IL PIANO IN CINQUE PUNTI DI LETTA: “NON ASPETTO PIU’ LE IDEE DEL PD”
MENO TASSE SU FAMIGLIE E IMPRESE
Pur avendo poche carte in mano, il premier non intende farsi rosolare da Renzi a fuoco lento fino alla Direzione Pd del 20 febbraio.
«Non possiamo più aspettare – ha spiegato ieri ai suoi appena rientrato da Sochi – dobbiamo rilanciare subito con Impegno 2014».
Anche senza le proposte del Pd.
Così, dopo una domenica di riposo in famiglia, domani Letta aprirà un giro di consultazioni con i partiti della maggioranza per presentare ufficialmente il documento programmatico su cui puntare il suo rilancio.
Un piano in cinque punti: riduzione della tasse su famiglie e imprese, attacco contro la disoccupazione giovanile, rilancio degli investimenti pubblici, piano industriale per digitalizzare e internazionalizzare le piccole e medie imprese, semplificazioni e sburocratizzazioni.
Il documento in realtà è già pronto dal 27 di gennaio, visto che il 29 il premier avrebbe voluto sottoporlo all’esame della commissione europea.
«Ma Renzi – osservano con puntiglio da palazzo Chigi – ci chiese di aspettare le decisioni del Pd».
Adesso basta, Letta parte in contropiede. Il piano non è infatti un generico elenco di buone intenzioni, ma è stato redatto secondo i criteri dei programmi nazionali che i vari membri dell’Ue inviano a Bruxelles.
Quindi contiene provvedimenti concreti e scadenze certe da seguire.
Il premier ha compreso infatti, dopo lo schiaffo ricevuto giovedì in direzione, che lo spazio per la sua iniziativa politica si va restringendo ogni giorno di più e che Renzi punta decisamente a sostituirlo in corsa.
Gliel’hanno riferito gli «amici» del nuovo centrodestra, da Alfano in giù, avvicinati singolarmente in questi giorni da tre fedelissimi renziani: Dario Nardella, Graziano Delrio e Lorenzo Guerini.
Ogni ambasciatore renziano aveva una lista di persone da contattare e un’unica domanda: «Se le cose si mettessero male voi lo sosterreste un esecutivo a guida Renzi per andare avanti tutta la legislatura?».
Già , perchè è questa la novità allettante dell’offerta che i renziani vanno illustrando sia agli alleati di governo sia alle minoranze della sinistra Pd: se a palazzo Chigi arrivasse il segretario democratico, le elezioni ci sarebbero alla scadenza naturale, giugno 2018.
Mentre con Letta, come ha ricordato Renzi in direzione, «sono passati già dieci dei diciotto mesi che ci eravamo dati… ne restano otto».
Tic-tac, il conto alla rovescia è inesorabile.
Se l’aspetto programmatico è il primo che impegnerà Letta, sottotraccia prosegue l’esame delle (poche) opzioni sul tavolo per far ripartire il governo con un nuovo organigramma.
L’incontro tra Letta e Napolitano non è ancora fissato, l’idea è che ogni giorno è buono per salire sul Colle, a partire da martedì.
È saltato infatti il “gentlemen’s agreement” tra Letta e Renzi, caldeggiato da Dario Franceschini, che avrebbe dovuto garantire prima un passaggio tranquillo della legge elettorale alla Camera e soltanto dopo l’apertura della trattativa per il rimpasto. Adesso invece i due vagoni – rimpasto e modifica dell’Italicum – marceranno insieme, creando ulteriori problemi a Renzi nell’affrontare i ricatti dei partiti più piccoli.
Un particolare per cui il premier non si straccerà le vesti.
Il problema vero è come mettere mano alla squadra di governo. Perchè l’ipotesi di un rimpasto leggero, praticabile fino a un paio di settimane fa, rischia ormai di rivelarsi un boomerang: se il ritocco fosse considerato insufficiente, la direzione del Pd potrebbe darne un giudizio negativo e si ricomincerebbe daccapo.
D’altra parte anche l’opzione di un Letta bis è gravida di pericoli.
«Il premier dovrebbe dimettersi – ragiona un lettiano – e Napolitano sarebbe costretto ad aprire le consultazioni. A quel punto i segretari di maggioranza potrebbero indicare Renzi anzichè Letta».
Insomma, il Letta bis, che sarebbe la strada più lineare, può essere percorso solo con un solido patto tra i soci di maggioranza.
Per questo ieri Letta si è preoccupato anzitutto di stringere i bulloni dell’asse con il nuovo centrodestra. Un’operazione andata buon fine visto che prima Angelino Alfano, poi Maurizio Lupi, hanno ripetuto che «Ncd con responsabilità sostiene e sosterrà il governo Letta»
Il resto lo si deciderà al Colle, compresa la lista dei ministri che dovranno essere sostituiti. Il nuovo centrodestra è disponibile a dare una mano al premier, persino rinunciando al Viminale se dovesse servire a Letta per piazzare il renziano Graziano Delrio.
Ma in cambio gli alfaniani chiedono una vera svolta sulla politica economica, che li aiuti a superare il difficile test delle elezioni europee.
La testa che deve rotolare è molto pesante, visto che ha il pieno sostegno di Napolitano: si tratta del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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