IL PROF. PACILLO: “SUL DDL ZAN INGERENZA DELLA CHIESA, CONCORDATO DA RIFORMARE”
INTERVISTA AL DOCENTE DI DIRITTO ECCLESIASTICO: “E’ UNO STRUMENTO OTTOCENTESCO CHE NON FUNZIONA PIU'”
La nota della Santa Sede sul ddl Zan ”è più che un’ingerenza”, perché perturba il dibattito pubblico e mina il principio della laicità dello Stato, ma il problema strutturale è un Concordato “vecchio e da riformare”. –
Per Vincenzo Pacillo, professore ordinario di diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Modena e Reggio Emilia, l’accordo che regola i rapporti tra Stato e Chiesa risente di echi “otto-novecenteschi”, superati dal Concilio Vaticano II e che non rispecchiano la realtà, sia religiosa che sociale, di oggi.
E la carenza di una politica ecclesiale seria si riflette, per esempio, nella mancata riforma della commissione paritetica Italia-Santa Sede, che oggi sarebbe stata molto utile a Draghi per dirimere la questione.
Professore, partiamo dalle polemiche sulla legge Zan, cosa pensa della nota della Santa Sede che chiede interventi sul ddl che così com’è violerebbe il Concordato?
La cosa è piuttosto eclatante. Siamo di fronte a una nota verbale, che notoriamente è una comunicazione che avviene tra due soggetti di diritto internazionale come la Repubblica italiana e la Santa Sede, che in più hanno in comune un documento, il cosiddetto Concordato, che in qualche modo dovrebbe regolare i rapporti tra loro in Italia. Fin qui tutto regolare.
Qual è il problema allora?
C’è una serie di problemi. Primo: la nota verbale è un atto formalmente impegnativo dal punto di vista diplomatico e anche dal punto di vista del diritto internazionale, a cui si fa fatica a non rispondere, che riguarda un disegno di legge, quindi qualcosa che sta avvenendo e di cui si sta discutendo a livello di espressione massima di sovranità popolare. C’è un soggetto di diritto internazionale che sta entrando all’interno di una discussione esclusivamente politica, dentro gli affari interni di un altro soggetto di diritto internazionale. Cosa che peraltro la santa Sede avrebbe dovuto evitare alla luce dell’art.7 della Costituzione italiana, impegnandosi a rispettare il proprio ordine quindi a rimanere fuori dalla costruzione del dibattito politico.
Secondo il professor Cesare Mirabelli si tratterebbe solo di un avvertimento.
Beh, un avvertimento di questo tipo non è una mera espressione di pensiero, un contributo al dibattito, ma una presa di posizione ufficiale che rischia di perturbare la costruzione del dibattito politico. Questo mi lascia molto perplesso, come sono molto perplesso dal contenuto stesso della nota verbale. La Santa Sede dice: sono a rischio sia la libertà di pensiero dei cattolici che la libertà delle scuole cattoliche. Ma negli stati democratici oggi esistono dei limiti per la libertà di pensiero, sono molto estremi, ma esistono: incitamento all’odio, alla discriminazione razziale o sessuale, apologia dei fascismi. Limiti invalicabili che non possono avere cittadinanza all’interno dell’ordinamento italiano. Non si può pensare che i cattolici abbiano dei limiti alla libertà di pensiero che siano diversi da quelli degli altri. E lo dico da cattolico praticante, per quel che conta. Ma c’è un terzo problema, persino più grave
Prego.
Riguarda la laicità dello Stato, che se è un principio supremo del nostro ordinamento costituzionale, questo vuol dire che nessuna norma giuridica, nemmeno una norma concordataria può piegarla. La laicità dello Stato ha una forza di resistenza superiore. E l’idea dello Stato laico si caratterizza con l’obiettivo principale di tutela delle minoranze e dei soggetti più vulnerabili, da qualsiasi attacco verbale che possa creare odio e discriminazione.
Detta semplicisticamente, i tre punti che ha sollevato vanno nella direzione di chi sostiene si sia stata un’ingerenza.
Tecnicamente non lo è stata, perché teoricamente il Parlamento potrebbe anche cavarsela dicendo ‘ne prendiamo atto, ma andiamo avanti’. Ma qui paradossalmente siamo davanti a qualcosa che è più di un’ingerenza. Come dicevo, siamo di fronte a un rischio di un perturbamento del dibattito politico e contemporaneamente al rischio di depotenziamento del principio di laicità dello Stato.
E se il Parlamento – e il Governo – dovessero prenderne atto e andare avanti? Cosa accadrebbe dal punto di vista giuridico?
L’unica esperienza simile è avvenuta nel 1970, quando Paolo VI prese posizione contro il divorzio, che però era già diventata legge, dicendo che violava l’art.34 del vecchio Concordato del 1929. Seguì dibattito in Parlamento, ma dal punto di vista giuridico non ci fu nessuna conseguenza. La distinzione degli ordini fa sì che sia lo Stato poi a decidere, come è avvenuto durante la pandemia quando si è deciso di chiudere le chiese. Certo esistono delle azioni diplomatiche che possono essere fatte se si assume che un trattato internazionale sia stato violato, però qui c’è un’altra domanda di fondo da farsi.
La faccia.
Ma il Concordato è veramente assimilabile a un trattato internazionale? Perché io come l’impressione di no, visto che riguarda la vita di soggetti che sono anche cittadini all’interno del mio Stato e che devono soggiacere alle leggi del mio Stato.
E siamo arrivati al senso stesso del Concordato.
Che, parliamoci chiaro, è uno strumento otto-novecentesco. Che nasce dall’idea che circolava nei manuali di diritto pubblico ecclesiastico di allora per cui la Chiesa cattolica era una ‘società giuridicamente perfetta’ e quindi soggetto internazionale pari agli altri Stati. Ma questa cosa qua non esiste più almeno dal Concilio Vaticano II, quando la Chiesa rinuncia agli status giuridici che l’hanno contraddistinta nella comunità internazionale sino a quel momento. Perché la Chiesa è un’altra cosa, una società sovrannaturale, un sacramento, che non puoi immaginare che stipuli trattati internazionali. Per tanti motivi in Italia conserviamo una struttura concordataria, che non funziona più, che oggi risente di una visione vecchia dei rapporti tra Stato e Chiesa e che secondo me non funziona dal punto di vista teologico prima che giuridico. Ma lo stesso accade in altri Paesi.
Dove, per esempio?
Beh, in Polonia, in Spagna, in Germania dove i Lander hanno tanti piccoli Concordati. Ovviamente non in Francia e negli Stati Uniti.
L’idea del Concordato non è comunque superata di fatto nei sistemi liberaldemocratici? Non dovrebbe essere concepibile solo per difendere le religioni minacciate da un regime autoritario? In fondo nacque durante il Fascismo.
In linea di principio sì, ma sarebbe difficile immaginare rinunciarci dall’oggi al domani. Perché l’articolo 7 della nostra Carta, bene o male, ha riportato il principio concordatario come principio costituzionale. Dovremmo fare una riforma costituzionale, cosa politicamente inimmaginabile. Poi ci portiamo dietro un’altra contraddizione, il Concordato è stato fatto nell’era fascista ma è stato modificato negli anni ’80 da Bettino Craxi, che sarebbe difficile definire un illiberale, ma evidentemente a quei tempi serviva come elemento di equilibrio politico. Ma ora la situazione è diversa. I cattolici praticanti e i sacerdoti sono diminuiti, ed è aumentata sia la pluralità delle religioni che la non religiosità. Il cattolicesimo non è più il monolite che conoscevamo, ma è un grande mosaico esattamente come l’Islam o il buddismo. Le grandi religioni non sono blocchi granitici ma attraversate da movimenti di pensiero, e talvolta di un tasso di aggressività che per lo stato democratico può essere pericoloso.
Quindi?
Quindi ti trovi di fronte a uno strumento già obsoleto in sé che non corrisponde più alla composizione della realtà sociale. Che va come minimo riformato, come ho scritto altrove (Ripensare i patti lateranensi, Rivista Il Mulino, ndr). Senza cadere in banalizzazioni, io stesso ho dato un’occhiata al video di Fedez e ci ho rivisto le stesse reazioni di molti ventenni a cui insegno, e che quando gli parli di Concordato pensano a qualcosa di esotico. Però devi anche considerare che con l’articolo 8 della Costituzione hai esteso il principio della bilateralità alle altre confessioni religiose, così che non posso un domani abolire il Concordato coi cattolici e tenere in piedi l’intesa con gli ebrei o con i valdesi. Non avrebbe senso. E il tutto si complica se consideriamo la totale assenza di una legge generale sulla libertà religiosa in Italia. Per cui i culti che non hanno ancora un’intesa con lo Stato, come l’Islam per esempio, sono normati dalla legge del 1929.
C’è il rischio di perdersi.
Ma c’è di più. Se non sbaglio, non è stata ancora riformata la commissione paritetica tra Italia e Santa Sede che si dovrebbe occupare di dirimere le controversie inerenti all’interpretazione del Concordato ai sensi dell’articolo 14 degli accordi di Villa Madama. Questo per dire che la nota verbale sul ddl Zan è solo la punta di un iceberg di una politica ecclesiastica che nessuno prende in mano seriamente, e che ogni tanto ti scoppia in mano.
Questa commissione avrebbe avuto voce in capitolo anche in queste ore, per dirimere la vicenda del ddl Zan?
Certamente, Draghi potrebbe dire ‘c’è la commissione paritetica che ci dice esattamente come stanno le cose’.
Per chiudere, il ddl Zan secondo lei il Concordato lo vìola veramente o no?
Secondo me no. Non si vede perché i cattolici dovrebbero godere di uno status speciale in termini di limiti alla libertà di pensiero. Semmai ci potrebbe essere un problema di interpretazione delle norme, ma a quello pensa il Parlamento.
(da Huffingtonpost)
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