INCHIESTA BARI, IL MERCIMONIO IMPRESE-POLITICA E I SOLDI NEI SACCHI DELLA SPAZZATURA
COSI’ L’ACCUSA RICOSTRUISCE IL TRIANGOLO TRA AZIENDE, TECNICI E AMMINISTRATORI
Il linguaggio utilizzato dalla giudice delle indagini preliminari è un po’ ridondante, ma chiaro: «I fatti rivestono profili di indubbio allarme sociale, alla luce del sistematico ricorso all’abuso del diritto, del mercimonio delle pubbliche funzioni piegate a vantaggio personale e privato, delle singole condotte che hanno evidenziato una grande professionalità nel pianificare, organizzare e gestire il protocollo antigiuridico monitorato». Cioè, per tradurre quest’ultimo concetto, i reati contestati.
A poco vale, prosegue la giudice, che gli indagati siano quasi tutti incensurati; hanno infatti dimostrato una propensione a delinquere — almeno secondo la ricostruzione dell’accusa — da immaginare che possano continuare a farlo (ed è il motivo per cui sono stati arrestati), come emerge «dalle accortezze utilizzate nel pianificare incontri per evitare conversazioni telefoniche», nonché dalla «entità dei danni patrimoniali cagionati alla Regione Puglia, al Comune di Bari e al buon andamento della pubblica amministrazione».
I magistrati — pubblici ministeri e gip che ne ha accolto buona parte delle richieste — descrivono un avvilente ma efficace triangolo imprenditori-tecnici-politici a sostegno di un sistema messo in piedi per assicurare soldi e «altre utilità» attraverso l’esercizio deviato del potere. In cui ogni singolo protagonista fornisce il proprio contributo. C’è il broker Cosimo Napoletano, 58 anni, incaricato di emettere le false fideiussioni assicurative necessarie a ottenere i finanziamenti pubblici, che in virtù del lungo elenco di segnalazioni e precedenti ricordati dalla giudice «appare persona stabilmente dedita al crimine ed in particolare alla commissione di frodi e falsi»; è l’unico degli arrestati finito in prigione, gli altri sono ai domiciliari.
Poi c’è «l’intermediario e faccendiere» Enzo Pisicchio, sessantenne, che di Napoletano era amico al punto da definirlo «fratello», e lo indicava agli imprenditori «per il procacciamento di polizze da utilizzare nelle procedure pubbliche», ricevendo in cambio «promesse di utilità e regalie». Ma Enzo sarebbe anche «il mandatario di suo fratello Alfonsino», ex assessore regionale della giunta Emiliano e fino all’altro ieri commissario dell’Agenzia regionale della tecnologia e dell’innovazione, nonché aspirante direttore dell’Accademia delle Belle arti.
Alfonsino Pisicchio, 63 anni, è il politico del gruppo, che in qualità di assessore «utilizzava la sua influenza politica e le sue relazioni per una gestione clientelare del suo ruolo, con favoritismi in termini di consenso elettorale (mediante assunzioni nelle imprese favorite o avvantaggiate di persone che assicurano il voto o che avevano militato anche nel suo partito)». Secondo la gip, il fratello Enzo «agiva quale esecutore delle sue direttive e schermo per impedire di risalire al suo ruolo e contributo».
Per esempio: in occasione di un evento politico organizzato da Alfonsino, Enzo sconsigliò a un funzionario del Comune di Bari di partecipare per evitare che lui e la procedura che stava seguendo in quel momento «venissero associati» all’ex assessore.
Quel funzionario è Francesco Catanese, già Responsabile unico del progetto dell’appalto per l’affidamento dei supporti alla gestione delle riscossioni, altro presunto complice del «sistema». È il tecnico «in grado di condizionare in modo significativo le varie fasi delle procedure», che nominava «persone “terze” rispetto all’amministrazione come componenti della commissione di gara per orientarne l’esito». Ripagato da un’assunzione a tempo indeterminato della moglie, la giudice ne stigmatizza «l’asservimento mostrato ai Pisicchio e a Riefoli».
Quest’ultimo è l’imprendiore Giovanni Riefoli,53 anni, del quale vengono sottolineate «la stretta relazione coi fratelli Pisicchio, la spregiudicatezza mostrata pur di ottenere benefici e vantaggi economici, la fitta rete di relazioni “influenti” nel cui ambito sono maturati gli illeciti che gli vengono ascritti».
È il terzo lato del triangolo portato alla luce dall’operazione che — terza nel giro di poche settimane, ma prima ce n’erano state altre — ha scombussolato la politica barese e pugliese. Facendo emergere, fra l’altro, ipotesi di corruzione, voti di scambio e mazzette di soldi in contanti che non mancano nemmeno stavolta: 65.000 euro custoditi in due buste e un borsello nascosto in un sacco nero dell’immondizia, trovato sul balcone di Enzo Pisicchio durante una perquisizione del 2020. Denaro «verosimilmente di provenienza illecita» al quale la giudice somma «l’assunzione fittizia» della figlia Rebecca (che nel frattempo studiava a Roma e dunque «non avrebbe mai prestato attività lavorativa»), il pagamento della festa di laurea della stessa Rebecca, un’auto di servizio e un cellulare. Tutto pagato da una società di Riefoli.
(da corriere.it)
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