IL CHIACCHIERONE NON VUOLE CHIACCHIERE (DEGLI ALTRI): ZITTI TUTTI, E’ UNA VITTORIA
LA RETORICA ANTIGUFI DI “MATTEO IL MAGNIFICO”
“Massimo rispetto per chi vuole chiacchierare”, ha twittato dopo la vittoria del Pd in Calabria e Emilia-Romagna, “noi nel frattempo cambiamo l’Italia”.
“Noi” è lui, o meglio: lui con la Boschi, Orlando, Martina (è un ministro), Alfano e ovviamente Verdini, nel tempo libero concessogli dai rinvii a giudizio.
E chi è che chiacchiera?
“Chiacchierano” i sindacati, Landini, i professoroni , gli operai, i costituzionalisti, gli editorialisti, quelli che non cacciano mille euro per cenare con lui, i feticisti dell’art. 18, la minoranza del Pd e in sostanza tutti quelli che dissentono da lui.
Siccome hanno tempo da perdere, godono nel produrre brusio al solo scopo di demoralizzare il manovratore.
E pensare che nelle signorie, in quel glorioso Rinascimento che sbocciò nel cuore della sua Firenze, il Signore era lasciato libero di regnare nell’arbitrio, sapendo egli cos’era meglio per tutti.
Come Lorenzo, Matteo il Magnifico si sa costantemente sotto attacco, soggetto a congiure, complotti, manovre per fargli perdere velocità .
Ma non demorde, anzi. È un sacrificio, una quotidiana offerta di sè tributata al futuro e premiata dai risultati.
Il giochino è furbo: raso al suolo il Pd, Matteo ci vende la pseudo-vittoria nelle due regioni spolpate in questa specie di midterm della ‘nduja e del tortellino come una fase di assestamento della sua opera rivoluzionaria.
Lui aveva previsto tutto: dal calo dell’affluenza a quello delle tessere, conscio dei movimenti dialettici della Storia.
Ogni flessione, ogni apparente recessione, è una tappa verso la gloria.
È il destino dei grandi: prima che si capisca che stanno cambiando il mondo, devono superare un sacco di resistenze.
Che la gente che ha smesso di andare a votare non siano burocrati ma quel popolo che la sinistra amava e sosteneva, e che alle calcagna del vincitore frema il candidato leghista, sono dettagli noiosi. “2-0 netto”, twitta Matteo come se avesse 7 anni e non quasi 40, mentre si auto-seleziona una classe di à¼ber-votanti ottimisti, patriottici, depurata dai gufi che hanno avuto il buon gusto di restare a casa.
Nonostante il giurin-giurello fatto a Repubblica di essere di sinistra, di rispettare la storia del partito e altri abracadabra per anime pure, propinare il racconto che alle chiacchiere oziose e al dibattito sterile si preferisce governare alacremente secondo oscuri disegni è inequivocabilmente di certa destra.
Il chiacchiericcio prodotto da chi esercita l’arma del dubbio e della critica ha sempre dato fastidio al potere e a chi lo maneggia con ossessività egotica.
Senza andare alla pistola di Gà¶ring, le analisi, irrise come “alte strategie” e culturame da intellettuali, sono sempre state sbeffeggiate da chi ha un debole per la forza.
E Renzi è abile nelle forzature linguistiche.
Rintontisce con le metafore, da quelle calcistiche a quelle telefonistiche (il gettone nell’iPhone) per dissociarsi da una realtà sgradevole.
Inventa tagliole lessicali per creare fittizie coppie di opposti e imporre a chi ascolta una scelta: siete con chi fa o con chi blatera? Per la speranza o la paura? Per il cambiamento o la conservazione?
Tutte opposizioni senza senso, essendo falso l’assunto principale, ovvero che lui rappresenti sempre il primo dei termini della dicotomia.
È un trucco oratorio da dilettanti, noto a tutti i capipopolo.
Perciò, appena Landini incappa in un errore che svela la sua estraneità ai giochini linguistici, si sguinzagliano gli azzannatori renzini, zitti sulle offese a suon di decreti a quegli stessi onesti che si pretende di rappresentare.
Certo è vero che se non tutti quelli che sono con Renzi sono disonesti, molti dei disonesti che conosciamo stanno con lui.
E perciò si bagnano d’eccitazione le penne degli ex-berlusconiani, ora ammaliati dal figo fiorentino: per l’arrembante, spregiudicata effrazione che Matteo fa anzitutto alla logica. Come per il paradosso del cretese che dice che tutti i cretesi mentono, delle due l’una: o gli credono quando dice di essere di sinistra, e quindi non dovrebbero sostenerlo; o non ci credono, e quindi non dovrebbero sostenerlo in quanto bugiardo.
Ma forse la fortuna di Matteo sta tutta qui, in questa violenza spudorata al linguaggio e ai suoi limiti.
Daniela Ranieri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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