IL PROF PONTI SULLA POSSIBILE REVOCA AD AUTOSTRADE: “MOLTO RISCHIOSA, LO STATO POTREBBE USCIRNE SCONFITTO”
L’ESPERTO DI ECONOMIA DEI TRASPORTI: “LO STATO POTREBBE DOVER PAGARE 23 MILIARDI”
A un mese esatto dall’anniversario del crollo del Ponte Morandi, la tragedia del 14 agosto 2018 in cui sono morte 43 persone, il consiglio dei ministri si riunisce per discutere della revoca della concessione ad Aspi, Autostrade per l’Italia. Il capo dell’esecutivo, Giuseppe Conte, pare deciso a procedere con la revoca: la società del gruppo Atlantia, holding della famiglia Benetton, ha consegnato al governo una proposta definita dallo stesso premier «uno scherzo».
«Lo Stato non può essere socio di chi prende in giro le famiglie del governo», ha aggiunto Conte. La maggioranza, però, potrebbe spaccarsi proprio per la fermezza del presidente del Consiglio nel togliere la concessione: Italia viva e parte del Partito democratico sostengono che la revoca è troppo onerosa per i cittadini e sarebbe auspicabile lasciare la concessione ad Aspi, con un ingresso da parte dello Stato nella società .
Il professore Marco Ponti, esperto di Economia dei trasporti, intravede un grosso rischio nella scelta tranchant di Conte: «Il pericolo di dover pagare quei 23 miliardi ad Autostrade è reale se non si trova un accordo».
Professore, la revoca della concessione ad Aspi è una soluzione percorribile?
«Conte, nelle sue dichiarazioni, non sottolinea il rischio di un contenzioso. Io, come privato cittadino, mi auguro che la concessione sia tolta e si cominci a gestire la rete autostradale difendendo gli utenti, che pagano pedaggi troppo elevati. Ma non è questa la soluzione migliore».
In che senso?
«Lo Stato ha firmato con Autostrade un pactum sceleris. Arriveranno, e costeranno care, le cause da parte del gruppo dei Benetton. Anche in caso di gravi mancanze, come potrebbero essere quelle per il Ponte Morandi, questo contratto scellerato è ambiguo e sembra garantire Aspi per i mancati profitti».
Eppure Conte è certo che, nel caso di una revoca, non sarà il pubblico a dover dare dei soldi ai Benetton ma, al contrario, «cattive o mancate manutenzioni legittimano lo Stato ad avanzare pretese risarcitorie consistenti».
«Sottovaluta le cause che il gruppo porterà nelle sedi europee ed è qui che lo Stato potrebbe uscirne sconfitto. Non è che Bruxelles sia insensibile al grido di dolore dei cittadini italiani, ma tende a essere particolarmente sensibile al venir meno di un patto che il pubblico ha fatto con un privato. È il rischio regolatorio a cui l’Europa è molto attenta perchè, se passa questo concetto della “revoca facile”, i privati tendono a non fidarsi più dello Stato italiano perchè ha dimostrato di poter cambiare le regole in corso d’opera. L’Europa non entra nel merito della vicenda che giustificherebbe eccome una revoca, ma è attenta che i patti, seppur scellerati ma firmati da ambo le parti, vengano rispettati».
Lei è certo che Aspi farebbe ricorso?
«Ripeto, la revoca non solo di questa, ma di quasi tutte le concessioni in Italia sarebbe un bene per il Paese. Sennonchè Aspi ricorrerebbe su tutta la linea per vedere tutelati i suoi interessi. E sia chiaro, la soluzione non sarebbe mica quella di riaffidare al ministero delle Infrastrutture la gestione della rete autostradale: al ministero non sono stati in grado di controllare che il concessionario facesse la giusta manutenzione, figuriamoci gestirla in proprio. E mi piace pensare che il controllo inadeguato sia riconducibile a un’insipienza tecnica. Ma restiamo fermi su un punto: il ministero non può gestire la baracca autostradale».
Allora qual è, secondo lei, la soluzione?
«Prima è necessaria una premessa: gli utenti hanno già pagato e strapagato tutte le autostrade italiane, una gallina dalle uova d’oro. Ma nessuno si è mai speso per difenderli, e c’è una ragione. Lo Stato, dai profitti autostradali, guadagna metà della torta: basta sommare il quasi 50% dei profitti, più i canoni sulla concessione, più l’Iva. Diciamo che, se la torta diventasse più grossa a discapito degli utenti delle autostrade, lo Stato ci guadagnerebbe. Entrambi gli attori in gioco sono contenti se si riescono a fare più guadagni sui pedaggi, anche lo Stato, e gli autisti sono inconsapevoli di questo sistema di profitti».
Premessa recepita. E la soluzione?
«I pedaggi autostradali sono diventati una tassa iniqua che fa pagare agli utenti una cosa che è stata già ampiamente pagata. Detto ciò, io non vorrei che il ministero gestisca alcunchè. Si limiti piuttosto a mettere in gara quei pochi investimenti che sono necessari nell’immediato, visto che il traffico è crollato con il Coronavirus. Come viene fatto per le strade statali. Poi, metta in gara dei tratti di tutta la rete autostradali e ripeta la gara periodicamente ogni 5-7 anni. L’importante è che la gestione sia a spezzatino e contendibile dopo un tempo relativamente breve: solo così si evita il rischio di cattura. Quando appaltante e appaltatore stringono un contratto che supera i 10 anni, aumenta vertiginosamente il rischio di cattura, o regulatory capture se volete dirlo all’inglese».
Resta appetibile per i privati una concessione che scade dopo soli 5 anni?
«A parte che i primi soggetti da tutelare — dopo anni in cui le autostrade sono state strapagate — sono i cittadini, un sistema di gare si apre molto di più al mercato: sia per la costruzione che per la manutenzione e la gestione. Anzi, in Italia i pedaggi dovrebbe essere annullato come in Spagna».
E come si finanzia così la manutenzione che deve essere costante?
«Dalla benzina! Dal carburante, ogni anno, lo Stato incassa circa 40 miliardi. Si finanzi la manutenzione, che così è sempre pagata dagli automobilisti, devolvendo una piccola quota di quei ricavi»
Come finirà la trattativa in corso tra governo e Autostrade?
«È imprevedibile. Mi auguro solo che non si passi da un soggetto che mangiava sugli utenti a un altro che faccia la stessa cosa. Eliminiamo i pedaggi, almeno da una buona parte della rete autostradale».
(da Open)
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