INTERVISTA A LUCIA ANNUNZIATA: “MI PIACE CHE IL PD DI LETTA NON TEMA LA POSSIBILE SCONFITTA SUL DDL ZAN”
“DRAGHI? PRIMA O POI AVRA’ PROBLEMI DI SCELTE”
Lucia Annunziata, il Parlamento si divide intorno al ddl Zan, che è diventata una sorta di cartina di tornasole dei problemi della maggioranza. M5s, Leu ma soprattutto il Pd di Enrico Letta hanno deciso di voler andare a vedere le carte, che idea ti sei fatta?
Credo che Letta faccia bene a misurarsi in Aula, questo per il Pd è un tema che attiene profondamente alla sua identità, per cui è molto difficile trovare compromessi.
Ma così potrebbe rischiare una sonora sconfitta.
Il vero motivo per cui sono d’accordo con la decisione di Letta è la scelta di volersi misurare con i voti, perché mette in conto la vittoria, ma contempla anche la sconfitta. Bisogna uscire dalla logica che a sinistra ogni sconfitta sia vissuta come un dramma, il Pd ha sempre voluto evitare di perdere, e questo per anni lo ha indebolito. Letta dimostra di non aver paura degli eterni giochi di Renzi, e mi sembra che questa sia una bella novità.
Al di là delle tattiche, anche Renzi fa un discorso simile: i numeri non ci sono, proviamo a vincere in un altro modo, con un compromesso che fino a qualche tempo fa sembrava indigeribile alla destra.
Renzi utilizza le stesse modalità da tempo e su tutto, si guardi alla questione governo, ha determinato lui la permanenza di Conte a Palazzo Chigi, è stato lui a destituirlo. È un eterno tattico, e oggi quella perizia la può usare ancora al Senato, anche grazie ai parlamentari eletti con lui nel 2018, e gioca brillantemente su quei numeri. La conta è un bene anche per questo, per chiarire una volta per tutte quali siano le parti in campo.
Rimaniamo ancora un attimo sul ddl Zan: la giornalista e filosofa Ida Dominijanni, ha sempre avvertito che “non è utile pensare di compensare un vuoto politico con un pieno giuridico”.
Sono d’accordo con Ida, e a maggior ragione è così che bisogna pensare se si perde, e hai scoperto quanto retrivo sia il Parlamento. Le leggi si fanno e si disfano, nessuna sconfitta è definitiva, la legge Zan non risolve il problema in sé, il cambiamento è culturale e sociale.
Da questo punto di vista il dibattito che ha suscitato è stato ampio e ha tracimato dal Palazzo. E non penso solo a Ferragni e Fedez, ma a una discussione pubblica che nelle ultime settimane si è molto accapigliata sul tema. È stato un bene o ha contribuito solamente a polarizzare ancor più le posizioni?
È stato sicuramente molto aspro e radicale, d’altronde questi sono temi più divisivi. Penso che dall’identità sessuale, alla parità delle donne fino all’immigrazione ci sia nel paese un’impostazione culturale molto difficile da cambiare. Tu sei giovane, e non ricordi, ma nel ’74 il divorzio vinse eppure quella campagna fu una cosa incredibile e violenta: la Dc diceva che le donne sarebbero state tutte lasciate, che non si sarebbe arrivati nemmeno al matrimonio, determinò uno scontro culturale devastante. E la nostra è tutt’ora una società cattolico-conservatrice. Per questo dico: meglio essere chiari e perdere e ricominciare domani. Da Monti in poi la sinistra ha paura, paura del voto per non aprire la strada alla destra, il Pd su questo ha dato il sangue. Non si possono non fare le cose perché altrimenti vince Salvini. Se vince si ricomincia e si prova a rivincere- questa è la democrazia.
Il Vaticano, che ha suscitato polemiche per la nota contro il ddl Zan, ha ancora un ruolo così centrale nelle dinamiche della politica?
Mi limiterei a dire che sentir dire in Parlamento da un premier che il nostro è uno stato laico e dunque decide in maniera indipendente mi ha riempito il cuore.
Il ddl Zan è un po’ una cartina tornasole dello stato attuale dei partiti e delle politica?
Da Monti in poi quadro politico è incistato delle sue anomalie. Abbiamo avuto 7 governi e 6 premier, nessuno espresso da una vittoria alle elezioni politiche generali. Anche Renzi, pur con grande consenso alle spalle, arrivò a Chigi avendo solo vinto le primarie. Siamo ormai da anni in una situazione in cui il rapporto dei cittadini si è fatta flebile. Sembra una strada senza uscita.
Quali sono le ragioni principali?
Su tutte l’esplosione dei 5 stelle che hanno rotto lo schema bipolare. Ma la crisi dei partiti era preesistente, e i 5 stelle si sono nutriti anche di questo, così come per un periodo anche Renzi, per non parlare di Salvini. Ma la cosa importante da dire è che la conseguenza del nei partiti ha indebolito l’istituzione del Presidente del consiglio.
Perché pensi questo?
Perché è saltato il rapporto tra maggioranze e premier. Il baricentro si è spostato da lì, per 20 anni di bipolarismo c’erano Prodi e Berlusconi, vince l’uno o l’altro, poi siamo entrati nel kamasutra di nomine e Cencelli. Enrico Letta fu una scelta di compromesso, Renzi arrivò sull’onda delle primarie, Gentiloni fu scelto da Renzi. Poi Conte, che non aveva nulla a che fare con la politica, da avvocato fu chiamato a gestire un contratto, poi è diventato per le prima volta nella storia un presidente di due maggioranze opposte. Questo ci porta a vivere in una situazione assurda. Si sono rivelati tutti governi deboli, caduti alle prime difficoltà, alle prime elezioni magari locali.
Lo storytelling su Draghi ci descrive l’uomo giusto al momento giusto per risolvere le cose. Ma secondo quello che mi stai dicendo non è una prosecuzione dello stesso schema?
Anche se è il top gun dei tecnici prestati alla politica, questa dinamica vale anche per lui. Arriva in situazione specifica, con una missione specifica: gestire il Pnrr. La sua forza è essere stato chiamato da specialista a gestire una cosa da specialisti. Come chiamare il migliore dei chirurghi a fare una difficilissima operazione a cuore aperto. Questa è la sua forza. A Draghi è stata data in mano la ricostruzione, ma su tutto il resto? Prima o poi avrà problemi di scelte. Su Zan ha lasciato sostanziale libertà ai partiti, ma nel lungo periodo non sarà sempre così.
Intravedi le prime difficoltà?
Mi domando: che orizzonte ha Draghi? Più rimane in sella più dovrà misurarsi con scelte, consenso, rivendicazioni sociali. All’inizio ha scelto un profilo molto defilato, poi ha iniziato a parlare perché si accorto di avere bisogno di un contatto diretto con il paese. Man mano è naturale che la sua sfera d’azione politica si allarghi e presto sarà in mezzo tensioni politiche.
Pensi che possa succedere a Mattarella al Quirinale?
Cosa farà Draghi dipende da lui, le sue scelte e la sua disponibilità. Nessuno pensava che avrebbe accettato di fare il premier, quindi difficile a dirsi. Il problema è cosa si vuol fare del Quirinale?
In che senso?
Sento i discorsi su un’eventuale proroga di Mattarella in maniera poi di eleggere Draghi quando la legislatura finirà. Sono affermazioni semplicemente offensive, per questi due uomini e per noi cittadini. Il Colle è l’estrema garanzia delle nostre istituzioni, i mandati durano appositamente 7 anni per non coincidere con le legislature, perché l’istituzione non venga avviluppata dal gioco delle elezioni. Abbiamo avuto la prosecuzione di Napolitano, che lui ha sofferto perché era un uomo delle istituzioni. Accettò perché pensava che il declino dell’era Berlusconi dovesse essere gestito. Nella sua idea c’era bisogno di un periodo di raffreddamento del clima di venti anni di scontri, pensava infatti a una grande coalizione stile tedesco. Ma fu comunque una sgrammaticatura, si parlò di fallimento della politica, e in effetti il Parlamento anche in quell’occasione fallì.
E se, data la geografia dei gruppi molto frammentata, fosse impossibile ogni altro accordo?
E dovrebbe pagarlo Mattarella? Secondo me lui sa perfettamente che se l’allungamento del mandato del Presidente si ripete per due volte di seguito sarebbe un default della Presidenza stessa. Certificherebbe il collasso del sistema, anche l’ultimo organo di garanzia sarebbe prestato alla politica e non a tutela del paese e della tenuta della Repubblica. Sono discorsi che non andrebbero nemmeno fatti. I partiti si prendano le loro responsabilità. Vogliono Draghi? Lo eleggano! Oppure scelgano chi vogliono, ma non giochino.
C’è qualcosa che ti dà la speranza che alla fine non sia così? Che malgrado tutto da qualche parte si possa ripartire?
Mi piace la politica perché è l’avventura più ambiziosa degli uomini, il desiderio di auto organizzarsi, la competizione per il potere. Per sua natura la politica è sempre borderline e un po’ disfunzionale. La via d’uscita sono la chiarezza e la trasparenza. I giochi di Palazzo, se reiterati all’infinito, fanno male a chi li fa. In una dinamica non tossica le istituzioni cambiano, non sono scolpite sulla pietra, l’importante è dire la verità su quel che si fa e prendere decisioni consapevoli.
Credi che la pandemia abbia contribuito a farci arrivare dove siamo arrivati?
È stata un acceleratore delle debolezze del sistema. Ma l’impatto più importante che ha avuto è sulla percezione che il mondo occidentale ha di sé, segnalandoci che non è vero che la scienza ha sconfitto tutti i pericoli per la società umana. La pandemia ha distrutto la convinzione che l’uomo fosse ormai al sicuro dalle malattie infettive globali. Oggi la medicina, la società sono più forti che in passato, ma il virus ci ha fatto immaginare che la vita umana è ancora a rischio di essere sradicata dal pianeta. Questa grande paura è tornata per restare, e ci obbliga a porci dilemmi che impattano sulla vita quotidiana: il lavoro, la famiglia, le interazioni in comunità. E dilemmi etici: i vaccini, i paesi poveri e non poveri, la situazione in Africa, quelle in India e Brasile. È uno scenario che impatta anche sulla geopolitica, e lo farà a lungo. Questa sensazione di precarietà continuerà a scavare e a incidere, anche nel nostro paese. Nella pandemia siamo entrati come guerrieri invincibili e ne siamo usciti con cuore tremante. Anche per questo la politica deve essere forte, perché il mondo si è fatto più debole.
Da dove si riparte?
Teniamo presenti tre elementi: il top gun delle riserve della Repubblica chiamato al Governo, il Pnrr e l’uscita della pandemia, il rinnovo del Quirinale: sono la tempesta perfetta. Dalle decisioni che prenderemo, capiremo che direzione prenderanno il Parlamento, le istituzioni e la società che avremo nei prossimi anni.
(da Huffingotnpost)
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