INTERVISTA AD ANDREA ORLANDO: “NON ESISTONO SEPARAZIONI CONSENSUALI”
E SULL’INTESA CON IL M5S PER LE REGIONALI: “SI RAGIONERA’ CASO PER CASO, BONACCINI IN EMILIA NON SI TOCCA”
Un ultimo appello, prima che sia troppo tardi: “Non esistono separazioni consensuali. In queste cose si sa come si inizia ma non come si va a finire”.
Andrea Orlando, in una lunga conversazione con l’HuffPost, affronta il nodo scissione. E i rischi per il Governo e per il Pd: “Anche a Renzi conviene stare dentro per rappresentare il Nord”.
E sull’alleanza in Umbria e nelle regioni dice, con prudenza: “Si valuterà a livello locale. Bonaccini non è in discussione”. L’alleanza Pd-M5S? “Non è il nuovo centrosinistra, non rinuncio alla vocazione maggioritaria”.
Orlando, mi pare che il dado sia tratto. Renzi se ne andrà . Lei è d’accordo a una “separazione consensuale”? Ognuno per conto suo, così si litiga di meno…
Ma no, assolutamente no. Non esistono separazioni consensuali in politica. Si inizia sempre col dire “lasciamoci così senza rancore”, ma poi immediatamente si apre una competizione nello stesso campo politico, che ha due effetti collaterali. Il primo è indebolire il Governo.
Perchè Renzi si metterà a fare una specie di Salvini centrista, turbo-riformista, insomma tira la corda al limite.
Eviterei il paragone con Salvini, ma è chiaro che sarebbe costretto a radicalizzare le posizioni e questo non può che avere delle conseguenze sulla stabilità , sulla coesione e anche sull’immagine stessa del Governo.
Poi, diceva, c’è il secondo effetto collaterale della scissione.
Altrettanto deleterio. Che quello di cadere nella tentativo di fare la caricatura alla forza politica che si lascia. Ora, francamente senza polemica, ma ho letto alcune motivazioni addotte oggi:: sembra che parlino non del Pd di oggi che ha fatto i conti, da tempo, con il mercato, con la globalizzazione, con la centralità dell’impresa, ma del Pci del ’48. Che pure già si poneva il problema della crescita e dei ceti medi. Questo tentativo di caricatura trovo che sia ancora più insidioso.
Però Orlando, c’è chi questa prospettiva la teorizza. Bettini, ad esempio, è tra i fautori di un ritorno allo schema Ds e Margherita, in versione 2.0: tu fai il centro, noi la sinistra, poi ci alleiamo.
Non sto tra quelli che la teorizzano, nè mi convince pienamente questa teoria. Per una ragione, direi, elementare. Nè i Ds nè la Margherita sarebbero adatti ad affrontare le grandi sfide successive alla crisi del 2008. Se è vero quello che ci siamo detti in questi anni sulla crisi democratica che ha generato il populismo, sulla rivolta contro l’establishment, faccio fatica a sostenere che con categorie vecchie si possa stare in questo mondo nuovo. Oggi la lotta alla disuguaglianze, che è il vero terreno su cui ci giochiamo tutto, non si fa con vecchi arnesi, patrimoniale ed evocazione romantica della classe operaia. E riguarda quel ceto medio impoverito che un tempo era la base elettorale del mondo moderato. È tutto più complicato….
Però si avverte questo richiamo al “come eravamo”.
Ed è sbagliato perchè come eravamo non lo siamo più. Stenterei a definire il Pd come i Ds: Franceschini, Gentiloni, Delrio o Guerini non vengono da una tradizione anche solo lontanamente laburista. Capisce quando parlo di caricatura e il rischio di questa operazione? Quando invece noi abbiamo il dovere, a partire da ciò che siamo, di innovarci anche nell’elaborazione.
Lei è vicesegretario del Pd. Ma perchè Renzi se ne va?
Se fosse vero sarebbe una delle cose più incomprensibili della storia politica recente. La scissione di Livorno si fece sulla rivoluzione d’Ottobre, quella di Palazzo Barberini sul fronte popolare, Bertinotti sul no alla svolta di Occhetto. Siamo nelle scissioni post-moderne.
Neanche Leu ruppe su una frattura epocale
Ecco appunto, un precedente quasi incomprensibile quanto questo. Ma questa lo è ancora di più, perchè allora si era alla vigilia di una sconfitta annunciata. Qui invece si compie alla vigilia di una fase nuova che Renzi è stato il primo a volere per fermare Salvini. E aggiungo: giustamente, come si è visto a Pontida dove non è stato risparmiato neanche il capo dello Stato a cui fa tutta la mia solidarietà .
Oltre a un generico appello, cosa dice a Renzi affinchè si fermi?
Dico che sarebbe un errore politico, perchè si sa come si inizia ma poi in questi casi non si sa come va a finire ed è difficile recuperare, anche perchè inevitabilmente si scatenano le tifoserie. Questa operazione fa male alla sinistra e fa male anche a Renzi. Perchè in una coalizione dove c’è il tema della rappresentanza del Nord produttivo e dell’impresa innovativa, la forza che Renzi potrebbe avere nel Pd è enorme, ponendosi come garante di quel mondo dentro una forza politica che ha una funzione politica. Quale è la funzione che può svolgere un nuovo partito rispetto a questo tema, se non indebolire il Pd proprio nel momento in cui abbiamo iniziato un esperimento difficile con una forza che ha ancora connotazioni populiste che uniti possiamo contenere?
È il proporzionale, bellezza. È chiaro che quel meccanismo agevola le scissioni. È come combattere il fascismo proponendo la Repubblica di Weimar: frammentazioni, coalizioni litigiose, governi deboli.
Non do per scontato il ritorno al proporzionale. Va fatta una legge che aiuti a evitare che il taglio dei parlamentari sacrifichi le forze minori e i territori meno popolati. Ma non mi appendo a un modello. Le leggi hanno una funzione ortopedica, ma non fanno le coalizioni, il vero tema è quello della capacità di far convivere le culture.
Ecco, la convivenza. Vedo che in parecchi nel suo partito hanno applaudito al modello umbro di convivenza. Di Maio propone una alleanza tutta civica.
È una base. Ma va verificato territorio per territorio. A livello locale l’argomento Salvini non è sufficiente, ma va irrobustito ancor di più da una solida base politico-programmatica e va discusso con i dirigenti del territorio.
Non ho capito. Va bene per l’Umbria però non è un modello universale? Detta in modo esplicito: in Emilia c’è Bonaccini e non si può rinunciare al governatore uscente?
Diciamo che le due esperienze si incontrano più facilmente su un terreno neutro come l’Umbria, però non penso che questo esaurisca il tema. Nè in Umbria nè altrove perchè, dopo quello che si è detto in questi anni, anche un programma “terzo” va discusso. E comunque, per rispondere alla sua domanda, non c’è nè un modello nazionale nè un modello umbro. E non credo che la via sia rinunciare a Bonaccini e alle esperienze di buon governo.
Vedo che lei è molto attento a non fare fughe in avanti. Però, con franchezza, a me pare che il suo partito sia incastrato in una dinamica che non controlla più. Per paura di perdere le elezioni, fa il governo e rinuncia alla discontinuità , in Umbria dice sì a Di Maio che parla a voi come a una banda di ladri.
Mi pare eccessivo.
Mi pare che siamo dentro lo schema caro a Marco Travaglio: il Pd come forza da destrutturare nell’alleanza con i Cinque Stelle hanno che hanno una forza rigeneratrice.
Non è così. È chiaro che il Pd vince se cambia i Cinque Stelle e se contiene le pulsioni antipolitiche ancora forti di quel movimento. Ma quella possibilità si gioca sulla capacita di cambiare noi stessi. E sulla capacità di stare un passo avanti sui temi su cui c’è possibilità di intesa in partenza, come diseguaglianze e sostenibilità . Dobbiamo cioè giocare una partita all’attacco.
Finora è stata in difesa. Dove è la discontinuità politica, “sentimentale” per dirla con Gramsci, di uomini?
Io starei al programma che in larga parte è la proiezione del nostro piano per l’Italia e non mi pare di poco conto. Lì si misura la capacità egemonica senza spocchia e senza subalternità . E anche la compagine di governo è fortemente rinnovata, dal Pd ai Cinque Stelle.
Non voglio fare del qualunquismo ma gira su whatsapp un collage di video di quello che è stato detto in questi anni. È esilarante: Renzi che doveva lasciare la politica ora si allea con quelli che dicevano “partito di Bibbiano” e voi che dicevate “mai con i Cinque stelle”. Ora si cambia e si rimuove quel che è accaduto, senza tante analisi e autocritiche.
Non c’è dubbio che noi paghiamo i popcorn, un anno in cui invece di distinguere i 5 stelle dalla Lega li abbiamo troppo spesso accomunati. E oggi il tornante storico ci impone una nuova direzione con un oggettivo deficit teorico. Però è importante che le due questioni sulle quali costruiamo una convergenza più naturale sono quelle sulle quali la sinistra avrebbe comunque dovuto fare i conti in modo radicale: sostenibilità ed eguaglianza sociale.
Resta che abbracciate una nomenklatura dei Cinque stelle che ha fallito in questo anni gialloverde.
Questo passaggio ci consente un’operazione che dall’opposizione sarebbe stata più lunga. Ci costringe a fare i conti con le nostre stesse lacune. Per giocare all’attacco e non in difesa.
Il quadro è cambiato. Fino a un mese fa parlavate di ritorno al bipolarismo, vocazione maggioritaria sulla crisi dei 5 stelle. Ora siamo in un assetto tripolare. Se l’esperimento funziona quella tra Pd e 5 stelle sarà una alleanza organica? Un nuovo centrosinistra?
Io non rinuncerei alla vocazione maggioritaria, anche in un polo in cui c’è alleanza con i 5 stelle. Nè vedo questa alleanza come il nuovo centrosinistra, ma come una esperienza di metamorfosi. Perchè credo che il Pd non debba rinunciare a costruire un nuovo centrosinistra di profilo europeo, sapendo che siamo con dei compagni di viaggio che possono cambiare noi e noi possiamo cambiare loro, ma non è detto che questo evolva in una alleanza politica stabile.
Ultima domanda. Perchè non è entrato al governo?
Perchè era giusto evitare che ci fosse mezzo governo Gentiloni e mezzo governo Salvini-Di Maio. E perchè la sfida si gioca nel ricostruire il partito nel rapporto con la società . Adesso il tema dei dirigenti locali non è chiedere appuntamento al sottosegretario, ma agli imprenditori in difficoltà , agli insegnanti, ai lavoratori e con loro andare a parlare con i sottosegretari per risolvere le questioni.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply