INTERVISTA ALL’ARCHITETTO RENZO PIANO: “HO VOTATO MACRON E SONO CONTENTO CE L’ABBIA FATTA”
“ESISTE UNA FRANCIA SCONTENTA, IN RIVOLTA. RICORDATE I GILET GIALLI? MACRON SBAGLIÒ AD AUMENTARE LE ACCISE SUL GASOLIO. AI POLITICI MANCA L’ADESIONE AL TERRENO. BISOGNA FICCARE IL NASO DAPPERTUTTO, ANCHE NEI LUOGHI DIFFICILI”
Renzo Piano, senatore a vita, architetto da oltre cento edifici pubblici in ogni continente, a Parigi ha costruito il Beaubourg, il Palazzo di Giustizia, la nuova sede dell’École Normale Supérieure, e ora sta costruendo il nuovo ospedale, l’Hopital du Grand Paris. Ha la doppia cittadinanza, italiana e francese.
Senatore, ha votato?
«Sì. Macron, e sono sollevato che ce l’abbia fatta. Ma sono anche preoccupato».
L’estrema destra antieuropea non è mai stata così forte.
«E io mi sento profondamente europeo. La Francia è la mia seconda patria. Nel 1968 partii da Genova per Londra con le valigie sul tetto, la mia ex moglie e due figli piccoli; e nel 1971 ero già a Parigi. La Francia è sempre stata un Paese accogliente, e questa città in particolare. È una metropoli del Nord, ma la sua anima è latina. Parigi mi ha adottato. Ciò non toglie nulla alla mia italianità e alla mia mediterraneità: la luce è fondamentale in tutti i miei progetti».
La destra radicale di Marine Le Pen ed Eric Zemmour si basa proprio, sia pure con toni diversi, sul rifiuto dello straniero.
«Ma la Francia da sempre integra chi viene da fuori. I più grandi artisti del Novecento arrivarono a Parigi dall’estero: Picasso dalla Catalogna, Modigliani da Livorno, Brâncusi dalle foreste romene. E poi gli italiani: Umberto Eco e Paolo Conte li ho conosciuti qui a Parigi; Rossellini realizzò la sua ultima opera al Beaubourg; Italo Calvino veniva spesso nel cantiere. Lo stesso faceva Mario Vargas Llosa a Berlino, a Potsdamer Platz: del resto, gli scrittori nutrono una gelosia profonda per gli architetti, che costruiscono cose; e gli architetti sono gelosi degli scrittori, che costruiscono mondi».
Come spiega allora il risultato di domenica scorsa, con la Le Pen battuta ma mai così vicina all’Eliseo? Dove ha sbagliato Macron?
«Non dimentichiamo che esiste una Francia scontenta, in rivolta. Ricorda i Gilet gialli? Macron sbagliò ad aumentare le accise sul gasolio. A Parigi quasi nessuno ha la macchina; ma la Francia è anche un Paese rurale, ci sono persone che fanno 60 chilometri in automobile tutti i giorni per andare al lavoro».
C’è una frattura tra la Francia urbana e quella profonda.
«Sì, ma non è solo quello. Ai politici manca l’adesione al terreno. Bisogna ficcare il naso dappertutto, anche nei luoghi difficili, nelle situazioni drammatiche. Devi chiederti se ha ragione non Marine Le Pen, ma il suo elettorato; e ci sono ragioni che ti balzano agli occhi. Devi andare sul posto e poi scavare, grattare, finché non trovi il genius loci, l’anima del luogo. Altrimenti ti rifugi nell’Accademia, i posti dove politici, scrittori, architetti si parlano tra loro e si convincono di essere i migliori del mondo».
Cosa significa aderire al terreno?
«Se devo costruire un ospedale a Komotini, al confine tra Grecia, Bulgaria e Turchia, vedo che il posto è pieno di foreste, e lo faccio in legno. Ma se devo costruirlo in Uganda, mi chino a terra, prendo in mano l’argilla e la mostro al mio committente, Gino Strada. “Voglio un ospedale scandalosamente bello”, disse Gino. Così lo feci in argilla. A New York di fronte alle acque dell’Hudson ho ripensato il Whitney Museum come un vascello di vetro e acciaio. Ad Amiens ho puntato il binocolo e orientato la nuova università in direzione della guglia della Cattedrale gotica».
Amiens è la città di Macron. Come lo giudica?
«Non so valutarlo appieno, conosco meglio sua moglie Brigitte. Però penso che sia un politico sincero. Che creda davvero al dialogo, all’inclusione».
I politici mentono. Sempre.
«No. La sincerità è fondamentale in politica, che è l’arte più sublime e straordinaria: l’arte della polis, di governare il bene pubblico. Ce lo siamo detti con Liliana Segre, passeggiando sottobraccio in Transatlantico, nei giorni della rielezione di Mattarella, e conversando sulla nobiltà della politica. Dovremmo ripristinare il giuramento degli antichi ateniesi: “Giuro di restituirvi la città più bella di come mi è stata consegnata”. E per i greci il concetto di bello includeva quello di buono. È la stessa cosa che intende Dostoevskij, quando fa dire al principe Mishkin che la bellezza salverà il mondo. La bellezza non è solo un fatto estetico; non a caso diciamo bella persona, bella idea. Purtroppo l’idea di bellezza ce l’hanno rubata. Oggi è sinonimo di cosmesi, di centro estetico».
La bellezza assoluta esiste?
«È come l’uccello del Paradiso: inafferrabile. È come Atlantide: non c’è; ma bisogna cercarla. Poi magari, sia pure solo per un momento miracoloso, la si trova».
La Francia di oggi è più bella di cinque anni fa?
«Secondo me, sì. Lo è anche l’Europa».
Macron diventerà un giorno il primo presidente eletto degli Stati Uniti d’Europa, come sogna?
«È una possibilità. L’Europa è il nostro futuro, e Macron la sente molto. Ha creato una dinamica, insieme con la Germania, con Draghi».
Ma l’Europa è divisa. Tra una nazione e l’altra. E al suo interno: centro contro periferia, città contro provincia.
«L’Europa è un’immensa città diffusa. Il contrario di città non è campagna, è deserto; e in Europa trovi tutto, metropoli e borghi, boschi e fiumi, campi e mari, tranne il deserto. In tutto il continente non esiste un posto da cui non si possa raggiungere in un’ora un ospedale, una sala per concerti, una biblioteca. Ogni 150 metri c’è la fermata di un tram, ogni 300 di una metropolitana; ogni dieci chilometri c’è una stazione, ogni 150 chilometri una stazione dell’alta velocità».
I centri storici però si stanno svuotando.
«È vero. Anche qui a Parigi, come nel centro di Roma, di Firenze, di Venezia, vedi tante case con le finestre spente. Perché sono “case trofeo”: acquistate da miliardari che magari ci vengono una volta ogni due anni. Il punto è riportare in centro chi ama la musica, i libri, la pittura, costruendo auditorium, centri di ricerca, musei. E anche riportare in centro il lavoro, l’artigianato, la scienza, i mestieri d’arte».
Cosa prova di fronte alle immagini della guerra in Ucraina?
«Mi rattrista profondamente. Io sono un costruttore di pace: un genere un po’ speciale di pacifista non sedentario. E sedentario Gino Strada lo era ancora meno».
Com’era Gino Strada?
«Lui combatteva contro la guerra. Era un uomo battagliero. Come cantava il mio amico Fabrizio De André, anch’ io mi sento “figlio di un temporale”. Sono del 1937».
Cosa ricorda della Seconda guerra mondiale?
«I suoni. Le sirene, i bombardamenti: ancora adesso, quando sento passare sulla testa più di un aereo, mi si gela il sangue. Ma mi ricordo soprattutto il Dopoguerra, e quella meravigliosa sensazione di assistere a un mondo che cambiava in meglio ogni giorno. Ogni giorno il cibo era più buono, mia madre più serena, le strade più pulite. Ogni giorno ti allontanava dall’orrore e consolidava la pace».
Lei ha lavorato anche in Russia, per committenti privati. Perché Putin ha invaso l’Ucraina? Perché ha commesso insieme un crimine e un errore?
«Quando costruisci una realtà parallela, finisci per crederci. Putin è vittima della sua stessa propaganda. Perché dopo un po’ non ti rendi più conto che la propaganda è menzogna. Rinunci a esplorare il terreno, e ti chiudi nell’Accademia di cui parlavamo, quella in cui tutti si danno ragione».
Putin ha davvero ancora molto consenso?
«Anche una parte dei russi è vittima della propaganda. Ma non dobbiamo sottovalutare il popolo russo. Ripenso agli occhi dei cittadini di Mosca: sono pieni di vita. Al Cern di Ginevra lavorano insieme mille russi e trecento ucraini: la guerra per loro è una tragedia; ma per il mondo loro sono una grande speranza».
Lei all’inizio della pandemia disse al «Corriere» che il prezzo più alto l’avrebbero pagato i giovani.
«Purtroppo è stato così. Altro che smart working: bisogna lavorare insieme, giovani e anziani, e giocare al ping-pong delle idee. Nessuna idea geniale è mai stata partorita da un uomo solo. Io ti getto la pallina, l’idea, e tu me la rimandi con un altro taglio, un altro effetto».
E lei, quando lascerà ai giovani?
«Io ai giovani ho dato molto, dai giovani ho preso moltissimo. E per finire in bellezza il mio sogno è morire in un cantiere. Sono posti meravigliosi».
(da Il Corriere della Sera)
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