Bertolucci o addirittura Fellini.
Con i partiti all’antica ci si industriava a costruire Pantheon, ascendenze, paternità , gallerie di personaggi che dessero il senso di un «progetto» culturale e politico fatto anche di tradizioni: tradizioni da superare, ma mai da dimenticare.
Con Renzi questo sforzo sembra invece destinato all’inconcludenza o alla frustrazione. L’essere contemporanei è diverso dall’essere moderni (è uno dei dogmi del post-moderno).
E diventa impossibile prevedere quale tra i mille personaggi della televisione e della musica «leggera» e dell’oggettistica commerciale verrà preso a modello e messo su un piedistallo.
Un lavoro di bricolage più che di sistematizzazione ideologica.
Un bagaglio leggero che lascia negli armadi le armature pesanti del «vecchio» discorso politico. Può piacere o non piacere, ma forse è il salto generazionale decisivo.
Con la musica dei Righeira.
Pierluigi Battista
(da “Il Corriere della Sera”)
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