JUNCKER ROTTAMA RENZI: LA MANOVRA TORNA A RISCHIO
RENZI COME FRACCHIA: VOCE GROSSA IN ITALIA, SCODINZOLA IN EUROPA
Doveva succedere ed è successo: le parole spot con cui Matteo Renzi struttura la sua comunicazione “politica” interna sono sbarcate a Bruxelles, dove — come qui — trovano evidentemente più conveniente discutere sulle parole che sulle cose.
La scena si svolge all’incontro tra Jean-Claude Juncker, nuovo capo della Commissione europea, e i capigruppo dell’Europarlamento: “Vorrei sapere, presidente Juncker, cosa pensa del premier italiano che non vuole farsi dettare la linea dai tecnocrati di Bruxelles”, parte il numero 1 del Ppe, Manfred Weber, parlando di posizione “inaccettabile” (segue scontro col capogruppo dei socialisti, l’italiano Pittella).
“Devo dire al mio caro amico Renzi che io non sono il presidente di una banda di burocrati, forse lui lo è”, è la replica un po’ infantile di Juncker: “Io sono il presidente della Commissione europea che è un’istituzione non meno legittimata rispetto ad altre” (seguono lamentele anche su David Cameron, che si rifiuta di aumentare di 2,1 miliardi il suo contributo all’Unione).
Segue velata minaccia: “Se la Commissione avesse dato ascolto ai burocrati il giudizio sulla manovra italiana sarebbe stato molto diverso…”.
Infine il presidente dell’esecutivo Ue lascia anche intendere perfidamente che Renzi sia pure un po’ vigliacco: battagliero in pubblico e assai meno nelle riunioni formali (“i Consigli europei servono per risolvere i problemi, non per crearli: io prendo sempre appunti durante le riunioni, poi sento le dichiarazioni fuori e spesso i testi non coincidono”).
Toni mai sentiti nemmeno mentre a Bruxelles tentavano di far fuori Silvio Berlusconi e che non saranno senza esiti — dicono fonti qualificate — nel momento in cui il confronto sulla manovra entrerà nel vivo: tra le altre cose, per dire, alla Commissione non è piaciuto affatto che un premier che fa propaganda sulla necessità degli investimenti, poi usi 4 miliardi di fondi europei per coprire le sue misure.
Matteo Renzi, per parte sua ha continuato a fare il bullo.
Su Twitter: “Per l’Italia pretendo rispetto”. Poi a Ballarò, su Raitre: “È cambiato il clima. In Europa non vado col cappello in mano, non vado a Bruxelles a farmi spiegare cosa fare: l’ho detto anche a Barroso e Juncker”.
Magari i due non hanno capito, visto la fretta con cui il governo la scorsa settimana s’è affrettato ad obbedirgli sull’ulteriore taglio dello 0,3% del deficit, ma tant’è.
Più diplomatico Sandro Gozi, il sottosegretario (prodiano) che ha la delega ai rapporti con l’Unione: “Nessuno dice che Juncker sia un tecnocrate, ma è bene che non dia troppo ascolto ai tanti tecnocrati che lo circondano”. Frase che, volendo malignare, testimonia di una certa preoccupazione di palazzo Chigi su quanto “i tecnocrati” potrebbero ancora combinare.
La commissione peraltro, e l’ex presidente dell’Eurogruppo Juncker in testa, deve fare i conti con l’esito delle politiche che ha sponsorizzato (e sponsorizza).
Le previsioni autunnali dello stesso esecutivo confermano lo stato comatoso dell’economia del continente e rivedono al ribasso le stime di crescita rispetto a quelle di primavera: l’aumento previsto del Pil dell’Eurozona nel 2015 — ai paesi con la propria moneta va un po’ meglio — viene assai ridimensionato (da +1,8 a +1,1%), mentre le due economie maggiori vedono addirittura dimezzata la loro performance (la Francia dall’1,5 allo 0,7%, la Germania dal 2 all’1,1%). Pure l’inflazione è destinata a rimanere troppo bassa.
Per questo il falco Jyrki Katainen si appella a Berlino: “Per il bene della stessa Germania ha senso investire in ricerca e sviluppo e in infrastrutture”. Come al solito, in queste previsioni della Commissione, tra due anni inizia la pacchia e si torna a crescere. Forse: “Rischi al ribasso sono legati all’ulteriore slittamento della domanda esterna”.
Quanto all’Italia, invece, le previsioni non sono piacevoli comunque: crescita anemica, debito verso il record del 133,8% del Pil nel 2015, disoccupazione che resta attorno al 12,5%, deficit in discesa (dal 3 di quest’anno al 2,2% del 2016) ma troppo piano secondo Bruxelles, che però è felice perchè la bilancia dei pagamenti con l’estero continua a essere in attivo (è così che si pagano i debiti).
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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