IL GRAN CAPO DI LUKOIL, VAGIT ALEKPEROV, SI È DIMESSO NON SOLO PER LE DIVERGENZE POLITICHE SULLA GUERRA IN UCRAINA, MA PER SALVARE LA SOCIETÀ DALLE SANZIONI
UN TACITO ACCORDO CON LE AUTORITÀ BRITANNICHE: IN CAMBIO DELLE SUE DIMISSIONI, I CONTI DEL SECONDO PRODUTTORE RUSSO DI PETROLIO NON VERRANNO TOCCATI E SARANNO SBLOCCATI
Si è dimesso Vagit Alekperov, fondatore, comproprietario, direttore generale e membro del cda di Lukoil, il secondo produttore russo di petrolio dopo Rosneft e il più grande non statale. L’ex viceministro sovietico del petrolio e del gas aveva preso le redini di Lukoil sin dalla sua privatizzazione nel 1993. La sua lunga carriera si è conclusa ieri, una settimana dopo che il miliardario era finito nel mirino delle sanzioni di Regno Unito e Australia, con una breve dichiarazione diffusa dalla società.
Stando a fonti russe del settore interpellate da Repubblica , Alekperov si sarebbe fatto da parte per salvare l’azienda che aveva fondato 29 anni fa stringendo un tacito accordo con le autorità britanniche: in cambio delle sue dimissioni, i sostanziosi conti di Lukoil nel Regno Unito – dov’ è quotata in Borsa – sarebbero stati sbloccati e non verranno toccati in futuro.
Lukoil per altro è tra le 27 aziende le cui azioni sono state sospese dalla Borsa di Londra a inizio marzo per evitare fluttuazioni di mercato, mentre il quartier generale moscovita non è soggetto a sanzioni. E ha diversi contratti nel Regno Unito come la fornitura della raffineria di Ellesmere Port che rifornisce il 16 per cento del carburante del Paese.
Lukoil è anche investitore di rilievo nel giacimento di Shah-Deniz (Azerbaijan), da cui sgorga il gas che alimenta il Tap, tubo che attraverso l’Albania approda in Italia, nei pressi di Lecce, con una quota del 19,9% raddoppiata a febbraio comprando il 9,9% dai malesi di Petronas per 1,45 miliardi di dollari.
Con un patrimonio che a inizio aprile ammontava a circa 16,5 miliardi di euro, Alekperov resta secondo Forbes tra i 100 uomini più ricchi del mondo. Ma c’è anche chi ricorda che, il 3 marzo, a una settimana dal lancio della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina, Lukoil aveva diffuso una dichiarazione «a favore della rapida cessazione del conflitto armato» e «della sua risoluzione attraverso un processo negoziale, attraverso i canali diplomatici», distinguendosi come una delle poche società russe a esprimersi per la pace.
Non è bastato però a salvarlo. Come tutti gli imprenditori convocati da Vladimir Putin al Cremlino il 24 febbraio, giorno del lancio dell’offensiva in Ucraina, è finito nelle liste nere dell’Occidente.
(da La Repubblica)
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