“INNOVAZIONE E WELFARE SARANNO LA SFIDA ECONOMICA DI MACRON”: INTERVISTA A PHILIPPE AGHION, IL SUO CONSIGLIERE
IL DOCENTE DI ECONOMIA AD HARVARD: “PER LA CRESCITA SERVE IL MODELLO DANESE”…”MACRON ABBINERA’ MAGGIORE FLESSIBILITA ALLE IMPRESE A MAGGIORI TUTELE DEI LAVORATORI”
Philippe Aghion parla sveltissimo, gesticola come un italiano e non ama essere interrotto.
Ad Harvard – dove ora passa solo metà della sua vita da accademico – l’hanno ribattezzato «Speedy».
Con Jean Pisani Ferry è l’economista più vicino al neopresidente Emmanuel Macron. Si sono conosciuti ai tempi della Commissione Attali, il gruppo voluto da Nicolas Sarkozy per elaborare alcune proposte di rilancio dell’economia francese.
Aghion era già un famoso professore, il giovane Macron faceva l’umile mestiere dello sherpa: doveva anzitutto preparare materiale di lavoro. Aghion è a Bari per il simposio sulla crescita organizzato durante il G7 dalla Banca d’Italia.
Aghion, come sarà la Francia di Macron?
«Potrebbe somigliare molto alla Danimarca: un Paese che accetta la sfida della globalizzazione, scommette sull’innovazione ma coinvolge le persone in quel processo».
E come si raggiunge l’obiettivo?
«Bisogna conciliare ricette diverse: più competizione e meno tasse, sostegno alla ricerca di base, attenzione alla qualità della scuola. Per tutti».
È necessario sottolineare «per tutti»?
«In Francia il divario fra classi sociali è aumentato, ed è un problema molto serio. Lo status sociale determina sempre di più il successo scolastico. In molte periferie è normale avere classi con un numero altissimo di studenti. La ricetta Macron è fatta di cose molto tradizionali, come moltiplicare il numero degli insegnanti. Ma occorre avere anche il coraggio di migliorare la protezione sociale cambiandola».
In Danimarca la chiamano «flexicurity». È questo il modello?
«Occorre garantire più flessibilità alle imprese che vogliono assumere e licenziare e però aumentare le tutele ai singoli. Il rilancio del modello scandinavo è fatto di tre pilastri: politiche di sostegno all’innovazione, più scuola, più protezione sociale. Ne aggiungerei un quarto: più contrattazione aziendale, perchè il livello nazionale – in Francia come in Italia – è troppo forte».
Facile a dirsi, difficile a farsi. Il modello scandinavo è costoso, e il debito francese è ormai vicino a livelli italiani, vale quasi il cento per cento del prodotto interno lordo. Macron farà importanti tagli alla spesa pubblica?
«Ciò che conta è invertire la traiettoria della spesa. Macron cercherà di ridurre quella necessaria a finanziare i lunghi periodi di disoccupazione, le uscite dei Comuni e delle amministrazioni centrali. Il nostro modello di riforma della dirigenza pubblica è quello che applicò anni fa in Italia il vostro ministro Bassanini».
In una lezione alla Luiss questa settimana ha parlato di innovazione. Le imprese italiane e francesi condividono un problema: ne producono ancora troppo poca. Che fare?
«Il nuovo presidente vuole abbassare le tasse sui profitti delle imprese dal 33 al 25 per cento e quella sui redditi da capitale al 30 per cento: oggi in alcuni casi l’aliquota è doppia. Inoltre è intenzionato ad abolire la patrimoniale, a patto che non si tratti di rendite immobiliari: un modo per spingere il sistema ad aumentare il capitale di rischio».
L’innovazione è solo un problema di tasse?
«Non solo: in Francia c’è un serio problema di burocrazia. Le imprese – soprattutto quelle sopra i cinquanta addetti – sono costrette a troppi adempimenti. Bisogna semplificargli la vita: più semplificazione uguale più innovazione».
Tutto molto ambizioso e – insisto – costoso. Lei parla di tagli che valgono miliardi di euro.
«Prendo a esempio la Svezia: quando ebbero il coraggio di abbassare le tasse, imprese e occupazione aumentarono, e così anche le entrate fiscali. Troppe tasse uccidono le tasse, lo dice la nota curva di Laffer».
Dunque Macron chiederà all’Europa di fare più deficit?
«Macron vuole rispettare le regole. Non vuole fare più deficit, quel che conta è fare le riforme e accompagnarle con un uso intelligente della flessibilità . Quando Renzi chiedeva all’Europa di tenere conto degli sforzi del suo governo, aveva ragione».
Scusi se insisto: un modo elegante per dire più deficit.
«Nessuno ha intenzione di scappare dai vincoli di Maastricht. Occorre essere credibili, soprattutto agli occhi dei tedeschi. In Francia amiamo dire che la nostra spesa è come un millefoglie. Abbiamo trentotto sistemi previdenziali e più di cento sistemi assicurativi: un totale spreco di denaro. Lei non crede che a fronte di impegni precisi per riformare quel sistema l’Europa non conceda più flessibilità ?».
Alessandro Barbera
(da “La Stampa”)
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