IO CANDIDATO ALLE PARLAMENTARIE M5S: DIARIO DI UNA PARTITA ALLA “ROULETTE ROUSSEAU”
UNA SETTIMANA TRA PIATTOFORME ONLINE, PROCURA E VOTAZIONI… MA I NUMERI SONO ANCORA IGNOTI E LA CERTIFICAZIONE E’ UN MIRAGGIO, NESSUN CONTROLLO TERZO SULLE VOTAZIONI
Ci ho provato, ma è andata male. Ho partecipato alle Parlamentarie del Movimento 5 Stelle, la selezione “punta e clicca” dei candidati alle prossime elezioni politiche, tutta rigorosamente online sul sito di Rousseau.
Una carriera politica nel 2018 può iniziare dallo smartphone, in una sorta di “gioco della politica” in cui si puntano una cinquantina di euro (il costo di certificati penali, bolli e raccomandate) con la possibilità di vincere una candidatura e forse un posto in Parlamento.
Visti i numeri dei partecipanti e i posti disponibili, è una scommessa più invitante che comprare 25 gratta e vinci da due euro.
E poi c’è l’impegno verso il Paese come motore primario, non scherziamo, non è che si va in Parlamento a pascolare.
Parlamentare fai-da-te, perchè no? Verificata la volontà di impegno con un serio esame di coscienza, e la presenza di qualche pur vago appunto politico nel bloc notes personale, decido di giocare alla “Roulette Rousseau”.
Subito dopo aver ricevuto le istruzioni su come autocandidarmi, viste le finestre strette dei tempi utili, prenoto i certificati penali richiesti su un sito di pratiche e contemporaneamente li prenoto sul sito del casellario giudiziale.
Per una volta la burocrazia è più veloce dell’online e nel giro di un paio di giorni vado in procura a ritirare il certificato penale e quello dei carichi pendenti.
Entrambi per fortuna “puliti”, altrimenti avrei dovuto allegare un altro modulo e probabilmente non ce l’avrei fatta a consegnare tutto entro il 15 gennaio.
Spesa complessiva per i certificati e la raccomandata (compresi quelli di “backup”) circa duecento euro.
Molto meno dei trentamila richiesti da Forza Italia, finora mi è andata alla grandissima.
E’ una prima fase molto “analogica” per un movimento che punta così tanto sul digitale ma , il comitato elettorale ha voluto i certificati in formato cartaceo e per raccomandata. Sarebbe bastato un Pdf chiuso e autenticato spedito via Pec, per ridurre tempi e costi.
Ma al M5s hanno deciso che le candidature dovevano andare col piccione viaggiatore anzichè alla velocità della luce. A volte la lentezza ha i suoi innegabili vantaggi, ma in questo caso forse no.
Dopo aver inviato i documenti richiesti, apro una pagina Facebook apposita in cui enuncio visioni ed intenzioni, ed interagisco con la gente, altri esseri umani perduti nel dominio digitale.
Il primo risultato mi lascia interdetto e ammaliato: è il raggiungimento della perfetta par condicio dell’odio online, essendo contemporaneamente insultato dai grillini (“servo di Repubblica”, e come ti sbagli) e dai piddini (“Vaneggi? Il M5S è una cloaca”, uno dei meno astiosi).
Come in una battaglia tra moderni oriazi e curiazi dei social, che però se ci capiti in mezzo e non identificano bene chi sei, nel dubbio menano. Pochissime le posizioni bilanciate: “Leggo i commenti e rimango basita” scrive l’utente Augusta, e mi rassereno un po’, in questa guerra civile elettronica.
Con qualche utente della pagina riesco a stabilire una conversazione civile, dopo aver superato una sorta di “firewall” fatto di paura, diffidenza, fede e appartenenza. Una miscela effettivamente pesante.
Il 15 gennaio è il giorno X per lo spoglio, apro Rousseau e, sorpresa, ci sono: risulto candidato al Senato.
Grillo e Di Maio non mi hanno masticato e vomitato, almeno non per ora, c’è sempre tempo. Un po’ li capisco perchè molti colleghi stanno antipatici pure a me. E poi possono farlo perchè – si è visto con le estromissioni di candidati a ciel sereno – hanno diritto imperiale di veto e di voto su chi si presenta.
Sul sito però per votarmi però bisogna cercare bene, tra i giornalisti, oppure per fascia d’età , muovendosi su pagine web che evidentemente non sono strutturate adeguatamente per eventi di questo tipo e di questa complessità .
Quella che in linguaggio tecnico si chiama “interfaccia utente”, ovvero la parte del sito che permette alle persone di interagire, non restituisce un’esperienza ottimale di selezione. E’ confusa e farraginosa e insomma, il web design abita decisamente altrove, ma del resto Rousseau è costruito su Movable Type che nasce come piattaforma per i blog, e nella gestione di elezioni online fatica in modo evidente.
E quando un essere umano deve interagire con una macchina, capire subito come funziona il sistema è fondamentale per usarlo al meglio.
Comunque riesco a votarmi (e so che ci è riuscito anche qualcun altro), premendo un pulsante sotto la mia faccia e confermando il voto. Un po’ come girare la ruota della fortuna. Lo si può fare una sola volta per candidato ovviamente, e il tutto sembra proprio un gioco. Nei fatti non è successo ancora niente, ma nella mia testa già sto accendendo un mutuo per quella casa al mare che ho visto l’estate scorsa e già vedo l’immobiliarista che mi accoglie con un “Buongiorno senatore”.
Seguendo le regole del M5s insomma mi sono autocandidato e autovotato con una decina di clic sullo schermo e un video su Youtube. Che ci piaccia o meno, il futuro sarà (anche) così.
Addio volantinaggi al freddo e noiose scuole politiche, per poi fare se va bene anni da portaborse precario: benvenuto parlamentare istantaneo o almeno candidato, e anche con un certo divertimento. E’ un processo che si chiama gamification (possiamo tradurlo con “giochizzazione”), il portare le dinamiche del gioco in contesti completamente differenti. La tecnologia ha portato le sue categorie ovunque, anche nella vita pubblica. Così, provare a diventare deputato o senatore non è troppo diverso da mettere un “mipiace” o mandare un messaggio su WhatsApp. Ti iscrivi alla piattaforma del M5s, carichi foto e documenti, scrivi chi sei e da dove digiti, cosa pensi e cosa vuoi.
Ma la trasparenza e l’entusiasmo purtroppo finiscono qui. Anche se dopo aver seguito le regole che garantiscono il Movimento, mi aspetto che ce ne siano altre che garantiscano me.
Ovvero, che il sistema di voto online su Rousseau sia certificato da un ente terzo ed esterno a Grillo, a Casaleggio e all’Associazione che gestisce il tutto.
E’ un punto su cui non si può derogare perchè è a monte della regolarità di tutto il processo.
A meno che le Parlamentarie non siano solo un giochino, ci deve essere un agente indipendente che dica a chi vota e a chi partecipa come sono andate le cose.
Ossia che dichiari la regolarità o meno del voto, che verifichi l’integrità del database, che dica che i numeri sono effettivamente quelli riportati a fine spoglio e che non ci siano state intrusioni esterne nel sistema.
Però questo ente non c’è, o meglio non c’è più: lo stesso M5S si era avvalso in precedenti tornate digitali della certificazione di aziende esterne come la Dnv.
Tra l’altro oggi questo tipo di procedimenti passa anche attraverso la blockchain, ovvero il sistema di funzionamento, inviolabile, delle criptomonete come il Bitcoin. Insomma gli strumenti ci sono.
Non utilizzarli significa azzerare a prescindere il valore delle Parlamentarie, anche in assenza di qualunque tipo di possibile manomissione. Oltre ad una certa mancanza di riguardo per chi si candida e pure per chi vota.
Senza certificazioni indipendenti, nel grande gioco online delle Parlamentarie non saprò mai se la mia aspirazione è sfumata per effettiva volontà degli elettori, per un attacco hacker, perchè un sistemista magari è impazzito, perchè qualcuno ha gestito male la piattaforma, o perchè magari si diverte a spostare i contenuti del database.
Non sarà così, ma d’altro canto io non ho le certezze che dovrei avere, ed è un grande rammarico.
Posso pensare che sia tutto regolare ma anche che non lo sia affatto. O anche arrivare – legittimamente – a credere che magari non ci fosse un vero sistema di voto dietro quei bottoncini da premere e che in realtà le liste fossero già pronte.
O forse no, i candidati sono stati votati realmente. Voglio credere alla seconda possibilità , ma non avrò mai la certezza.
Mi devo fidare e nello specifico devo fidarmi di due notai, che il Movimento 5 stelle ha posto a ratifica del voto. Ma due notai per quanto capaci non hanno i requisiti tecnici e nemmeno gli strumenti tecnologici per accertare il corretto funzionamento di una piattaforma di voto online. Per quello, ci sono strumenti e protocolli appositi. Che magari riescono anche a dare i numeri del voto dopo le liste: dopo una settimana ancora non si conoscono cifre, la prima cosa che un computer sa comunicare.
Così arrivo allo spoglio del 21 gennaio. Nelle liste dei candidati non ci sono, mi viene in mente quella frase di Arbasino sulla rapidità di decadenza delle “brillanti promesse”.
Però so di aver giocato alle Parlamentarie con onestà intellettuale e curiosità professionale, non da “infiltrato di Repubblica” o da “servo della kasta” che vuole provocare.
Seguo il M5S da diverso tempo, ne condivido alcune posizioni e non me ne piacciono altre. Più di tutto mi sembra rilevante l’approccio digitale alla partecipazione pubblica, che nell’era dell’automazione e dell’intelligenza artificiale è un fondamentale.
Riconosco volentieri che Rousseau è un tentativo unico in Italia, nonostante i suoi evidenti limiti, ma di fronte ad applicazioni imbarazzanti come “Bob” del Pd fa una figura meravigliosa, proprio come un congiuntivo corretto di fronte ad uno coniugato male. Ma non ho ricevuto in cambio nulla di adeguato.
Non volevo cinque anni di stipendio d’oro ma un’esperienza di cittadinanza contemporanea all’altezza di quello che viene proclamato. E allora visto che Grillo stesso ha sdoganato flussi e reflussi gastrointestinali, mi viene in mente che una goccia d’acqua in un barile di letame non fa differenza, ma una goccia di letame in un barile d’acqua purtroppo cambia tutto.
E questo svilimento nemmeno dell’auspicabile ma del possibile a fronte dell’onestà richiesta e sbandierata dal M5S, è la goccia che inquina irrimediabilmente una trasparenza necessaria, e la serietà che merita, ovvero l’opposto del vuoto, dell’opaco e del dubbio.
Con una certezza non piacevole: forse non ho vinto, forse non ho perso, sicuramente però ho giocato. Ma era un voto, non un videopoker in cui la macchina, e chi la programma, può fare quello che vuole.
(da “La Repubblica”)
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