INTERVISTA A VALENTINA PAZE’, DOCENTE DI FILOSOFIA POLITICA ALL’UNIVERSITA’ DI TORINO: “SIAMO UNA REPUBBLICA DI NON RAPPRESENTATI”
“A NON VOTARE SONO SOPRATTUTTO I POVERI”… “CI SONO SEMPRE PIU’ PERSONE, GLI STRANIERI SENZA CITTADINANZA, CHE SONO DI FATTO SUDDITI”
“La questione ambientale? È una questione politica. Non basta dire: ‘Ascoltiamo gli scienziati’. Gli scienziati ci spiegano le conseguenze dell’innalzamento delle temperature, ma come affrontare la crisi, come ripartire i costi sociali della riconversione ecologica, è una questione politica, come si vede durante le Conferenze mondiali sul clima, dove i Paesi meno industrializzati, che finora hanno dato un contributo minimo all’inquinamento globale, pretendono giustamente che l’Occidente si assuma le sue responsabilità”. Valentina Pazé insegna Filosofia Politica all’Università di Torino. Nel suo ultimo libro, I non rappresentati. Esclusi, arrabbiati, disillusi (Gruppo Abele edizioni), spiega come la nostra democrazia di fatto tagli fuori parti sempre più significative della popolazione: da chi sceglie di non votare a chi non viene rappresentato a causa dei meccanismi elettorali, dagli stranieri alle donne e, infine, ai giovani e alla natura. L’ossessione verso la governabilità, infatti, spinge la politica verso leggi elettorali che, mentre esautorano il Parlamento, sono sempre meno in grado di rappresentare la società. “Una tendenza che non riguarda solo il nostro Paese e che genera sconcerto e preoccupazione”, afferma Pazé.
Nel suo libro lei spiega come questa tendenza venga da lontano.
Sì, è dai primi anni Novanta che la crisi della democrazia italiana viene interpretata come un problema di governabilità, anziché di rappresentanza. Di qui tutta una serie di progetti di riforma, in parte falliti in parte riusciti, ispirati a un modello di democrazia decisionistica, che penalizza le assemblee rappresentative a tutto vantaggio di esecutivi monocratici. Si pensi all’elezione diretta dei presidenti di Regione, con leggi elettorali estremamente distorsive della volontà degli elettori.
Lei critica anche l’attuale sistema Rosatellum. Che, tra l’altro, di fatto esclude anche le donne.
Il Rosatellum ha tanti difetti. Il principale è la forte componente maggioritaria che fa sì che parti consistenti del corpo elettorale non riescano a eleggere nessuno che parli in nome loro nelle istituzioni (tanto più dopo la riduzione del numero dei parlamentari). Le liste bloccate, inoltre, non danno la possibilità ai cittadini di dare indicazioni sulla linea politica. Quanto alle norme sul riequilibrio di genere, possono essere aggirate. Grazie alle pluricandidature, se una candidata “forte”, destinata a risultare vincente in un collegio uninominale, viene contestualmente schierata al primo posto in altri cinque collegi plurinominali, lo scorrimento delle liste andrà a vantaggio dei candidati uomini che si trovano dietro di lei.
Assolutamente negativa, secondo lei, è la proposta di premierato di Meloni.
È una proposta che ci condurrebbe a un sistema unico al mondo, né presidenziale né parlamentare. Si dice che il presidente della Repubblica conserverebbe i suoi poteri, ma di fatto dovrebbe dare l’incarico al premier investito dalle urne, che si troverebbe a governare con una maggioranza gonfiata artificialmente dalla legge elettorale, facendo venir meno ogni dialettica tra Parlamento e governo.
Anche il Parlamento europeo, lei scrive, non è rappresentativo.
Sono le istituzioni dell’Ue, nel loro complesso, a essere scarsamente rappresentative. Il Parlamento è eletto con il sistema proporzionale, ma non ha i poteri normalmente attribuiti ai Parlamenti. La questione è tanto più acuta quanto più aumentano i poteri esercitati dall’Europa.
Il grande problema di oggi sono gli astenuti.
Gli studi distinguono due categorie, i “protestatari”, che esprimono un non voto consapevole, e coloro che si astengono per stanchezza, disinteresse, ignoranza. È difficile in realtà rilevare le motivazioni di chi non si esprime. Ciò che è preoccupante è constatare che a non votare sono soprattutto i più poveri: alle ultime amministrative tra gli elettori a basso reddito solo il 28 per cento è andato a votare contro l’80 per cento dei benestanti. Il voto non è più percepito come un veicolo di riscatto sociale e di emancipazione. Un paradosso, se si pensa che i poveri in passato erano formalmente esclusi dal voto e il superamento delle barriere censitarie è stato possibile solo a costo di grandi battaglie democratiche.
Poi ci sono invece le persone istruite che votavano e oggi non più.
Molti si sentono “ricattati” da sistemi elettorali che li obbligano al “voto utile”. Ma la protesta non prende solo la strada del non voto. C’è chi scende in piazza: da ultimo il movimento dei trattori, che si esprime nella forma del “tumulto”, o “riot”, tipica di un’epoca in cui non esistevano partiti e sindacati a organizzare le proteste. Anche questo è preoccupante. Di fronte alle manifestazioni dei trattori o a quelle, molto diverse, di Friday for Future o Extinction Rebellion, la classe politica non sa fare altro che cedere (ai trattori) o reprimere (gli ambientalisti). Si tratterebbe invece di ascoltare le domande che vengono dalla società, ma anche di articolarle e mediarle.
Capitolo stranieri: non rappresentati, dice lei, e senza nessuna ragione.
La reinterpretazione in senso etnico-nazionalistico della rappresentanza è da respingere. Ci sono sempre più persone – gli stranieri senza cittadinanza – , che sono di fatto suddite, nuovi meteci, quando i principi della democrazia richiedono che chi subisce le conseguenze di una decisione dovrebbe contribuire alla sua assunzione. Al contrario, oggi votano i cittadini all’estero, nonostante non siano tenuti a osservare le leggi che contribuiscono a creare.
Infine, appunto, c’è la questione della natura non rappresentata e dei giovani.
Il problema del clima si intreccia con quello delle nuove generazioni, più esposte alle conseguenze del disastro ambientale. Oggi c’è chi propone di superare l’ottica antropocentrica, riconoscendo non solo gli animali, ma anche i mari, le montagne, i laghi, come soggetti di diritti. Il progetto della Costituzione della Terra di Luigi Ferrajoli, invece, senza attribuire personalità giuridica a entità naturali, propone di sottrarre alcuni “beni fondamentali” alla disponibilità delle maggioranze e del mercato, istituendo una forma di demanio planetario. Gli strumenti giuridici possono essere diversi, ma la responsabilità è, ancora una volta, politica: si tratta di stabilire un argine al capitalismo.
Ma se la politica non fa nulla, che fare?
La frustrazione è molto grande in chi vorrebbe cambiare le cose. In questo contesto sono comprensibili alcune fughe in avanti, verso nuove forme di democrazia, come quella basata sul sorteggio a cui sembra guardare oggi con favore, tra gli altri, Extinction Rebellion. A me queste soluzioni, che lasciano del tutto fuori i partiti, lasciano perplessa. Proprio perché la sfida ambientale è enorme, il processo di acquisizione di una coscienza ecologica deve essere diffuso, non può riguardare un piccolo gruppo di cittadini selezionati per sorteggio. Dall’altra parte ci sono modalità più classiche di partecipazione: penso in questo momento, ad esempio, alle mobilitazioni degli studenti e delle studentesse all’università. Ciò che è preoccupante – lo ripeto – è la disconnessione tra queste forme di mobilitazione e le istituzioni rappresentative. Credo che un ponte debba in qualche modo essere costruito.
(da ilfattoquotidiano.it)
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